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Messaggi del 21/11/2014

A chi tocca 'n se 'ngrugna

Post n°657 pubblicato il 21 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

A chi tocca 'n se 'ngrugna

Quelo che magni a vvorte pare sugna.
Te pare che la vita te và bbene
e 'nfine scopri che ssó' ssolo pene.
Ricordete: a chi ttocca nun se 'ngrugna.

T'è ccapitato mai de véde 'r sole
e ddì mó ce pijamo l'aria pura?
Eschi e ppregusti 'n poco de calura,
ma 'r tempo cambia come cacchio vôle.

Così pô capità co' la salute
che, propio quanno meno te l'aspetti,
fa ricacà le cose belle avute.

Più ttriste è pe' le cose tue de côre,
quanno nun ce vôi crede e nu' l'ammetti
e vvedi che tte trovi senza amore.

Valerio Sampieri
21 novembre 2014

 
 
 

Il Dittamondo (1-02)

Post n°656 pubblicato il 21 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 

Il Dittamondo

di Fazio degli Uberti

LIBRO PRIMO
CAPITOLO II

Dal sonno sciolto e sviluppato m’era, 
quand’io udii sonar tra’ verdi rami 
la dolce melodia di primavera. 
Al vago canto subito volta’mi, 
rimembrando il piacere e ’l gran valore, 5 
per lo qual giá soffersi seti e fami. 
Qui provai io il ver: che, poi ch’amore 
s’è barbato nel cor, a che fatica 
si può schiantar, che non germogli il fiore.
Ma pur non punse sí la dolce ortica, 10 
ch’io non tornassi a quel disio proposto, 
del quale in me giá granava la spica. 
E come meco fui, altresí tosto 
tolsi l’udir da quel soave canto, 
tolsi l’imaginar, ch’io v’avea posto, 15 
e levai gli occhi e vidi che giá tanto 
era alto il sol, che sopra l’orizzonte 
parea salito il Toro tutto quanto. 
Poi ritornai vèr la terra la fronte, 
per rimembrare il sogno e le parole 20 
di questa donna, sí come l’ho conte. 
E qual se ciò mi piacque intender vole, 
pensi quanto fu lieto allor Ioseppo 
che ’l sogno fe’ de la luna e del sole. 
Io mi levai diritto sopra un ceppo, 25 
per divisar qual fosse il mio cammino: 
e d’ogni parte m’era il bosco e ’l greppo. 
E come avièn talora al pellegrino, 
che ha perduta la strada e che non vede 
cui dimandare, né per sé è indivino, 30 
che ricorre a quel Ben, ch’egli ama e crede, 
e, con pura e devota intenzione, 
e consiglio e soccorso li richiede, 
cosí mi puosi allora in ginocchione, 
le mani aggiunte, e, con fermo disio, 35 
incominciai cotale orazione: 
"O somma, o prima luce, o vero Dio, 
che ’n Ararat salvasti e conducesti 
l’arca e Noè, quando ogni altro perio, 
e ’l popol tuo del mare a pie’ traesti 40 
nutricandol di manna, in fin ch’apresso 
ne la terra promessa il conducesti, 
e che a Tobia Rafael per messo 
e per guida mandasti, onde pervenne 
a piú che ’l padre non li avea commesso, 45
e che Abraam salvasti, quando tenne, 
per campar Loto, dietro da gli Assiri 
con la gran fede e con le poche penne, 
fa’ che per grazia tanta luce spiri 
da gli occhi tuoi ne’ miei, che senza velo 50 
del mondo scorga tutti quanti i giri. 
Te, padre, invoco, Te, fattor del cielo, 
come solean gli antichi a simil peso 
chiamar Appollo, Iuppiter e Belo". 
E com’io stava al prego sí sospeso, 55 
a gli occhi un lume subito m’apparve 
qual par balen, che vien per l’aire acceso. 
E giunto, altresí tosto via disparve: 
vero è che, esso apparendo in mia presenza, 
una boce che disse udir mi parve: 60 
"Paura, vanitá e negligenza 
fa che tu sdegni e in cui preghi spera, 
se vuoi di quel che brami esperienza". 
Cosí la grazia de la somma spera 
m’aperse lo ’ntelletto oscuro e bruno, 65 
confortando la donna, che quivi era. 
E dove pria parea pur bosco e pruno, 
vidi sí sciolta e aperta la strada, 
ch’io rendeo grazia a Quel ch’è tre e uno. 
O vivo amore, come cieco bada 70 
qual fugge Te e pon la sua speranza 
nei ben mondan, che son men che rugiada! 
Lettor, pensa per te quanta baldanza 
a seguir la mia impresa presi allora, 
ch’io non tel saprei dir per somiglianza. 75 
Su mi levai, che piú non fei dimora, 
e trovai me a seguitar la voglia 
tanto legger, che me ne segno ancora. 
Né spino a’ piedi, né a gli occhi foglia 
mi facean noia, ond’io seguiva il passo 80 
senza fatica alcuna e senza doglia. 
Dinanzi a una croce, a’ piè d’un sasso, 
un romito trovai, che ne l’aspetto 
per lunga etá era pallido e lasso. 
La bianca barba gli listava il petto 
e i cigli tanto li cadeano in gioso, 
che gli erano a la vista un gran difetto. 
"O padre, che vi state sí nascoso 
in questo bosco, in tanta penitenza, 
solo per acquistar l’alto riposo, 90 
da poi che Dio ne la vostra presenza 
condotto m’ha di loco assai lontano, 
piacciavi darmi di voi conoscenza". 
Cosí ’l pregai; ond’ello con la mano 
lo palpir prese e la vista scoperse; 95 
poi mi guardò con volto onesto e piano. 
Apresso disse: "Di parti diverse 
son qui venuto, com piace a Colui 
che per noi morte a la croce sofferse. 
Polo è ’l mio nome e onde e chi giá fui 100 
qui piú non dico. Ma tu come vai 
sí sol per questi boschi oscuri e bui?" 
La vita e la mia mossa li narrai 
a parte a parte; ond’ello a me ne venne 
e, con dolci parole e care assai, 105 
la notte seco ad albergar mi tenne.

 
 
 

Isabella Andreini

Post n°655 pubblicato il 21 Novembre 2014 da valerio.sampieri
 
Foto di valerio.sampieri

Isabella Andreini

Soltanto dopo la metà del secolo XVI cominciarono le donne a salire pubblicamente sulle scene italiane, e Vicenza Armanni veneziana fu un bello spirito che esercitò prima d’ogni altra il mestiere di comica, e ’l continuò sin alla morte sua, seguita in Cremona nell’anno 1570. Non tardò molto a succederle Isabella, nata in Padova l’anno 1562. Questa donna impareggiabile, e fornita di singolare bellezza, si fece ammirare in Italia e in Francia per grazia e per rari talenti nel canto, nel suono, nella poesia; e ciò che più monta, per morigerato costume. Sin dalla sua prima giovinezza avea composta la Mirtilla, favola pastorale ch’ebbe gran plauso, e dopo la quale pubblicò altri non pochi componimenti. Curioso è anche oggidì un suo libro di Lettere e Dialoghi d’amoroso argomento, ed uno di Rime, nelle quali notò il Mazzuchelli essere cultura ed elevatezza di stile con altre bellezze che non sì facilmente si trovano negli altri poeti del suo tempo. Invaghitasi Isabella [p. 328]di Francesco Andreini, comico di gran nome, gli diè la mano di sposa, ma troppo breve durata ebbero i geniali legami. Essa mancò immaturamente in Lione per aborto, in età di 42 anni nel 1604, e l’afflitto suo sposo volle che si rendesse ivi eterna la memoria di lei, facendone scolpire in bronzo l’elogio. Era allora allora tornata di Parigi, ricca di distinzioni ottenute da quel gran re Enrico IV, e da’ primi personaggi della sua corte. Anche in Italia ebbe infiniti tributi di lodi; e Torquato Tasso e il cavalier Marini scrissero versi in suo onore. Del suo nome si fecero anagrammi. Alia blanda sirena n’è uno; Lira ne, ara labris dea? n’è l’altro. I secentisti andarono più innanzi, ed uno tra costoro concluse, che Isabella portava sulle labbra l’oliva di Pallade, nella faccia gli orti di Adone, nel seno il convito degli Dei, nel petto il cinto di Venere e tra le braccia il castissimo Amore.

Tratto da: Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane (1826) di Bartolommeo Gamba.

Immagine del titolo: "Da un ritratto inciso da Raffaello Sadeler.". Immagine tratta da Blasi, Jolanda de, Le scrittrici italiane dalle origini al 1800, Firenze: Nemi, 1930, Tav. XXI.

Una più articolata biografia della Andreini è sul blog Bibliofilo Arcano. Sul medesimo blog è possibile trovare anche una trentina delle sue poesie.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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