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Un blog creato da Il_capo_dei_cattivi il 19/12/2004

Malvagità Paradossa

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Post N° 131

Post n°131 pubblicato il 16 Ottobre 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

La storia vera della coccinella Piera

 

E torni in ufficio dopo tre settimane, e la scrivania è piena di cartacce, e ti chiedi perché la gente nel duemilasei, piuttosto che mandarti una e-mail, ti scriva degli appunti sui post-it.

Così sulla scrivania ci cono tanti appunti su tanti post-it, talmente tanti appunti sui post-it che non c’è nemmeno un posticino per appoggiare il tuo computer portatile. Bada bene però, che ci sono meno appunti che post-it, perché chi doveva lasciarti un appunto lungo e non riusciva a scriverlo tutto e su un post-it solo, attaccava tanti post-it uno dopo l’altro e ti scriveva che devi ricordarti di questo e di quello, ma anche di quell’altra cosa (anche se in realtà dovrebbe essere lui a ricordarsi di fare tutte quelle cose lì perché lui è stato assunto e pagato proprio per fare quelle cose lì mentre tu sei assunto e pagato per fare altre cose, ma cosa ci volete fare, che se stai via dall’ufficio per tre settimane a cavallo proprio nel periodo a cavallo tra il mese di settembre ed il mese di ottobre ti fanno subito fare da capro espiatorio per tutto quanto, anche della presenza della mezza stagione a cui non è più abituato nessuno perché fino all’anno scorso ti dicevano lagnandosi che non c’era più questa benedetta mezza stagione).

Il fatto è che la colla dei post-it è un po’ scarsina e così i post-it si staccano e quello che veniva dopo a lasciarti un messaggio importante-importantissimo scritto sui post-it, e non sai capire perché non ti ha mandato una e-mail visto che siamo nel duemilasei, te li incasinava tutti quanti, e poi c’è quella che lascia la finestra aperta perché ha quarant’anni e le caldane come la nonna Abelarda così l’arietta che entra li mischia ancora meglio e magari, se la sera si dimentica di chiudere la finestra che apre per fare entrare l’arietta per moderare le sue caldane, un po’ di pioggerella mattutina inzuppa pure tutti quanti i post-it che ti hanno lasciato sulla scrivania con scritto sopra tanti, tantissimi appunti importantissimi invece di scriverti una mail come farebbe anche la vera nonna Abelarda.

Così il primo giorno che torni al lavoro dopo tre settimane trascorse altrove, proprio nel periodo a cavallo tra il mese di settembre ed ottobre, ti viene una cosa dentro talmente forte, ma talmente forte che, seppure non si tratta di un attacco di diarrea, la devi fare subito, ma proprio subito.

E così metti nel cestino tutti quei post-it giallini, scritti in calligrafia geroglifica, e pieni di appunti importantissimi, ma senza nemmeno leggerli, sotto gli occhi increduli di chi te li ha scritti nelle tre settimane precedenti a cavallo tra il mese di settembre ed il mese di ottobre dell’anno duemilasei, quando tutti gli altri nel mondo si scrivono le e-mail per comunicarsi le cose importantissime che se non le fai subito oggi, l’azienda di millequattrocento dipendenti soltanto in Italia esplode e falliamo tutti subito e la concorrenza ci mangia, de il babau stanotte ti viene a trovare.

Però quando liberi al scrivania da tutti quei post-it, che per metterli in ordine tanto da capirci qualcosa ci sarebbe voluto uno scienziato della Ravensburger od anche due, trovi un puntino rosso e nero che ti guarda con gli occhietti suoi belli.

Ed il puntino rosso a pallini neri fa un saltino con cui si appoggia proprio sul dorso di quella tua mano destra dotata di dito opponibile che alla fine dei conti non ti è che ti sia servita ad un granchè fino ad adesso (se non per scaccolarti e fare palline di caccole da tirare)

E fai subito amicizia con quella Animalia Arthropoda Hexapoda Insecta Coleoptera Polyphaga Cucujiformia Cucujoidea Coccinellidae che ti si è spontaneamente appoggiata sulla mano destra, le parli e le racconti, lei ti guarda. Tu sai che con buona probabilità ti sta facendo la cacca sulla mano, ma se anche fosse si tratta comunque di una cacca piccolina ed a te non dispiace che una coccinella ti sia venuta e trovare appoggiandosi sulla tua mano e che tu gli parli le racconti e ci giochi anche se ti sta facendo la cacca sulla mano.

Poi ti rendi conto che i titolari degli occhi stupiti di coloro che ti avevano scritto tutti quei post-it (che tu hai buttato via perché non si capiva un cazzo ed erano anche un po’ bagnati per via della finestra lasciata aperta da cui probabilmente è entrata la bella coccinella Piera) con scritto sopra tanti appunti importantissimi che se non te ne occupi subito l’azienda sprofonda e viene devastata come, od anche peggio, di Cartagine dopo la conquista romana di Scipione L’Africano tant’è che ci spargono anche il sale sopra alle rovine, pensano che staresti meglio in un ospedale psichiatrico, appeso a testa in giù a fare l’elettroshock con le lampadine in bocca come lo zio Fester della famiglia Addams ed allora capita che la coccinella Piera vola via e chissà dove va.

E così tu resti solo a fare il puzzle dei post-it, tu da solo incompetente in materia perché il puzzle più grosso che hai mai risolto in tutta la tua vita grazie alla mano con il dito opponibile su cui si era posata la coccinella Piera è quello da sei pezzi che avevi trovato come sorpresa nell’ovetto Kinder e tieni ancora incorniciato sopra il letto tutto fiero di te. E perciò ripeschi dal cestino tutti i post-it gialli con la colla scarsa, dopo che il tuo capo che ti è passato vicino e ti ha chiesto se hai letto i suoi post-it su cui aveva scritto delle cose importantissime che se non le fai subitissimo l’azienda intera la usano per provarci l’atomica i nordcoreani e poi Bush ci applica la sanzioni a noi che non si può mica scherzare con questo e con quello e anche con l’altro.

E chissà dov’è andata la coccinella Piera che è volata via attraverso la stessa finestra da cui è entrata, chissà quando si è nascosta sotto ai post-it di cui non si capisce niente ed io vorrei che succedesse come la Settimana Enigmistica e che trovo un post-it dove ci sono le soluzioni e capisco che cosa diavolo devo fare di corsa-corsissima, che se no tutta l’azienda fallisce ed anche i fantasmi degli ex-dipendenti mi vengono a tirare i piedi di notte quando sono nel letto, e poi c’è la carestia, la peste bubbonica di don Rodrigo che se non faccio tutto subito-subitissimo ci affama tutti. Ma io non capisco perché tutti quegli uomini, capo compreso non mi hanno scritto delle mail con le loro mani con il dito opponibile su cui non si è appoggiata la coccinella Piera perché le ha buongusto ed ha scelto invece me, soltanto me.

 

Ciao

 
 
 

Post N° 130

Post n°130 pubblicato il 20 Settembre 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

Comitato per la liberazione delle storie:

Chi si appropria di una storia e vuole tenerla solo per sé, commette un furto.

Una teoria dimostrata con tre ipotesi ed un assioma (insomma ‘na palla mostruosa)

Ipotesi n°1:

Ogni singolo uomo, ogni insieme di persone da tutta la storia del tempo si accompagna con una inderogabile necessità: Il bisogno di narrare storie e di sentirsele raccontare.

E’ certo che si potrebbe provare a confutare questo mio ultimo e fulgido assioma rischiando però di snaturare definitivamente quel poco di umano che ci è rimasto tra implementazione di videofonini UMTS, cosce di mezzapunta fluidificante di fascia, conticorrenti e natiche di Velina.

L’homo Economicus (quello Sapiens che l’ha preceduto su questa terra pare si sia estinto contemporaneamente allo spegnersi dell’attività sessuale del caro Ailuropoda melanoleuca più noto come Panda gigante) si è sino ad adesso sfamato (pur rimanendone perennemente ancora famelico) di storie.

Questo trova finalmente una ragione all’esistenza di “Beautiful”, “Un Posto al sole”, “Centovetrine”, Anna dai Capelli Rossi”, “Mazinga Z”, “il Grande Mazinga” e dei loro inconsulti spettatori.

Ma non è solo questo: se il cervello della signora Susanna (che guarda regolarmente Il bello della Donne 4) e quello di Giacomino (che capisce davvero qualcosa di cos’è e come funziona Yu-Gi-Ho), non ospitasse diversi tipi di storie forse non avremmo niente di simile a ciò che siamo soliti considerare un cervello umano.

Anzi, mi piace pensare che se i nostri antenati non si fossero divertiti a narrare e a riprodurre fiabe e leggende, bubbole e realtà, miti e minchiate (oltre a sviluppare la manualità, la scienza e la tecnologia) probabilmente non ci troveremmo con un cerebro pensante fatto così come lo conosciamo.

Se è da allora che partiamo, dagli albori del uomo si potrebbe spaziare partendo da Omero o dalla Genesi della Bibbia, per attraversare la Stele di Rosetta e le tavolette in cuneiforme sumero, per arrivare all’antico poema epico indiano Mahabharata od ai Sutra tibeto-cinesi.

In tutti questi scritti (lontani nel tempo e nello spazio) troveremmo comunque e sempre l’elemento comune di chi-come-quando-perché è stata data vita all’universo, le saghe di amori e di grandi famiglie, di omicidi e drammi, grandi gioie liberazioni, lacrime, guerre, deliri onirici, indigestioni… eccetera eccetera continuando con titoli diversi ma con oggetti simili per i cinquemila anni successivi al più antico dei testi citati.

Ipotesi n°2:

Se per una volta non considerassimo questa nostra umanità barbara come centrale di tutto l’universo, ed invece giochiamo ad “umanizzare” le cose, potremmo pensare che siano le storie stesse ad aver bisogno di essere raccontate.

Nuovo abbacinante assioma questo mio. E nuovo tentativo di confutarlo che verrà facilmente smantellato.

Immaginiamo quindi uno scenario apocalittico in cui si smette in tronco di raccontare storie. Ma non solo, infatti, in quello stesso Armageddon culturale, si smette anche di stamparle, di leggerle, di metterle in scena, di immaginarle e tutte quelle altre cose lì che si fanno con le storie (incluso toccarsi nel segreto del bagno, proprio lì nell’intimo): esse sembrerebbero così destinate ad un estinzione.

Esse invece sorprendono, sembrano seguire un proprio istinto, una forza vitale che le spinge a traboccare dai vincoli imposti.

A questo titolo, in un antologia di Wu-ming 2 e Wu-ming 4, trovo un paragone interessante (che qui riporto a braccio non avendo abbastanza intelletto per trovarne la fonte originale): Le storie tendono a non accettare i limiti naturali di un singolo habitat sia esso organico, come il cervello, o inorganico, come un libro. Dal punto di vista delle storie, infatti, gli esseri umani sono soltanto un habitat molto favorevole per permettere alla specie di mantenersi viva.

Si può qui prendere dunque in considerazione, come esempio, il parente anziano, od il vicino di casa, o quello che incontrate mentre “scendete il cane che lo piscio”, insomma, abbiamo tutti da qualche parte il classico vecchio un po’ rincoglionito, cagaminchia e logorroico che ci assale pacificamente con i suoi racconti, spesso tristi, spesso “si stava meglio quando si stava peggio”, spesso senza capo ne coda, spesso antichi: ecco, se assumiamo che le storie abbiano bisogno di essere tramandate, di menti in cui riprodursi, di un terreno di coltura che permetta loro di evolversi capiamo perché  molti anziani sentono il bisogno di raccontare le loro vicende.

Sono le storie che aumentano di pressione dentro di loro sentendo l’urgenza di combattere per non morire dentro e con il loro temporaneo contenitore.

Ipotesi n°3:

La vita delle storie, seppur ora “umanizzate” ed autonome, non è però semplice.

Quando penso a questa mia ipotesi mi sembra di vedere una scena di quei filmati sulla riproduzione del Ofiuco d’acqua dolce di Quark Speciale dove gli spermatozooi sono le storie e l’ovulo è il cervello umano.

Il luogo piú ambito che tutte le storie vogliono raggiungere, è il cervello umano.

Più di amebe, tulipani e gattopardi (e di tutte le altre combinazioni creative di catene di DNA e cellule staminali) il cervello umano è l'unico luogo in cui una storia può finalmente allattarsi, svilupparsi, riprodursi.

Però, per fortuna, la nostra mente non è, allo stesso tempo, l'unico ambiente in cui una storia può vivere (dico “per fortuna” perché se penso ad alcuni dei vostri cervelli rabbrividisco dall’orrore). Esistono anche altri “supporti”, anche e su questi essa non vive, ma sopravvive: dopo le solite tavolette Sumere, i geroglifici delle piramidi, ci sono i libri di carta,poi le videocassette ed DVD (anche quelle con i tuoi filmetti zozzi), le EPROM.

Sono opportunità questi “supporti”. Opportunità che consentono alle storie di sopravvivere e raggiungere, prima o poi, quanti più cervelli possibile e tra questi “supporti”, i blog, interattivi e multimediali, confusi e rissosi, diventano sempre di più luoghi in cui le storie possono sopravvivere indipendentemente dai singoli cervelli che le hanno generate.

E’ quindi spiegata limpidamente la mia ragione che chiarisce la ragione per cui i blog hanno codesto successo, ma come spesso accade, le conseguenze di una teoria sono molto più importanti, per la sua accettazione, della teoria stessa.

Per questo è ora di passare a meglio chiarire che centrano in tutto questo agli autori, tutti questi milioni di “geni creativi” che affollano le comunità di tutto i mondo, (Dan Brown e soci in testa).

Innanzi tutto, accettata la mia tesi, si può tranquillamente ridimensionare il ruolo degli artisti, dei giornalisti e dei loro avvocateschi copyright manager.

Chi si assume il compito di raccontare le storie (che come si è già lungamente dimostrato vivono per conto loro) a parole, od in musica, od al cinema è solo un «riduttore creativo di complessità» (definizione questa, rubata al collettivo dei Luther Blisset).

Il narratore non è più un creatore ma semplicemente uno strumento, un pirla, un trasduttore, uno scatolotto che trasforma le storie di una comunità in un tormentone musicale estivo, in una soap-opera di successo, in un polpettone romantico che sbanca i botteghini, in un best-seller.

Accettare questa conseguenza della teoria in oggetto quindi pone l’umanità intera davanti ad una rinuncia: quella di non poter apporre la proprietà esclusiva sulle nostre storie.

Le storie sono di tutti. Appartengono alla collettività, ed è solo grazie ai cervelli di molte persone che possono mantenersi sane ed efficienti nella riproduzione.

Chi si appropria di una storia e vuole tenerla solo per sé, commette un furto. 

(Assioma)

Il narratore che vive del suo lavoro, non lo fa vendendo storie che sono solo sue, ma raccontando storie che sono ANCHE sue, attraverso performance o grazie ad oggetti particolari, i libri, CD ecc ecc che vengono venduti come qualsiasi altro prodotto, secondo la povertà intrinseca delle leggi di mercato.

Il contenuto della narrazione, della musica, dell’immagine invece, può soltanto essere restituito alla comunità, che deve potersene servire liberamente. Liberamente significa: pagando il giusto e quindi garantendo guadagni giusti.

Non parlo di abolizione di diritti d’autore, l’autore deve potersi mantenere in vita con il proprio lavoro almeno quanto il minatore in galleria, ma parlo di equilibrio.

Infine, le storie hanno bisogno di circolare e di replicarsi con tutti i mezzi possibili. Qualsiasi provvedimento cerchi di limitarle sotto questo aspetto è un attentato contro l'evoluzione della cultura e quindi, poiché le comunità e gli individui hanno, a loro volta, bisogno di storie, si tratta di un vero e proprio crimine contro l'umanità.

Queste implicazioni sono forse estreme. Ma forse lo sono solo in apparenza.

Tutto sommato, l'idea di “proprietà privata intellettuale” appartiene a un periodo assolutamente breve e recente della Storia e ogni giorno che passa appare sempre più come il tentativo di vincolare e ridurre una delle attività umane più naturali, collettive e irrinunciabili: raccontare il mondo attraverso le storie.

Ma non c’e certo da stupirsi di questo in un epoca in cui anche il nostro patrimonio biologico sta diventando brevetto di questa o quella multinazionale.

CONCLUSIONE:

Non temete, questo periodo di “ristrettezze” passerà, e non avverrà per opera vostra, accadrà ad opera delle storie stesse che troveranno comunque modo di sopravvivere.

 

 

 

 

 

 

 
 
 

TERENZIO

Post n°129 pubblicato il 28 Agosto 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

Incontro Publio Terenzio Afro ad Huerta de Valdecarábanos a quaranta chilometri ad est di Toledo.

Lui ha il tipico passo leggero di chi è morto nel 159 A.C. e ti sovviene in sogno duemilacentosessantacinque anni dopo.

 

Conversiamo lietamente, d‘altronde lui è un affermato commediografo latino dotato di spirito e talento mentre io sono io sono un  simpatico minchione contemporaneo, con lo stesso intelletto di uno di quei piccoli calciatori di plastica che trovi nelle scatole del Subbuteo.­

Prima trascorriamo un po’ di tempo a prendere per il culo Senofonte,  Archiloco e gli altri poeti giambografi per l'uso diffuso della metrica in tetrametro trocaico catalettico invece che la rima baciata, poi ci sganasciamo dalle risate a pensare alle proverbiali  vittorie belliche di Pirro, re dell’Epiro (nota che il principio della cosiddetta vittoria pirrica, che consta nel raggiungere una modesta vittoria a fronte di enormi perdite, è stata poi ripresa dalla Sisal affinché venisse applicata sui giocatori italiani di lotto ed superenalotto)

Quando però arriviamo al sodo, vedo che nei suoi occhi fatui delinearsi una strana espressione di tristezza:

-          Ma Publio Terenzio che c’è che non va? Cosa turba il tua evanescenza ? Hai forse scoreggiato ?

-          E’ la desinenza Afro applicata al mio cognome che mi turba: mi turba da millenni…

-          Sorbole… ed a che si deve codesta desinenza? E’ inappropriata?

Aggiunsi, divenendo subito alquanto sospettoso.

-          Vedi, non è inappropriata poiché io nacqui in Cartagine nel 185 A.C. e venni a Roma tratto come schiavo da Terenzio Lucano, nobile senatore romano.

-          Capisco. Sei dunque un extracomunitario.

Proseguii, temendo che tutta l’affabilità dimostratami in precedenza fosse motivata solo dal mero tentativo di raggirarmi per vendermi un tappeto.

-          Son Cartaginese di origini, non extracomunitario.

-          Ma si certo, è uguale… Sei arabo e mussulmano, da quelle parti sono tutti così.

-          Veramente Maometto incominciò a predicare solo nel 610 D. C. Più di settecentocinquantanni dopo che sono morto. Non sono mussulmano. E se proprio vuoi saperlo gli arabi vengono dalla Arabia, che sta di là, io son Cartaginese ti ho detto.

-          Sì’ vabbè ho capito. Tanto è uguale.

Concludo concisamente e drasticamente la conversazione, mentre lo fisso con un salubre ed indispensabile occhio torvo. Poi mi decido ad alzarmi per allontanarmi da lui, deciso a proseguire il mio itinerario onirico verso Toledo (ove mi comprerò una rinomata lama d’acciaio con la quale mozzerò la tua testa, caro lettore, domani notte, in un nuovo sogno) senza dovermi sentire in obbligo a comprare il tappeto che di certo questo Abdul di un Terenzio, immigrato a Roma già più di due millenni fa, cercherà di vendermi.

Ma ecco che, proprio come mi aspettavo che succedesse, lui si alza e, comico come una macchietta dei film di Natale di Neri Parenti con De Sica e Boldi, prova a difendere le sue ragioni. Come tutti gli insistenti venditori di tappeti, accendini, e braccialetti del mondo…

-          Non è uguale, non è affatto uguale

-          Siete tutti della stessa risma. Ora devo andare… e comunque non compro niente…

-          Non siamo uguali. Noi, “Africani” come ci chiami tu, siamo delle persone diverse. Prendi Giulio Cesare, Giacomo Leopardi, Caterina de' Medici e Bobo Vieri. Sono tutti italiani: ti sembrano tutti uguali? Oppure prendi te stesso, il fiorista all’angolo, la tua ex cognata e quello che si scaccola mentre aspetta il verde del semaforo all’incrocio? Sei uguale a loro?

Ora ho un po’ perso la pazienza, come osa paragonarmi a quello che si scaccola!?!?! Così gli rispondo tornando verso di lui con aria minacciosa, sfoderando il mio, noto ed ostile, dito indice intimidatorio.

-          Non puoi prendere degli europei, degli Italiani a caso e metterli in un solo calderone. Noi siamo profondamente diversi e caratterizzati. Voi siete tutti uguali ed anche voi vi scaccolate al semaforo. Anzi voi fate di peggio agli incroci: una volta a Marrakech ho visto uno che si lavava vestito dentro ad un catino di acqua sporca che stava caricato su un Ape Piaggio tutto scassato fermo ad un semaforo rosso. Africani trulenti, ignoranti e sfruttatori.

-          Veramente io so leggere, scrivere e fare le parole crociate in latino, greco antico, volgare ed anche in Nubiano. Ed anche quell’algerino che fa il piastrellista ha una laurea non riconosciuta e per questo lavora sabati, domeniche e feste comandate, ma costa molto meno degli altri e a differenza di tutti gli italiani del settore, fattura tutto quanto.

-          Ma come ti permetti. Arrivi qui senza niente neanche le scarpe, ti diamo da vestire, da mangiare, un lavoro e tu come contraccambi ? Incominci subito a criticare le nostre istituzioni!!! Terun, ecco sei peggio di’n terun.

-          Io non sto criticando le istituzioni, sto criticando te. Non sei nemmeno un’ ignorante, od uno xenofobo. Ecco, se almeno fossi uno xenofobo, ci daremmo delle bastonate e da qualche parte arriveremo. Ma niente da fare. Mi parli di luoghi comuni, ed ai miei tempi le scarpe non c’erano, c’erano i calzari.

-          Ora Basta, maledetto Marocchino di un Terenzio Africano. Non fai più ridere. Non hai mai fato ridere. Anzi non sei mai stato un vero commediografo originale. Quella tua opera, come si chiamava… l'Heautontimorumenos (in greco "Il punitore di sé stesso") è solo una brutta copia dell’opera omonima di Menandro. Lui sì che era un figo!!! E non un povero Africano come te!!!! Torna laggiù tu con i tuoi amici su una di quelle vostre bagnarole, va…

 

Suona la sveglia, il sogno si interrompe. Mi spiace solo non aver fatto in tempo ad arrivare a Toledo per prendere quella spada manufatta con perizia di quel celeberrimo acciaio, che mi è indispensabile per mozzarti la testa, stanotte in sogno.

 
 
 

Fiaba: Il piccolo autore inconcludente.

Post n°128 pubblicato il 21 Agosto 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

C’era una volta un piccolo autore brevilineo, brutto e pelato che stava appiccicato come una cozza al suo computer e scriveva scriveva scriveva.

Scriveva di giorno e scriveva di notte, scriveva in ufficio (tralasciando il lavoro) ed a casa (tralasciando la morosa), scriveva con word e scriveva con open office (mai a mano che gli venivano solo i geroglifici o la lingua degli Hittiti)

Insomma scriveva sempre (tranne in bagno, ove leggeva come fanno tutti quanti), tant’è che quasi-quasi non mangiava più neanche e, peggio di tutto, si dimenticava di avere la birra fresca in frigo.

Il piccolo autore aveva le chiappe (un tempo sode come due burrate di bufala campana fresca) ormai flosce, pelose ed a forma di sedia, per quanto tempo trascorreva al computer.

Il piccolo autore però, per quanto faticasse alacremente sudando in mille mutande, non riusciva mai a finire un racconto od un romanzetto, neppure una scenografia per una storiella de La Pimpa od il testo per una canzone di Topo Gigio e Mimo Remigi.

Infatti era un piccolo autore inconcludente.

Occielo!!!! Proprio così. Era un autore inconcludente e anche un po’ vano.

Però un giorno di metà agosto, anzi una sera, o forse era un pomeriggio ma che poteva anche essere una mattina, il piccolo autore, sempre in cerca d’ispirazione, venne illuminato da idea meravigliosa. Si trattava proprio di un lampo di genio, un idea così bella che neppure a me sarebbe potuta venire (N.d.A.: non è vero a me sarebbe potuta venire… anzi: eccome se mi sarebbe potuta venire, a me ne vengono due o tre al giorno così, ed anche meglio di così, ma per dare un minimo di credibilità a questa idea devo scriverne in questi termini).

Era un idea con tutti gli sbriluccichii del caso. Bella ordinata e già chiara dall’inizio alla fine. Tutta composta, un po’ seria, ma anche un po’ divertente. Un comicodramma… Insomma era l’idea perfetta.

Il piccolo autore allora decise che doveva smettere di essere inconcludente, per evitare che un idea così perfetta andasse in rovina e finisse nel sacco brutto delle idee scadute (lì nel sacco brutto delle idee scadute ove c’è anche la tua biografia).

Allora prese due settimane di ferie dal lavoro (tant’è che il suo capo ebbe un malore appena ne ricevette notizia) corse a casa e subappaltò la sua fidanzata ad altri, quindi si chiuse in casa a tripla mandata con una maxi scorta di fonzies, pomodorini e Menabrea. Fece scivolare tutti i telefoni nella tazza del cesso e li salutò con la manina mentre affogavano.

Il piccolo autore incominciò subito a scrivere questa idea meravigliosa e scrisse senza sosta per giorni e giorni, senza mai dormire, guardare la TV e fare la pipì.

Vigevano il rutto libero e l’areofagia emancipata. L’aria era dunque ormai divenuta irrespirabile, ma il piccolo autore coraggioso continuò a scrivere senza distrarsi per aprire la finestra, eroico valoroso ed ad imperitura dimostrazione di quale risoluta determinazione poteva possedere.

I giorni trascorsero e gli amici ed i parenti del piccolo autore incominciarono a preoccuparsi, non ricevendo notizie da tempo ormai immemore. Il fratello fece addirittura bungee jumping dal balcone del piano di sopra, ma non riuscì a centrare la finestra e si accasciò contro un cornicione (fortunatamente il cornicione era sovraccarico di soffice guano di piccione) e non si ne fece nulla.

Intanto il piccolo autore scriveva e scriveva, scriveva ancora e riscriveva senza sosta superando le mille difficoltà che il destino gli parava davanti.

Andò avanti così per quindici lunghi giorni e quindici lunghe notti finché, un bella mattina, ecco che arrivò l’ultimo giorno ed il piccolo autore decise di rileggere quanto aveva scritto, tutto fiero e tutto contento, come se fosse di nuovo quel Natale in cui gli avevano regalato una scatola enorme di Lego Technics e con cui lui costruì un prode sifone per WC.

Lo rilesse e lo fece tutto di un fiato.

Poi sbattè gli occhioni tanto rotondi quanto ebeti, si grattò largamente gli zebedei, chiamò la morosa subappaltata implorandola di tornare, scrostò il fratello dal cornicione su cui era spiaccicato, premette Canc dopo aver selezionato il file del racconto testè concluso e riletto, e vissero tutti felici e contenti.

 

Morale n° 1: se il Signore ed il DNA ti hanno fatto piccolo autore inconcludente ci sarà pure una ragione. Tu la ignori, ma non insistere a voler essere efficace e concludente: fa male a te e fa male al mondo.

Morale n° 2: subappaltare la propria morosa è una pratica vantaggiosa nell’immediato, ma molto svantaggiosa a lungo termine.

Morale n° 3: Questo non è un racconto autobiografico soltanto perché, io sono alto, bello, slanciato e pieno di capelli (ma piccoli) e soprattutto perché le mie chiappe poco pelose e così sode che quando le tocco mi sembra di bussare ad un uscio di ferro…

 
 
 

Bentornato... o no?

Post n°127 pubblicato il 21 Agosto 2006 da Il_capo_dei_cattivi
Foto di Il_capo_dei_cattivi

Lettore, lettrice…

sei tornato dalle ferie ?

Bravo… Brava… bravo…

Al tuo rientro ti sei accoro di niente? Di nessun cambiamento ?

No?!?!

Cioè, fammi capire, sei tornato dalle ferie, abbronzato come una locusta fritta e bruciata nell’olio di snasa, ma sobrio di coca e rhum per la prima volta da tre settimane, ti sei guardato attorno e non ti sei accorti di niente? Proprio di niente?!?!?

Non vedi nessuna differenza ? Ti sembra tutto uguale a quando sei partito?

Sei sicuro che a furia di guardare le chiappe della vicina di ombrellone od il pacco del bagnino non ti sia venuto un glaucoma ed adesso non ci vedi più bene?

Sei sicuro… pensaci bene… non deludermi…

Allora la tua riposta definitiva è “Non è cambiato niente”?

Bravo. È proprio così. Non è cambiato niente.

Avevo organizzato l’Armageddon per il ponte di Ferragosto, ma poi Belzebù, Belial, Lilith, Asmodeo, Azazél, Moloch e Mammone non potevano, visto che erano nel villaggio Valtur libanese e nella fascia di Edgeworth-Kuiper non c’era nemmeno un meteorite disposto a precipitarti in salotto, così non se ne è fatto più niente.

 

Ma non è solo questo: se non è cambiato niente si tratta di immutabilità.

Già… come la persistenza in cielo della costellazione dell’Ofiuco, come l’Essere nelle tesi dei filosofi presocratici come Zenone di Elea e Parmenide. Immutabilità, fissità. Come il destino dei personaggi “sani” de “La coscienza di Zeno”. Immutabilità come Bruno Vespa in Rai.

Ora tu ha posato all’ingresso le valige. Hai riempito la lavatrice di panni sporchi. Hai svuotato il congelatore (è mancata la luce mentre eri in ferie e ti sei ritrovato con i cadaveri di due branzini e mezza mucca, in avanzato stato di impuditrimento e  decomposizione nel freezer).

Ti fai una doccia calda, con il docciaschiuma all’aroma di patchouli e sandalo (non capisco perché visto che di sandalo, anzi ciabatta, già puzzavi prima di farti la doccia), canticchiando la versione popporeggiante di “Seven nation army" dei White Stripes (ma chi, sventurato, ti ascolta pensa che sia l’inno nazionale bhutanese)

Quando esci tiri su con il naso, per recuperare quel moccolo lacrimuccio che ti stava colando. Tanto dispiaciuto di essere tornato alla vita di tutti i giorni. Hai ordinato due pizze ed i calamari (fritti l’altro ieri) alla pizzeria all’angolo. E soprattutto hai acceso Sky, e ti sei messo sul canale delle notizie.

Il giornalista, incravattato e bello come un modello recita gli avvenimenti, alternandosi con la giornalista bella come una pornostar di classe. Tu ascolti e non capisci niente. Come al solito.

I fatti sembrano essere sempre gli stessi, quelli che c’erano prima che tu partissi. Così, mentre rutti i calamari che hai intinto nella farcitura di gorgonzola della pizza, ascolti che Martina Stella dice la sua a proposito di Lapo Elkann, e se un bel barcone pieno di extracomunitari che alla deriva si ribalta come se fosse il Colorado Boat di Gardaland, anche Ronaldo è un po’ sperso e non sa più dove andrà a giocare la prossima stagione. Tra autobombe a Baghdad, missili degli Hezbollah e raid aerei anche Brad ed Angelina hanno dei dissidi, ma loro, che son belli, poi fan la pace.

Però questa immutabilità degli eventi ti trasmette sicurezza. Dipana le tue paure. Riconferma le tue certezze: si tratta quasi di una certa rilassatezza. Ecco quindi che, tornando dalle ferie, in un sovvertimento anaerobico del desueto ed eterno “Panta Rei”, tutto trascende.

Anzi sei così rilassato di fronte a queste certezze e convincimenti che ti scaturisce una pavana. Il gatto che hai vicino a te, adagiato sul divano, diventa cianotico e alla prossima che gli piazzi in atmosfera, così subdolamente e senza alcun preavviso, lui, il felino, probabilmente morrà.

Non dovrai così più nemmeno chiederti, quando giochi con il tuo gatto, se sei tu che ti stai divertendo con lui, o lui con te e ricomincia tutto. Da capo…

 

…o quasi.

 
 
 
 
 

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