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Messaggi di Luglio 2017

L'emigrato

Post n°4015 pubblicato il 23 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

L'emigrato

Addio bella Trastevere;
Giardino delle fate
Dagli occhi neri a mandorla.
Occhi che elettrizzate.

Addio monte Giannicolo,
O splendide alberate
Ove ho godute l'intime
Gioje d'amor beate.

Addio, patria bellissima,..
Poiché mi neghi un pane
Io parto per l'America.

O tornerò ricchissimo,
O perirò tra il vortice
Delle sventure umane!

Antonio Camilli
Tratto da: Poesie Romanesche, Roma, Tipografia Industria e Lavoro, 1906, pag. 121

 
 
 

Benedetto Menzini

Benedetto Menzini

Morto nel MDCCIV.

Mentr'io dormia sotto quell'elce ombrosa,
Parvemi, disse Alcon, per l'onde chiare
Gir navigando donde il Sole appare
Sin dove stanco in grembo al mar si posa.

E a me, soggiunse Elpin, nella fumosa
Fucina di Vulcan parve d'entrare,
E prender armi d'artificio rare,
Grand'elmo e spada ardente e fulminosa.

Sorrise Uranio, che per entro vede
Gli altrui pensier col senno; e in questi accenti
Proruppe, e s'acquistò credenza e fede:

Siate, o pastori, a quella cura intenti
Che giusto il Ciel dispensator vi diede,
E sognerete sol greggi ed armenti.

Benedetto Menzini

MENZINI. Fiorentino, parmi; ma toscano di certo; ed è uno de' begli ingegni di seconda sfera nella storia dell'italiana letteratura. - Questo è un idilio morale, dettato con lo stile di mezzo conveniente a sì fatta poesia; e' pare di leggere uno scrittore greco. La maestria consiste principalmente nella spontaneità del dialogo, nella proporzione e varietà delle tre parti del componimento, e nella unità in cui si concentra la verità morale che è l'anima di questo sonetto.

Benedetto Menzini nacque in Firenze ai 29 di marzo del 1616 da poveri genitori in una di quelle casupole che si vedevano ancora, pochi anni fa, sulle pile del ponte alle Grazie, il che viene attestato da lui medesimo con questi versi

... quel prete pazzo
Che nacque in tre mattoni a Rubacoute.

Fin da buon'ora fece conoscere di quale preclaro ingegno lo avesse fornito Natura, e il marchese Vincenzo Salviati lo ritirò in casa sua per dargli agio allo studio.
Fu professore di eloquenza in Firenze e a Prato; ma egli desiderando di leggere da qualche cattedra dell'Università di Pisa, e ciò non potendo conseguire, andò a Roma, dove Cristina, regina di Svezia, e grande protettrice di letterati e artisti, lo tolse al suo servizio. Morta questa donna nel 1689, il Menzini si trovò di nuovo nelle strettezze, ed era costretto per vivere a dettare un intero quaresimale per un sacerdote che, avendo danari e non ingegno, voleva tuttavia comparire valente oratore.
Il cardinale Gian Francesco Albani, che divenne poscia pontefice sotto il nome di Clemente XI e lo stimava assai, prese a proteggerlo, e gli ottenne da papa Innocenzo XII un canonicato nella chiesa di S. Angelo in Pescheria, e nel 1701 fu nominato coadjutore nella cattedra d'eloquenza della Sapienza di Roma. Moriva ai 7 di settembre del 1708. Scrisse parecchie opere in poesia commendevoli, fra le quali spiccano principalmente le Satire, l' Arte Poetica e le Liriche. In questi tre generi di componimenti è superato da pochi.
Le sovraestese note biografiche sono tratte da "Lirici del secolo XVII, con cenni biografici" Volume unico - Edizione stereotipa - Milano - Edoardo Sonzogno Editore - Via Pasquirolo, 14 - 1878, pag. 267.
Sul sito Archive.org sono reperibili in quattro volumi le rime di Benedetto Menzini.

Da: "Vestigi della storia del sonetto italiano", di Ugo Foscolo, Salerno 1816.

 
 
 

Er senso de corpa

Er senso de corpa

Quanno er leone vidde un coccodrillo
che, dopo 'na magnata de du' ore,
pareva che piagnesse dar dolore
janno' a parla' vicino pe' capillo.

Je fece, dice: Questa e' bella!
Invece de sdrajatte sopra er prato
e rilassatte co' 'na pennichella
te metti a piagne come un disperato!

Io cio' 'n senso de .corpa viscerale,
ripose er coccodrillo. Cio' provato
a magna' l'erba fresca ar naturale,

pero' invece de piagne vomitavo.
Allora me s'ho detto: so' 'n'infame,
ma e' mejo piagne che mori' de fame.

Zambo (Giulio Zannoni)
Da: Zambo 'na storia - Poesie in romanesco di Padre Giulio Zannoni S.J.

 
 
 

Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

Post n°4012 pubblicato il 22 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Parte I.

Medicina popolare

Avvertenza
_________

La presente raccolta di rimedi simpatichi, come suole chiamarli il popolo, ed anche delle altre tradizioni che ho pubblicato o che sono in corso di pubblicazione in questa raccolta di «tradizioni popolari romane», sono il frutto di parecchi anni di assidue ricerche da me fatte vivendo in mezzo al popolo; e questi rimedi particolarmente io devo alle donne: poichè la scienza di curare qualsiasi malanno è generalmente riservata ad esse.

Confesso il vero, mentre una trentina d’anni fa li raccoglievo, non immaginavo che un giorno mi sarebbero serviti a qualche cosa. Nel perdermi per lunghe ore tra quei chiassuoli, tra quelle viuzze anguste e fangose del Trastevere, non avevo allora altro desiderio che di far tesoro dei modi di dire o delle frasi più originali che avessero potuto interessarmi. In tali occasioni non di rado mi accadeva di udire ora il pregiudizio, ora il rimedio simpatico, ora la leggenda... ora una cosa, ora un’altra, di cui subito pigliavo nota; ma, ripeto, facevo ciò per semplice curiosità, e anche per quella vivissima passione che avevo ed ho per le cose che col popolo hanno attinenza. Tanto ero lontano in quel tempo dall’idea che siffatto materiale potesse interessare, all’infuori di me, altra persona: ed anche perchè ignoravo che già dotti ed illustri scienziati, quali il Pitrè, il d’Ancona, Salomone Marino, il Guastella, il De Nino, il Gianandrea, il Morandi, il Sabatini, il Menghini ed altri, attendevano con amorevoli cure a salvare dalle ingiurie del tempo questi documenti intimi della psicologia di un popolo.

* * *

Molti di questi stessi rimedi furono consigliati a me stesso da alcune vecchie commari, alle quali, mi accusavo di aver cento malanni come il Cavallo di Gonnèlla; e ciò facevo per destare in loro maggiore interesse e darmi così agio a bene imprimermeli nella memoria. Fra queste ricorderò sempre con vivo compiacimento le due vecchie proprietarie di un’antichissima friggitoria, le quali, prima che si costruisse la nuova via Cavour, avevano la loro bottega alla Suburra.

Parte di questi rimedi empirici li devo a loro; moltissimi altri alla mia povera mamma; e altri pochi di essi mi sono stati forniti dell’immortale poeta Belli, per mezzo de’ suoi meravigliosi Sonetti romaneschi.

* * *

Se al lettore questi rimedi sembrassero strani o ridicoli, risponderò con un adagio tutto romanesco che dice: peggio nun è morto mai. Poichè per quanto strani e ridicoli essi siano, non raggiungeranno mai l’assurdità di alcuni rimedi di celebrità mediche dei secoli XVI, XVII, e perfino del XVIII secolo. Ad esempio nel secolo XVI Giovan Matteo Fabbri ne assicura che si giudicava il suono delle campane essere ricetta salutare contro il dolor di capo e si scrivevano opere di questa fatta: De dolore capitis sonitu campanarum sanato (!). Ed ancora nel 1759 il famoso Lemery, medico e chimico francese, insegnava che lo stercus humanus è digestivo, risolutivo emolliente, addolcente! E lo si prescriveva contro i mali di gola, contro l’epilessia, contro le febbri intermittenti, ecc. Disseccato, polverizzato e mischiato col miele, veniva applicato sui flemmoni, sugli antraci, sulle ulceri carbonchiose: ed era chiamato empiastro aureo! Ma ciò che sorpassa ogni immaginazione è che i vapori esalati dall’odorifera cottura erano raccolti con cura e servivano a fare un’acqua antioftalmica!... [1 - Vedi in Italia Moderna, dell’aprile 1906 il dotto articolo del prof. Vidi: La Medicina dell’esperienza.]

Basta: se questa mia breve raccolta troverà favore presso il pubblico (presso i dotti no di certo) lo dovrò forse allo studio che ho posto a purgarla dai pregi propri alle opere dello stesso genere, evitando note, chiose, confronti, citazioni e fin la parvenza della più lontana erudizione, poichè io non ho avuto la pretesa di offrire agli studiosi del Folk-lore un lavoro perfetto, ma soltanto un abbozzo di studio ed una traccia per chi voglia seguire lo svolgersi del popolo nostro.

Roma, dicembre 1907.

Giggi Zanazzo
Da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma

 
 
 

Er conte novo

Er conte novo (1)

Jersera er sor Cammillo, er mi' padrone,
quanno seppe ch'er Re s'era deciso
a nominallo conte a l'improviso,
s'è messo a piagne da la commozzione.

Poi cià riuniti tutti ner salone
e ha detto: - Ormai ce semo: ma v'avviso
in modo categorico e preciso
ch'io nun ciò nessunissima ambizzione.



Che, a parte la corona e la contea,
io, per voi, resto sempre er sor Cammillo
e, mi' moje, la sóra Dorotea.

Ma va con sé che da stasera stessa
me chiamerete er conte e, manc'a dillo (2),
la signora sarebbe la contessa ...

Note:
1 Di nuova creazione.
2 Non occorre dirlo.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 389

 
 
 

Er mariggnano

Er mariggnano (1)

Ah Scariotto che pporti pe strapazzo
la bbanniera (2) de Cristo ar cudicuggno, (3)
c’hai de pietra (4) er coggnome com’er gruggno,
botte de furberia sscerta (5) in ner mazzo;

aringrazzia er tu’ Ddio, faccia de cazzo,
aricacchio (6) d’un fijjo de bburzugno, (7)
si ccor zugo de fior de tuttopuggno
nun t’hanno tinto er muso pavonazzo.



Strappete da le spalle quella vesta,
levete da la gola er collarino,
e rrapete la chirica (8) da testa:

perché la riverea d’un assassino
deggno de scelebbrà ll’urtima festa,
è una coppola, un zacco e uno strozzino.

Nu la pijjà cco Nnino: (9)
ma, ssi (10) me vôi conossce, viè a bbottega,
e llí cce troverai chi sse ne frega.

Note:
1 Melanzana, per «prelato».
2 Mantelletto da prete.
3 Cudicugno: vestito.
4 Monsignor Di Pietro.
5 Scelta.
6 Germoglio.
7 Zotico, villano.
8 Ràditi la chierica.
9 Giovannino. Questo sonetto fu scritto e mandato a Giovanni Giraud dopo la pubblicazione che fece egli di uno scritto contro Monsignor Di Pietro, per un tradimento da lui ricevuto in un affare di appalto di neve.
10 Se.

Giuseppe Gioachino Belli
Roma, 20 ottobre 1831
(Sonetto 214)

 
 
 

Taja ch'è rosso

Post n°4009 pubblicato il 20 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Taja ch'è rosso

Piazza Colonna, e un celo paro paro
come un coperchio messo sur callaro.
Appena sente un soffio da ponente,
esce er cocommeraro;
e in fila, a fianco a fianco, sopra ar banco
tante lune scarlatte, a spicchi o tonne,
in un letto de fronne.
«Taja, ch’è rosso!». Piomba
er ganimede in bomba,
er greve e la minente:
lui in fongo e faraiolo,
lei in polacca e scioccaje cor pennente;
e in coda er pretazzolo.
E tutti a cianche larghe e a testa bassa
giostreno de ganassa.



«Taja, ch’è rosso!». In cima a la colonna,
coll’occhio a la cortella che s’affonna
ne la porpa croccante, zitto e muto,
san Paolo ignotte sputo;
finché slonga er palosso
e se frega er cocommero più grosso.
«Taja, ch’è rosso!». E intanto
che séguita la lagna,
taja er cocommeraro e taja er santo;
però san Paolo è jotto: taja e magna
e sputa semi in testa a quelli sotto.

Mario dell'Arco

 
 
 

Er vino

Post n°4008 pubblicato il 20 Luglio 2017 da valerio.sampieri
 

Er vino

Se anticamente s'intoppava (1) uno
er vino je sfogava in allegria,
faceva una cantata e annava via
senza rompe le scatole a nessuno.

Ma se s'intoppa adesso, mamma mia!
Cià sempre l'aria de scannà quarcuno:
strilla, biastima (2), ruga (3) e fa er tribbuno
ch'è la cosa più brutta che ce sia.

Tutta corpa der vino. Mi' marito,
quanno che se pijava le tropee (4),
era addrittura er cocco5 der partito;

poi, co' la cosa de le convursioni,
lassò da beve, mijorò l'idee
e rassegnò le propie dimissioni.

Note:
1 S'ubriacava.
2 Bestemmia.
3 Fa la voce grossa.
4 Le sbornie.
5 Il beniamino.

Trilussa
Da: Ommini e bestie - Sonetti ripescati, 1923
Trilussa, Tutte le poesie, Mondadori, 1954, pag. 387

 
 
 

Li santi protettori de le crature

Li santi protettori de le crature

Quanno so' grandicelli li regazzini so' protètti da Santa Pupa; ma quanno so' cciuchi da latte er protettore de loro è San Todoro, che a Roma veramente lo chiamamo Santo Tòto.

Sicchè ammalappena se sènteno male, povere anime de Ddio, portalle subbito in chiesa a Ssan Todoro, e ffalle bbenedì' co' la relliquia der Santo, è dde ppiù che un dovere de la madre.

Tanto ppiù che San Todoro ortre a le crature da latte, protegge puro le donne che allèveno.

Giggi Zanazzo
Da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, parag. 52

 
 
 

Li santi che cce protèggheno da li malanni

Li santi che cce protèggheno da li malanni

Er Santo che cce protègge contro li dolori de la vessica de l'urina è Ssan Libborio.
Contro la tigna e la rógna San Galicano.
Contro li dolori rumatichi San Mavuro abbate.
Contro la podagra San Tomasso.
San Biacio ce protègge da li mali de la góla.
Sant'Erasmo da li dolori spasmôdichi.
Sant'Antonio de Padova protègge tutte le bbestie da qualunque siesi malanno; e ll'ómmini da le cascate.



Santa 'Pollonia ce guarda dar male de li denti.
Sant'Irena e Ssanta 'Lisabbetta contro li furmini e ll'antre porcherie.
Santa Bónósa contro er vajòlo.
Santa Lucia contro tutti li malanni all'occhi.
Sant'Anna protègge le donne partorènte.
San Ghetano li collerosi.
San Rocco l'appestati.
Santa Marta ce sarva da le mmalatie 'pidèmiche.
Sant'Agusto ce sarva dar dolor de testa.
Sant'Andrea Avellino ce sarva (sarvognuno!) da l'accidenti.
San Nicola e Sant'Emidio ce protèggheno da li taramoti.
San Maturino e Sant'Aventino ce sarveno da la pazzìa.
San Zaccaria fa pparlà' li muti.
Sant'Utropio guarisce li stroppi.
Santo Toto (Teodoro) protègge li malanni de le crature e dde le bbalie o dde le donne che allèveno...
E accusì via discurènno.

Giggi Zanazzo
Da: Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, parag. 112

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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