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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)

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Osservazioni sulla tortura e singolarmente sugli effetti che produsse all'occasione delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la pestilenza che devastò Milano l'anno 1630 - Prima edizione 1804 (di Pietro Verri)

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Il Dittamondo, Libro Quarto
Il Dittamondo, Libro Quinto
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C’era una vorta... er brigantaggio (di Vincenzo Galli)

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Messaggi del 25/08/2017

I Mille

I Mille

Guardate si che fede e si ch'ardore!
So' mille regazzetti e un generale.
Co' pane e coppa, er foco dell'amore,
l'amore pe' l'Italia, e l'ideale.

Allora, all'arma bianca o cor tortore,
diciotto berzajeri e 'n caporale,
moriveno sur campo dell'onore.
Noi oggi stamo all'epoca spaziale.

Abbasta solo un tizio co' un bottone,
che lui, da Poggibonzi a Campobasso
te fa succede tutto un porverone!

Capace poi che p'esse' troppo basso,
'sto tizio, l'hanno pure ariformato.
Er monno ... , s'è un pochetto arivortato!

Ma 'sti Mille chi sò? Sò tutti artisti,
avvocati, pittori, professori,
capitani de mare, farmacisti,
filosofi, poeti e sognatori.

Artigiani, studenti e giornalisti,
intelletti de tutti li sapori;
tre preti e puro du' seminaristi.
A falla breve, un sacco de dottori.

Ma manco un contadino o un lazzarone!
C'era 'na donna sola, forastiera ,
'na certa Rosalìa Montemassone.

Un pupo sventolava la bandiera.
Da li sessantanove all'undici anni
'sta gente odiava a morte li tiranni!

Aulo Sciziano
Da: La spedizione dei Mille
Strenna dei Romanisti, 1962, pag. 306

 
 
 

La botticella

La botticella

Libbero, vitturi? Mbè, monta e annamo!
Scrocchia la frusta mo' che stai in cassetta,
mettete ar trotto pe' la via diretta
e alegri e in santa pace poi filamo.

Che piacere nojantri ce provamo
a girà in legno quanno c'è 'st'arietta,
fermasse a beve 'na bona fojetta
a' la mejo osteria che incontramo.



Addio brutti pensieri, addio tristezza!
Quanto ce piaci, vecchia botticella,
aritrovà ce fai la giovinezza.

Divin Amore, er tempo d' ottobbrate,
quarche boccuccia fresca e risarella,
ricordi e sogni de' l'età passate.

Amilcare Pettinelli
Strenna dei Romanisti, 1962, pag. 242

 
 
 

Er gioco de la vita

Er gioco de la vita

Faccio er conto: da quanno che so' vivo,
tanti li giorni neri,
tanti li giorni boni ...
Tiro la somma, guardo e stò in passivo ...
Pe' 'na risata, troppi dispiaceri,
pe' 'na speranza, un sacco d'illusioni!
Vale propio la pena d'accanisse
ar gioco de la vita,
quanno che la partita
te dà sempre lo stesso risurtato?
Hai voja a carcolà su la ricchezza,
su la bona fortuna o su l'amore,
si ciai un rimpianto in core
è quello der passato ...
Passato vô dì sempre giovinezza!
La vita è un girotanno, e in ogni giro
vedi che tutto, fori ch'er dolore,
è stato n'illusione e n'ironia ...
..................
Li sogni belli de la vita mia,
se so' sempre conclusi in un sospiro.

Armando Morici
Strenna dei Romanisti, 1962, pag. 224

 
 
 

Er coruccio ar cacatóre

Post n°4102 pubblicato il 25 Agosto 2017 da valerio.sampieri
 

Er coruccio ar cacatóre

Tu ddichi che ssó io ch'ho ffatt'er torto?
Sei stato tu ch'hai fatt'e' rrifardito,
bbrutto bastardo, và mmorì ammaìto!
pare quasi che mme vôi véde morto!

Mettémo 'n po' er coruccio ar cacatóre,
ce fò 'na croce sopra e ccosì ssia!
Cià ssenzo dì la corpa è ttua o mmia?
Nu' mme va ppiù, nun vojo ppiù discóre.

Co' ttutte quante 'ste sciangherangà
che ddanno sganassoni a ddestr'e a mmanca,
de 'ste fregnacce non te preoccupà.

Quelo che cconta è che cce fanno micchi:
- Te dò 'n cazzotto ... - Te rompo 'na cianca ...
e intanto queli llà se fanno ricchi.

Note:
v.2, rifardito: "Colui che se pente, che se tira indietro, che fa er voltagabbana. In un'accezione più larga: un infame." è la definizione reperita su internet che sembra essere la più completa. Il termine rifardito è introvabile sui vocabolari romaneschi, ma è vocabolo correntemente usato nelle borgate.
In letteratura ho trovato tre soli esempi di uso del verbo "rifardì", variamente coniugato. Ritengo, ma la mia è un'impressione puramente soggettiva, che il termine sia entrato nell'uso solo di recente, dato che nemmeno il vocabolarietto di Sergio Frasca -Lessico Romanesco (di metà novecento)- ne fa menzione.
[Ravaro] dà soltanto Arinfardìsse - Tirarsi indietro, rimangiarsi la parola data, non mantenere una promessa, un impegno. [Romeo Collalti, Cannucce ar vento (Strenna dei Romanisti, 1967, pag. 189): "Se smove 'gni cannuccia a' lo spartito / pe' da' li battimano co' le fronne, / ar vento frettoloso e rinfardito."].
Vincenzo (Cencio) Galli, C'era una vorta... er brigantaggio - Luigi Alonzi Chiavone, XVIII,4: "nun avrebbe pensato che quer... matto / se fusse rifardito a fà er fregnone / cor combinà 'na spece de ricatto."
Vincenzo (Cencio) Galli, C'era una vorta... er brigantaggio - Domenico Tiburzi Re di Lamone, XVI,13: "Allora ereno guai: 'sto lumacone / se rifardiva e... daje a puncicamme / più vorte er deretano cor forcone!..."
v.5, coruccio ar cacatore: Métte er coruccio ar cacatòre significa non parliamone più, mettiamoci una pietra sopra. Espressione di molto uso, allorché si vuol fare intendere il poco interesse che si prende di certi avvenimenti che altri vorrebbe farci sentire calamitosi [Belli].
Corùccio = Dolore, lutto. Mettese er coruccio = vestirsi a lutto [Ravaro].
T1-0780, Er coruccio: "ha da durà tre mmesi e mmezza notte: / poi mettemo er coruccio ar cacatore."
Cacatóre. Luogo appartato, che, correttamente, benché sempre con poca decenza, si dovrebbe dir cacatoio. Un Monsignore romano, noto ai filologi per il suo rigorismo in fatto di lingua, sorpreso per via da una necessità corporale, corse a una casa vicina dove abitava un suo amico, e picchiò all'uscio violentemente. Andò ad aprirgli un servitore. Questi vedendo che il pover uomo si contorceva e si sbottonava le brache capì subito di che si trattava e "venga", gli disse,"venga, Monsignore: ecco qui il cacatore". Benché il momento fosse terribile, il purista non potè tenersi dal correggere lo sproposito: "Il cacatoio", gridò "Il cacatoio, bestia, il cacatore so' io". Ma la parola scorretta seguita sempre ad usarsi a dispetto del buon Monsignore.
C'è qui in Roma una strada, quella che dalla Piazza della Rotonda conduce alla Via della Palombella, la quale, prima di essere allargata com'è al presente, era chiamata comunemente "Il cacatore di Fea". Essa prese questo nomignolo perché l'Abate Fea, Commissario delle antichità romane avendo fatto demolire alcune casupole addossate da quella parte al fianco del Pantheon in vicinanza del portico, offrì al volgo malcreato la comodità di far quivi le proprie occorrenze. In memoria di ciò fu applicato alla detta strada il seguente distico maccaronico che è una variante di quello composto da Nicolò Franco per le latrine Vaticane: Carolus hic Fea ventris miseratus onusti - Hoc ad cacandum nobile fecit opus [Chiappini].
v.9, Sciangherangà: Sventura [Belli]. T1-0049, L’oste a ssu’ fijja 2°: "Eh ssi a mmettese addosso a ’na famijja / viè la sciangherangà, bz, bbona notte: / sce fioccheno li guai co la mantijja."
V.12: Micchi = Stolidi; Uomini semplici. [Belli]. Stupidi, Minchioni (è voce della lingua)
T2-1293, La luna: "O ne sa ppoco er zor dottor Gioconno, / o a nnoantri sce tiè ppe ttanti micchi. / Ggià, sti dottori che sse fanno ricchi"
T2-1835, Er miserere de la Sittimana Santa 2°: " Er miserere de la Sittimana Santa 2° // Cosa viè poi? Manifestasti micchi; / e sti micchi chi ssò? Cquelli che ccredeno"
T2-1835, Er miserere de la Sittimana Santa 2°: "Cosa viè poi? Manifestasti micchi; / e sti micchi chi ssò? Cquelli che ccredeno / a ste sciarle, ch’er boja se l’impicchi."
Zanazzo, Usanze buffe: "siamo l'orgheni ... " sì, de San Martino: / ce fanno micchi perché noi abbozzamo, // 'sti poveri babbioni, e nun s'accorgheno"

Valerio Sampieri
25 agosto 2017

 
 
 
 
 

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