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Parco Lambro anni 70    

Post n°9 pubblicato il 05 Maggio 2007 da rebelott62
Foto di rebelott62

Parco Lambro anni 70                                                 

Oggi sappiamo che Parco Lambro non fu, o non soltanto, l'"apocalisse del pop", come i piú fantasiosi la definirono, o l'"apoteosi della provocazione". E, contrariamente a quanto affermarono alla fine dei quattro giorni gli stessi organizzatori, stanchi, incazzati, confusi, non fu neppure l'ultima festa del movimento. Piuttosto, proprio lí, dallo sfacelo del mito di un certo modo di stare insieme - pace, amore e misticismo collettivo, musica come droga e droga come musica ecc. - nacque la necessitá di trovare altre strade, altri modi. E vennero, infatti, altre feste. Alcune quasi clandestine per pochi iniziati come quella di Guello (giugno '77); altre di grande massa, come quella di Bologna (settembre '77), che certo qualche militante ortodosso, anche se della sinistra "nuova", considererá eresia chiamarla festa, ma che é stata, invece, senza alcun dubbio, una delle piú grandi sagre del movimento. Un festival senza orchestre e divi pop-rock, senza danze collettive e girotondi di corpi nudi sotto la pioggia, ma con lunghi e anche gioiosi cortei, canti e slogans. E , soprattutto con un'intera cittá per palcoscenico, anziché un recinto grande molti chilometri ma pur sempre ghetto dell'emarginazione e dell'autoemarginazione, un parco spelacchiato, e ricoperto di rifiuti, ai margini della metropoli. É chiaro dunque, che nel fallimento del Parco Lambro '76, se cosí vogliamo chiamarlo drammatizzando un po' i termini, c'era giá l'embrione di un nuovo movimento, o meglio, della trasformazione del movimento e della sua separazione in diversi filoni, spesso contradditori, come vedremo tra poco. Ma allora né i protagonisti né gli osservatori potevano essere in grado di cogliere questa realtá "in fieri". Ne registrarono solo il punto di arrivo.Certo, ancor piú dopo Parco Lambro '76, fu chiaro anche per gli ex figli dei fiori trapiantati in Italia, che la rivoluzione non era dietro l'angolo. "Questa festa ha segnato la fine del '68", fu il "refrain" che si sentí ripetere fino alla nausea nei giorni successivi al festival. Dalla stampa borghese, dalla stampa della sinistra giá non piú extraparlamentare e da quella ancora extraparlamentare; ma anche dagli stessi organizzatori. Seppelliamo il mito dell'immaginazione al potere; basta con la presunzione di trasformare il "personale in politico", quando manca una precisa ideologia di fondo. Questo, in sintesi, il loro pensiero. E bisogna dare loro atto di aver saputo subito individuare i punti fondamentali di un'autocritica senza compiacimenti. Andrea Valcarenghi, "papá" indiscusso dell'underground italiano, fondatore e direttore di "Re Nudo" e organizzatore di tutti i precedenti festival del proletariato, fu ancora piú preciso. Raccontando, poco piú tardi, in "Non contate su di noi"(Arcana Editrice), come lui e i compagni avevano vissuto la fase preparatoria di Parco Lambro '76, scrisse: "Con l'avvicinarsi dell'estate, quasi automaticamente ci troviamo con il cartello dei gruppi, piú i circoli proletari, gli autonomi e gli anarchici a preparare la VIa festa del proletariato giovanile (.....). Decine di giovani proletari arriveranno da tutta Italia. Nessuno ipotizzó quello che sarebbe successo, nessuno accennó alla possibilitá che la proiezione collettiva dei fantasmi della disperazione avrebbe materializzato mostri da combattere. Nessuno previde che per tanti di noi ancora é necessario darsi un nemico esterno per potere sentirsi uniti contro qualcosa o qualcuno". Anche se "col senno di poi", Andrea ha colto nel segno: il discorso della disperazione che genera violenza fino al punto di partorire "nemici esterni", é indispensabile per capire l'esplosione di comportamenti violenti, che caratterizzó, non solo Parco Lambro '76, ma molte delle grandi manifestazioni giovanili a partire da allora. Gli organizzatori arrivano alla festa giá divisi tra loro, con grosse contraddizioni, che non toccano tanto i problemi tecnici-organizzativi quanto proprio i contenuti politici-ideologici (in questo caso sarebbe piú esatto dire i "bisogni"). E non potrebbe essere diversamente: dietro i "leaders" dei circoli proletari (uso il termine leaders per comoditá, ma so che i diretti interessati lo rifiutano), ci sta una massa abbastanza consistente di giovani e giovanissimi, anche se con tutta la fluiditá che nasce dallo sbandamento, dall'emarginazione; i circoli hanno il ruolo di aggregazione dei nuovi soggetti politici venuti fuori dalle sacche del proletariato, dal profondo Sud trapiantato nei quartieri-dormitorio delle metropoli industriali. Questi soggetti politici emergenti, che sono tali anche se non hanno - non possono avere - una cultura e una ideologia politica limpida, rappresentano il prodotto della crisi economica, della disoccupazione e sottoccupazione galoppante, dello sfacelo delle istituzioni, dello scollamento sempre piú drammatico fra civiltá contadina e civiltá industriale, tra Nord e Sud. Che cosa possono avere in comune col '68 e con i suoi protagonisti? La loro comparsa sullo scenario sociale italiano non avviene certo a Parco Lambro '76; giá da alcuni mesi, soprattutto a Milano, perfino i benpensanti che preferiscono il gioco dello struzzo, non hanno potuto fare a meno di accorgersi, con paura, della loro nuova realtá. Tuttavia, é vero che Parco Lambro, offrendo l'occasione di trovarsi tutti insieme, elargendo la speranza-illusione di una "cittá del sole", ha reso inevitabile il loro passaggio dal ruolo di comparse, o al massimo comprimari, a quello di protagonisti. Ma la rappresentazione non poteva essere che a senso unico: quella, terribile e frustrante per tutti, della loro incazzatura, della loro solitudine, della loro ribellione impotente. Logico, a questo punto, che, con un gioco degli scambi anch'esso molto teatrale, il ruolo di semplici comparse spettasse, invece, ai primi attori dei festival precedenti, fra l'altro soggetti politici molto piú omogenei: i ragazzi "alternativi" che si riconoscevano nella linea libertaria e pacifista di "Re Nudo", con larghe aperture, almeno fino ad una certa fase, verso Marco Pannella, i suoi digiuni e i suoi spinelli; poi, piú verso "Lotta Continua"; con molti vacillamenti nella line marxista, ma con massimi spalancamenti nei confronti di Wilhelm, Reich, Laing, Cooper. E, naturalmente, con travolgenti amori, poco contrastati, per le filosofie orientali. Le universitá di Roma e Bologna sono oggi il crogiolo di una realtá molto esplosiva rispetto alla "Statale" milanese (centro, invece, del movimento dle '68). Ma é importante anche la presenza - per quanto riguarda il capoluogo emiliano - da una parte, di un gruppo di nuovi intellettuali ("nuovi", anche se non piú giovani) che fanno capo alla rivista "Il cerchio di gesso"; dall'altra, dei "creativi" di "A/traverso" e di "Radio Alice". Il movimento bolognese, anche con lo strumento di queste voci, ha rappresentato la calamita del contatto con i "nouveaux philosophes" francesi; la scintilla del conflitto aperto col PCI e la giunta rossa e, infine, il punto di partenza per la grande manifestazione-spettacolo del settembre '77, a Bologna, appunto. Tutto, o quasi, ;e giá stato detto di questo "cinemascope" del movimento. Qui ci interessa soprattutto mettere in luce i punti di confronto-scontro con l'altra grande festa di 15 mesi prima, quella di Parco Lambro, appunto. Capire, ad esempio, perché, pur essendo i suoi protagonisti altrettanto e anche piú eterogenei di allora, riuscirono a trovare dei motivi di contatto e di aggregazione molto forti (a Bologna c'erano gli studenti del movimento, ma in un arco assai vasto, da quelli della nuova sinistra, peró moderati, fino agli autonomi; e poi gli indiani metropolitani, le femministe, gli omosessuali, gli emarginati, ormai ribattezzati "non garantiti". La ragione essenziale, mi pare, é questa: mentre a Parco Lambro fu necessario, come abbiamo visto, inventarsi un "nemico esterno", su cui neppure tutti si trovarono d'accordo, a Bologna, invece, ci fu compattezza totale nel manifestare contro la repressione, scatenata negli ultimi mesi da Cossiga e dai suoi "servi". Una repressione forse piú feroce di quella del '68, perché ha portato alla criminalizzazione indiscriminata del movimento; una repressione capillare e subdola che ha fatto temere, nei momenti piú drammatici, qualcosa di peggio della instaurazione di uno stato di polizia, addirittura una specie di edizione italiana del famigerato "berufsverbot" germanico. Naturalmente il nemico "non da inventare" era anche il PCI, che, dopo la prima fase di trionfalismo post-elettorale, aveva profondamente deluso le aspettative dei giovani. Tutti uniti, dunque, questa volta: perfino gli autonomi di Oreste Scalzone non sono stati emarginati, poiché aveva provveduto lui stesso ad emarginare le frange piú violente. Ma esiste un altro motivo importante nel successo di Bologna rispetto a Parco Lambro: "l'ultima festa del proletariato giovanile" non era riuscita a distruggere la separazione schizofrenica "io-faccio-qualcosa-e-tu-stai-a-guardare"; a Bologna, invece, gli adoratori della formula magica "eliminare il palco" sono stati finalmente soddisfatti. Il palcoscenico si é dissolto. Palcoscenico é diventata la strada. "Siamo stati tutti quanti attori, tutti quanti poeti, cantanti, ballerini, giocolieri". E questo ha permesso anche l'esplodere della massima creativitá, anche nei cortei piú duri, anche negli slogans piú violenti: il nuovo modo tutto creativo e ironico - e autoironico - di fare politica/non politica degli "indiani" ha contagiato un po' tutti. E questo (che era mancato completamente a Parco Lambro) resterá come uno dei tratti essenziali nell'identikit del "movimento" del '77, anche dopo Bologna.

 

 
 
 
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