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« Poesia FidenzianaFra du' amiche »

Camillo Scroffa

Camillo Scroffa o Scrofa (Vicenza, 1526 o 1527-1565), Giureconsulto a Vicenza e a Venezia, realizzò intorno al 1550 un’insieme di composizioni scherzose intitolata "I cantici di Fidentio Glottochrysio Ludimagistro". L’opera, pubblicata nel 1562, imita in modo satirico i versi di un suo presunto maestro di grammatica dell’università di Padova, Pietro Giunti (o Pietro Fidenzio Giunteo da Montagnana), il quale avrebbe vergato insulse rime petrarchesche sotto il pomposo pseudonimo di Glottochrysius Petrus Fidentius Juncteus. Scroffa plagia l’eloquio classicheggiante dei pedanti, zeppo di latinismi e termini arcaici, rivoltandolo in una burlesca sarabanda linguistica. Nei suoi Cantici, si narra la patetica infatuazione pederastica di un "maestro di scuola" (il ludimagistro, appunto) per un suo affascinante discepolo di nome Camillo. La "lingua d’oro" - il glottocrisio del pedantesco pedagogo - viene parodiata da Scroffa per mezzo di strutture poetiche infarcite di locuzioni, diminutivi e superlativi latini, dando così vita ad un originale genere giocoso tardo cinquecentesco, detto poesia "fidenziana". Manifestamente, il poeta vicentino si pone nella scia di autori come il Burchiello e Francesco Berni, benché agli antipodi della poesia maccheronica di Teofilo Folengo (1491-1544), nella quale è invece il latino grammaticalmente corretto ad essere reso ibrido con il lessico volgare.

I

Voi ch’auribus arrectis (1) auscultate
In lingua hetrusca (2) il fremito e ’l rumore
De’ miei sospiri, pieni di stupore
Forse d’intemperantia m’accusate.

Se vedeste l’eximia alta beltate
De l’acerbo lanista (3) del mio core;
Non sol dareste venia al nostro errore,
Ma di me havreste, ut aequum est, (4) pietate.

Hei mihi, io veggio bene apertamente,
Ch’à la mia dignità non si conviene
Perditamente amare, et n’erubesco: (5)

Ma la beltà antedicta (6) mi ritiene
Con tal violentia, che continuamente
Opto uscir di prigion, e mai non esco.

Note:
1 Auribus arrectis: con orecchie attente.
2 Hetrusca: s’intende la lingua volgare, derivata in gran parte, notoriamente, dagli "idiomi toscani".
3 Lanista: nell’antica Roma, era l’istruttore e spesso anche il proprietario di una schola gladiatorum.
4 Ut aequum est: com’è giusto.
5 N’erubesco: (ne) arrossisco.
6 Antedicta: suddetta.



II

Ne i preteriti giorni (1) hò compilato
Un’ elegante & molto dotto opusculo,
Di cui Camillo à te faccio un munusculo, (2)
Bench'altri assai me l'habbian dimandato.

Leggilo, & se n' ti sia proficuo e grato,
Com' io sò certo, fa ch’il tuo pettusculo
Pur troppo oimè, pur troppo duriusculo,
Di qualche humanità sia riscaldato.

Hei hei Fidentio, hei Fidentio misello,
Che dementia t’ inganna? ancora ignori
Che ’l tuo Camil munusculi non cura?

Non sai cb’in vano il suo adiutorio (3) implori,
Perch’ è una mente in quel corpo tenello
D'una cote Caucasea assai più dura?

Note:
1 giorni passati.
2 piccolo dono.
3 aiuto.



III

Le tumidule genule (1), i nigerrimi (2)
Occhi, il viso peramplo (3) et candidissimo,
L’exigua bocca, il naso decentissimo,
Il mento, che mi dà dolori acerrimi;

Il lacteo collo, i crinuli, (4) i dexterrimi (5)
Membri, il bel corpo symmetriatissimo
Del mio Camillo, il lepor venustissimo, (6)
I costumi modesti ed integerrimi:

D’hora in hora mi fan sì Camilliphilo, (7)
Ch’io non hò altro ben, altre letitie,
Che la soave lor reminiscentia.

Non fù nel nostro lepido (8) Poliphilo (9)
Di Polia sua tanta concupiscentia,
Quanta in me di sì rare alte divitie. (10)

Note:
1 Tumidule genule: guance paffute.
2 Nigerrimi: nerissimi.
3 Viso peramplo: volto ampio.
4 Crinuli: capelli.
5 Dexterrimi: agilissimi.
6 Lepor venustissimo: piacevolezza leggiadra.
7 Mi fan sì Camilliphilo: mi rendono così attratto da Camillo.
8 Lepido: arguto.
9 Poliphilo: protagonista della Hypnerotomachia Poliphili, letteralmente il "combattimento d’amore onirico di Polifilo", romanzo allegorico pubblicato nel 1499 da Aldo Manuzio e la cui attribuzione rimane incerta. La Polia del verso successivo è la sua amata.
10 Divitie: ricchezze.



IV

Con humile & demesso supercilio, (1)
Con  flebil voce , & gesto miserabile,
Al mio tormento ingente e incomparabile,
Camillo imploro il tuo benigno auxilio. (2)

L’ incendio de l’antico e superbo Ilio
Fù veramente magno e memorabile,
Ma foco, heu me, (3) maggiore & implacabile
Nel m'hà acceso di Venere il filio.

S'in te sol ritrovar posso rimedio
A tanto duol, che notte & dì mi stimula,
Et il mele mi fà parere assentio;

Suaviolo mio non ti fa tedio
Trarmi di pena: aiuta ò cara animula
Lo tuo svisceratissimo Fidentio.

Note:
1 sopracciglio, ciglio.
2 aiuto.
3 Ahimè, ohimè (Heu, me miserum! = Ah, povero me!)



V

Cento fanciulli d’ indole prestante
Sotto l’ egregia disciplina mia
I bei costumi imparano, e la via
Del parlar, e del scrivere elegante.

Ma come il ciel, benche di tante e tante
Stelle al tempo nocturno ornato sia,
Non può la luce dar che si desia,
Perch’ è absente il pianeta radiante.

Così il mio amplo ludo litterario,
Poi che ’l gentil Camil non lo frequenta;
Non mi può un sol tantillo satisfare.

L’ esser pagato dal pubblico erario,
Et ogni giorno novo lucro fare,
Heu me, (1) che senza lui non mi contenta.

Nota:
1 Ahimè, ohimè (Heu, me miserum! = Ah, povero me!).



VI

Camillo mio, plenissimo inventario
D’ ogni egregia e notabil pulchritudine, (1)
Deh non mi dar cotanta amaritudine
Non 'venendo al mio ludo litterario.

Deh vien, se non per altro, almen precario,
Ch’ io poi, per non farti ingratitudine,
Teco faro l’ istessa mansuetudine,
E crearotti mio cubiculario. (2)
 
Io ti dò la mia fede inviolabile,
Bencbe à questo obsti (3) il mio costume vetere, (4)
Di non ti far mai recitar il venere.

Et di lasciarti senza venia petere (5)
Ir sempre à spasso; oimè che s'exorabile
Non sei, mi sento convertir in cenere.

Nota:
1 bellezza.
2 dal latino: cubicularius. 1. Nell’antica Roma, servo o liberto preposto o addetto ai servizî del cubicolo (stanza destinata al riposo notturno dei figli e dei membri secondarî della famiglia). 2. estens. Cameriere del papa o di alti prelati addetto a uffici particolari. (Treccani online).
3 osti.
4 ostino le mie antiche abitudini.
5 chiedere.



XII

Villi (1) a l’intuito mio formosi et grati, (2)
Che del mio bel Camil lasciato havete
Le dolci exuvie, (3) et per contacto sete
In questa toga mia conglutinati:

Villi, che foste un tempo sì beati,
Che ben invidia à i Lyncei (4) far potete:
Vulpei (5) villi, che da me sarete
Con più di mille cantici honorati:

Se ben à calefacer (6) la natura
C’insegna, et io mi sento ogn’hor nel core
Per lo dominio vostro ardente foco;

State immobili pure in questo loco,
Perché il mio incendio è sì fuor di misura,
Che non può farsi un atomo maggiore.

Note:
1 Villi: peli.
2 Formosi et grati: belli e graditi.
3 Exuvie: spoglie.
4 Lyncei: intellettuali, pensatori acuti.
5 Vulpei: fulvi, rossicci.
6 Calefacer: riscaldare.

Camillo Scroffa


Tratti da: I cantici di Fidentio Glottochrysio Ludimagistro. Con aggiunta di poche altre vaghe composizioni nel medesimo genere. Alcune delle quali ora solamente sono date in luce. In Vicenza. MDCCXLIII Per Pierantonio Berno stampatore, e Libraio. Con licenza de’ Superiori

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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