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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Post n°1074 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo di Fazio degli Uberti LIBRO QUINTO CAPITOLO I La vela data al vento e volti a l’Africa, lassando de l’Europa ogni bel seno, passammo tra la gente acerba e africa. Era il tempo lucido e sereno, allegra l’aire e con soave vento, 5 il mare quieto e di riposo pieno. Ed era il sol poco piú giú che ’l mento del Montone e la luna vedea sí viva, che ciò m’era un gran contento. E come gli occhi a la poppa volgea, 10 vidi Plinio giacere sopra un letto, secondo che ’n Verona visto avea. Vèr lui mi trassi e tanto fu l’affetto, che l’abbracciai nel loco dove era; poi mi puosi a seder nel suo cospetto. 15 E come il sol nascose la sua spera, cantaro i marinai Salve regina sí dolce, quanto in Siena mai la sera. Partita quella gente pellegrina, incominciai: "O caro padre mio, 20 non perdiam tempo per questa marina. Tu sai il mio voler, tu sai il disio". Per che rispuose, levatosi in piei: "In un pensiero eravam tu ed io". Poi cominciò: "Lo zodiaco dèi 25 in tutto imaginar dodici segni, de’ quali ora di sopra ne stan sei. Compresi son questi dodici regni da sette stelle donne e capitane de l’altre, perché han raggi assai piú degni. 30 E l’una sopra l’altra in modo stane, che ciascuna ha sua spera, o vuoi dir cielo per lo qual sempre con ordine vane. L’ottavo sopra questi sette isvelo di stelle adorno assai lucide e fisse, e qui la tramontana aviva il gelo. Lo nono imaginar convien, mi disse, dove la gran vertú e la potenza di Dio piú viva vive e sempre visse. Or ciascun cielo ha la sua intelligenza, 40 diversi moti e diversa natura e sopra noi, qua giú, nuova influenza. Ma qui fo punto; e tu, figliuol, pon cura vèr ponente con gli occhi de la fronte, e con quei de la mente il dir figura. 45 Al fin del tuo mirare è l’orizzonte: Aries è lá, lo qual per Giove Ammone si crede, con le corna adorne e conte. Esiodus vuole che sia quel montone ch’a l’isola di Colcos puose Friso, 50 del quale il vello ne portò Iansone. Cinque e dodici stelle ti diviso per lo suo corpo e, se le vuoi notare, dov’io mostro col dito volgi il viso. Di Marte il segno dèi imaginare 55 che è diurno, mobil, masculino: quel significa che suo simil pare. Seguita il Toro: tien la testa e ’l crino rivolto a dietro e credesi quel bove, ch’uscia del Nil sacrato, e Serapino. 60 Piace ad alcun che sia quello in cui Giove si trasformò, quando Europa tolse in Libia e per lo mar la trasse altrove. Similemente fu alcun, che volse che Io fosse, che Giuno trasforma 65 in vacca, onde Argo la morte ne colse". Diciotto stelle per la sua gran forma mi divisò fra l’altre, e tutte belle; notturno, fisso, feminin si conforma. Poi disse: "Guarda ne la fronte quelle 70 le quai da’ savi Pliade son dette e che i volgari chiaman Gallinelle. E da molti Subucole si mette, ch’allattâr Bacco; e Venus quivi regna e significa i tori e le lor sette. 75 Lo Gemini apresso par che vegna, dove i due frati Castore e Polluce deificati ciascun si disegna. Dodici stelle ne’ membri lor luce; umano è il segno e gli uomini significa; 80 comuno il truovi e Mercurio n’è duce. Ma vedi il Cancro, ch’ancor si glorifica ch’a Pallas diede ingegno e argomento, onde la sua tintura piú fortifica, e perché fece Ercules attento 85 a farsi innanzi, quando l’idra vide uscir de l’acqua, onde prese spavento. Or questo segno il suo Fattor provide, sí come fece in tutte l’altre cose, che fosse de la luna e ch’ella il guide. 90 Sei chiare stelle nel suo corpo pose; ogni animal che retrogrado vada, che viva in acqua, sotto lui dispose". Poi disse: "Un poco in vèr levante bada: lá è il Leone, ch’Ercules uccise 95 in Nemea selva, e vien per la sua strada. Del sole è il segno; e qui vo’ che t’avise: cinque sono i pianeti che han due segni e tra la luna e ’l sol due ne divise. Tigri, leopardi e ancor altri degni 100 e feroci animai di simil sorte di sotto a lui par che si disegni. Tredici grosse stelle li son porte. Ma guarda Virgo, ch’Erigon si crede che Icaro, il padre, trovò dopo morte. Di questa Virgo Esiodus fa fede che figlia fu di Giove e di Diana; ma in altro modo Aratus procede. Ogni vergine cosa, santa e sana, pura e netta, significa costei; 110 in vista, mostra angelica e umana. Mercurio regge questo segno e lei". Apresso mi mostrò a parte a parte e nominò sedici stelle e sei, ch’avea per l’ali e per le membra sparte. 115 |
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