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Messaggi del 02/01/2017

La storia de li nasoni

Post n°3438 pubblicato il 02 Gennaio 2017 da valerio.sampieri
 

La storia de li nasoni

Mi riservo, appena avrò ritrovato il link, di comunicare l'indirizzo dal quale è tratto questo breve brano.
Chi è dotato di buona memoria ricorderà che la scalinata è quella che appare nel film "I soliti ignoti" di Mario Monicelli.

Ner 1874, Luigi Pianciani, er primo sindaco de la capitale dell'Italia unita, fece realizzà 'na serie de fontanelle pe uso pubblico e gratuito. Le fece fà de ghisa, de forma cilindrica, arte circa 120 centimetri e co tre bocchette da 'ndo' l'acqua annava a finì giù fino a la fogna, da 'na grata messa li pe ttera. Ar principio, a fà usci' l'acqua ce staveno tre belle teste de drago, che, purtroppo, li Romani se fregorno quasi subbito.
Pe sparambià 'n pochetto, chi comannava ce fece mette 'n tubbo de fèro ricurvo che suggerì a li Romani er nome de "NASONE".
Una de le più vecchie sta ancora lì, a Piazza de la Rotonda (Pantheon ), mentre 'na ricostruzzione più nova, co tutt'e tre le su' bocchette, si cercate, la trovate a Via de le Tre Cannelle, che guarda 'n po', pija er su' nome propio da la fontana antenata de li nasoni.
Pe tutta Roma li nasoni sò quasi 2500: 280 drento le mura e appresso a questi ce stanno antre 114 fontanelle che danno da beve a li Romani, ai li pellegrini, e a le bestie de Roma.

Di questa via parla diffusamente Antonio Venditti sul sito Specchio Romano nel seguente articolo.

 

I vecchi nomi delle strade a Roma, anche se spesso non trovano più riscontro con un dato visibile, testimoniano ugualmente il loro compito originario: quello di individuare un sito partendo proprio da un elemento significativo. E’ il caso di via delle Tre Cannelle nel rione Trevi, una traversa di via di S. Eufemia, parallela alla via del Carmine e tagliata perpendicolarmente da via IV Novembre, che oltrepassa per poi sfociarvi di nuovo.

La strada, come viene riportato nella "Descrizione di Roma dell’anno 1824", prende il nome da una piccola fontana scomparsa, costituita da tre fistole poste in cima a uno snello fusto, che gettavano acqua in un bacino semicircolare. La fontana, di cui si ignora il nome dell’esecutore, fu costruita su disegno di Giacomo Della Porta ed è documentata da una incisione del Falda del 1665 davanti a Santa Caterina a Magnanapoli, addossata ad un muro. Conosciuta anche come la fontana alla Colonna Traiana, dava il nome alla zona circostante ed era a ridosso fin dal 1590-94 al palazzo Annibaldi della Molara a Magnanapoli - esistente fino al ‘700 - a destra di via delle Tre Cannelle scendendo da via IV Novembre, sulla cui area sorse un edificio dall’attuale struttura tipicamente ottocentesca. Questo palazzo è reso solenne dall’ingresso con due alte colonne tuscaniche su di un plinto, che sorreggono un balcone marmoreo con colonnine. La collocazione della fontana a ridosso del palazzo trova riscontro nella pianta Di Filippo Barigioni della prima metà del XVIII secolo, da cui si evince anche una piccola area prospiciente il Palazzo della Molara, delimitata da un isolato: la scomparsa piazza delle Tre Cannelle.


La fontana era collegata con il condotto dell’Acqua Felice. Per alimentarla, Gasparo della Molara aveva ottenuto in concessione nel 1558 dal Comune due once d’acqua a condizione che divenisse una fontana semipubblica, con l’obbligo, altresì, della manutenzione e della conservazione.

Non rimangono però tracce di questa primitiva fontana, ricordata dall’odierno modello con fusto in ghisa e con tre bocche su un ripiano della scalinata di via della Cordonata, al di là di via IV Novembre dove via delle Tre Cannelle prosegue.

Caratteristica appare l’unione tra il Palazzo ottocentesco — con il prospetto tra via delle Tre Cannelle e la parallela via del Carmine — e il moderno edificio con la fronte su via IV Novembre. L’origine di questo Palazzo risale al 1694. Probabilmente era di proprietà del canonico di San Giovanni in Laterano, Giovanni Grassi. Venne modificato radicalmente nella seconda metà dell’800 dalla famiglia Biondi-Merolli su progetto di Vincenzo Martinucci, in concomitanza con i lavori di apertura di via IV Novembre. Successivamente divenne residenza di Sidney Sonnino. Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale il palazzo venne venduto dalla famiglia Sonnino alla Società F.A.T.A., che vi realizzò modifiche radicali, tra cui il rifacimento del prospetto su via IV Novembre, operato nel 1958 dall’architetto Attilio Spaccarelli. L’edificio, occupato per alcuni anni dall’IBM, appare l’espressione di quel linguaggio architettonico, tipico del dopoguerra, secondo il quale la struttura non esaurisce la forma, ritmandosi nella sua nuda necessità costruttiva con altri materiali in dimensioni e volumi. L’intero complesso è stato acquistato nel 1997 dall’Amministrazione Provinciale di Roma per ampliare i propri uffici.


Via delle Tre Cannelle, nel primo tratto, termina in alto a destra con un fianco della Torre medioevale costruita sul finire del sec. XII da Guido Carbonis: appartenne dapprima ai Colonna poi ai Molara. La Torre, in laterizio, a sei piani e altrettante finestre di cui tre con mostre di marmo antico su Via delle Tre Cannelle, termina con un recente coronamento in beccatelli di travertino. Alla base, presso la porta d’ingresso anch’essa aperta di recente, sono stati murati tre frammenti di fregi classici, ornati da girali d’acanto e amorini sui quali si eleva la colonna araldica dei Colonna, sormontata da corona e cinta d’alloro. Sulla cornice, al di sotto di uno dei fregi, un’iscrizione riferisce che il frammento fu donato intorno alla metà del Settecento da un omonimo discendente del riminese Francesco Gualdi che visse a Roma nella prima metà del ‘500 svolgendo missioni diplomatiche presso la corte pontificia, senatore di Roma nel 1539, nel 1542 e nel 1546.

Nel tratto finale di via delle Tre Cannelle sulla sinistra è un palazzetto con la facciata settecentesca scandita da larghe paraste e il portoncino incorniciato da bugne.

 

 
 
 

Er venditore de pianeti

Er venditore de pianeti (1)

È un poverello co' la barba bianca
Che va con una manica in saccoccia
Pe' fa' distingue er braccio che je manca.
Gira con una scatola e una boccia
Dove c'è drento un diavolo de vetro
Co' du' cornette in cima a la capoccia (2).
Succede che la gente
Passa senza fa' caso ar poverello,
Ma a vede er giocarello torna addietro,
Se ferma, s'avvicina, s'ariduna
E tenta la fortuna.
- Signori! - dice er vecchio -
Venghino ad osservare il mio apparecchio
Che aggisce sotto il flusso della luna;
Con il su e giù che fa nella bottiglia.
Il diavolo ci legge nella vita
Entrando ne Tafifari di famiglia:
La zitella saprà se si marita,
La vedovella chi se la ripiglia ...
Avanti, avanti, chè col mio pianeta,
Oltre d'averci in mano l'avvenire,
Guadagneranno cento mila lire
Con una piccolissima moneta! ... -
Impedito com'è, mezzo sciancato,
Com'ha da fa'? s'ingegna, poveraccio!
Una vorta je chiesi: - E com'è stato
Ch'avete perso er braccio?
- Fu ner cinquantanove, a Solferino.
- Me rispose er vecchietto - Fu in quell'anno!
Me buggiarò un todesco. Era destino.
Che belli tempi! - disse sospiranno -
Eh! queli tempi, caro signorino,
Nun torneranno più, nun torneranno!
Pe' via ch'allora la bandiera nostra
Nun era carcolata come adesso
A una pezza attaccata in un bastone,
Ch'è car'e grazzia (3) se je vanno appresso
Ne la dimostrazzione!
Pe' nojantri era tutto: era la fede,
Era l'amore, l'anima, la vita,
Co' la speranza de potella vede
Sventolà ar sole su l'ltalia unita!
L'Italia! Solamente a 'sta parola
Er sangue ce bolliva ne le vene,
Er core ce zompava (4) ne la gola!
E che strazzi, che tribboli, che pene
Che sapémio (5) soffrì pe' 'st'ideale,
Senza fa' tante scene
Co' le sottoscrizzioni sur giornale!
Chè puro allora se viveva male,
Ma, per lo meno, se moriva bene!
E in questo qui nun ciò rimorsi: ho fatto
Tutto quer ch'ho potuto e so' contento;
Ma le battaje der Risorgimento
Pe' conto mio nun so' finite affatto!
Ciò una guerra più seria
Da combatte: la fame!
Ciò un nemmico più infame: la miseria!
Pe' questo so' obbrigato a fa' 'sto gioco
Buggiaranno la gente tutto er giorno!
Che ce guadagno? Poco. Troppo poco!
Senza contà che quarche pizzardone (6),
Quanno me vede troppa gente intorno.
Me fa contravenzione.
Dice: - Sei un ciarlatano! ... - È indubbitabbile:
Ma m'è rimasto un braccio solamente:
Data la ricompensa è perdonabbile
Se me ne servo pe' frega la gente!

Trilussa
1905
(da "Nove poesie", Mondadori, 1922, pag. 47)

Note da "Trilussa tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 270:
1 Della fortuna.
2 Testa.
3 È gran fortuna.
4 Saltava.
5 Sapevamo.
6 Guardia municipale, così chiamata pel copricapo a due punte arieggianti il becco della pizzarda (beccaccino).

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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