Creato da lauro_58 il 10/11/2006

Next 2.0

A volte ho vinto, molto più spesso ho perso. Cammino tra le strade della speranza senza ripari. E se inizia a piovere, mi fermo e guardo attorno. Poi alzo il bavero del cappotto, accendo una bionda e ricomincio a camminare.

 

 

Cuba Libre

Post n°320 pubblicato il 03 Maggio 2013 da lauro_58

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Il locale è pieno di gente, perlopiù quarantenni che si fingono impegnati a relazionare tra di loro. Oppure chissà, le loro trame oratorie sono schiette e croccanti come una renetta appena colta dall’albero. Sarà che non sono più abituato a uscire da solo. Non so, mi faccio tutta una serie di scrupoli e mi sento fuori posto, così chiedo una vodka con lime e cerco di stordirmi un po’. Preferirei una Absolute ma non si può avere tutto dalla vita, per cui mi accontento. Ma non è una vita che ti accontenti? Mi rivolgo questa domanda del cazzo che non ha nulla di esistenziale cercando una disinvoltura di prammatica, senza esondare in atteggiamenti che possano attirare l’attenzione. Anche questo è un modo di fare del cazzo. A chi devo prendere per il culo! In fondo ogni mio gesto è una storia finita che è diventata altro, il mio passato, il mio pensare e provare altre strade per la fuoriuscita del fuoco. E non frega un cazzo a nessuno. Ce ne saranno duecento di persone qui che si portano la loro storia appresso e non la fanno tanto lunga.
Mi ritrovo con gli occhi dritti dentro quelli di una donna che i suoi amici chiamano Sara.
Sara osserva e ascolta gli altri e poi guarda me, io osservo lei, la notte ci osserva tutti con il tipico garbo menzognero di chi sa che presto tutto finirà, appena la rugiada darà l’arrivederci alla luna. Vorrei non fosse così, che la notte porti da qualche parte insomma. Non mi interessa nemmeno il solito sesso, quello che urla nei pantaloni e si strofina sulle cosce, che scambia il desidero per eccitazione, la complicità per appagamento, relegando la compagnia ad una semplice assonanza di muscoli.
Ordino un Cuba Libre e dico al ragazzo dietro al bancone di portaglielo. Ne ha finito uno da un po’, magari lo accetta. Quando il barman glielo serve facendo un cenno verso di me, lei alza il bicchiere per un discreto Cin, beve un sorso poi dice qualcosa alla cricca con cui sta passando la serata. Poggia il bicchiere e viene verso di me. “Vado al bagno mi aspetti?” mi fa quando è abbastanza vicina perché la possa sentire. La fermo con un cenno.
“Non voglio scopare.” Rispondo.
“E chi ti vuole scopare. Ma che sei scemo. Avrai cinquant’anni.”

“Grazie, il mio ego te ne sarà grato domattina.”

“Ma come cazzo parli.”

“Parlo da cinquantenne.”
“Vado in bagno, aspettami fuori. Ci fumiamo una sigaretta.”

Spero che la sensazione che ho, quella di essermi ritagliato un po’ si spazio nel suo spazio non sia tempo sprecato. Infondo perché dovrebbe esserlo. Al limite, ripensandoci, mi farà respirare meglio nel letto quando l'alba sarà già dietro l'angolo.
“Ok scusami. Ti aspetto fuori.”

Succede così e non posso farci nulla. Per anni ho pensato che la passione andava violentata, placata in corpi uniti e bocche bagnate, affamate, dopo aver fatto in modo che tutto fosse sopra le righe, una specie di marea capovolta e invece basta un pullover senza nulla sotto, un filo di trucco. L’emozione può scoppiare anche in questo modo, ascoltando una voce. Anche così riesci a non sentirti solo.
Ritengo importante il rumore dell'armadio della camera da letto che si apre, della cinta che si chiude, dell'accendino che si accende … tutto è determinante e non permetto che ogni istante rinunci ai miei progressi, perchè tutto ha un senso ... tutto ha un senso.

Quando Sara sorride per il racconto piuttosto ordinario di un tipo ormai ben piantato nella vita provo un momento di intensa gelosia anche se non dovrei. Che senso ha, stiamo parlando di noi. E' così lontana dai miei rumori, come potrà mai farne parte. Poi penso che sta lì davanti a me e già ne fa parte. Il vento passa tra le nostre mani lontane, la notte è un piccolo diadema in movimento e finirò col morirci sopra se non le chiedo il numero di cellulare o se vuole rivedermi domani. Ho le labbra calde e i miei spostamenti sono timidi, trattenuti, accorti. Sarà la differenza di età questa specie di devozione, di sicuro una sigaretta non basta per scovare un cenno di approvazione. Il vento continua, misura la distanza dei nostri corpi, due fonti di calore sospese tra altre persone e chissà quante parole.
L'ultimo sguardo è il mio, arriva ma non si presenta e ordina invece tutte le tonalità del buio che ci circonda.
Non c'è niente da fare, non ce la farò mai. Lei spegne la sigaretta, tira fuori un bigliettino. “Vado a finire il Cuba Libre. Telefonami ok?” E mi lascia lì da solo. Me la immagino nuda che si lascia andare, mentre la abbraccio da dietro sentendomi appagato solo per quella confidenza. Non vorrei altro, null’altro che questo.

 
 
 

Quasi come a casa (5)

Post n°319 pubblicato il 24 Aprile 2013 da lauro_58

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"Appena il tempo di stupirsi” la voce dell’affabulatore ci sorprende con un tono trionfale, svegliandoci da quell’ipnotica visione “quello necessario per un fremito d’incredulità, giusto il giusto per sorprendersi. Che vi avevo detto! Guardatevi gente, avete gli occhi sgranati e la bocca aperta con il miglior stupore stampato in faccia. E non importa che il trucco lo avete visto fare migliaia di volte, siete sorpresi perché qui non c’è trucco signori e signore e non sono io a dirlo per carità, ci sono le vostre facce che parlano per me e anche le vostre meraviglie, il vostro stupore. Ma ora si parte e che il viaggio abbia inizio!”

Non so che valore dare a quelle parole, forse mi sono lasciato coinvolgere troppo dall’abilità oratoria del tipo, ma che l’affabulatore ce l’abbia con il pubblico intero mi delude visto quello che ha detto sottovoce accostandosi a me all’entrata. Eppure sembra guardi in platea ora qui, ora là e quindi nulla e nessuno in particolare. Poi si fa avanti fino a guadagnare il bordo del palco, proprio di fronte a me, mentre dietro il mago continua a folleggiare manipolando quel corpo di donna in evoluzioni incredibili, piegandola e sollevandola in modo talmente improponibile che penso nulla possa stupirmi più di ciò che già vedo. E invece il giocoliere di parole ci riesce ancora una volta. “Che il viaggio abbia inizio, ho appena detto! Come pure che l’inganno è estraneo a questo proscenio. E per dimostrarvi che non sono avvezzo alle bugie, chiamerò uno di voi  per continuare lo spettacolo, anzi per raddoppiarlo visto che al fare del mago, il prescelto farà altrettanto. Diventandone il sosia imitatore nelle cose di illusione e via dicendo, pur essendo estraneo, e ribadisco estraneo, a certe pratiche.”  Poi con un gesto deciso ma deferente, così confidenziale da risultare quasi affettuoso, allunga un braccio verso di me e ci orienta anche lo sguardo, in modo non possa equivocare sulle sue intenzioni. Poi dice “Si torna a casa”  sistemando quella frase tra un sorriso ed un gesto ripetuto della mano come per dire
“andiamo”.

continua...

 
 
 

Quasi come a casa (4)

Post n°318 pubblicato il 23 Aprile 2013 da lauro_58

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Un mago in bianco e nero saluta il pubblico ed anche me, che mi becco quindi due saluti insieme. Non c’è un posto libero potrei giurarlo. Lo so anche se non mi giro per guardare, lo sento dal chiacchiericcio e da quella incontrovertibile certezza che ti prende ogni tanto in determinati momenti e non sai bene il perché. Non mi giro. Non voglio perdermi nemmeno una virgola, un cenno, una scena, una luce, una parola. C’entra, eccome se c’entra, quello che mi ha sussurrato l’omone dalla faccia colorata, ma forse c’entra anche qualcos’altro ma non ci voglio pensare. Per ora voglio solo che la promessa non sfugga da me per una disattenzione, una distrazione, il che la dice lunga sul desiderio che la vita mi sorprenda dopo che ho sognato lo facesse per ben più di una volta. Oh si, una volto è troppo poco per quantificare quel tipo di desiderio. Tra l’altro nemmeno così originale, credo che di gente in cerca di novità ne è pieno il mondo e per tutti funziona allo stesso modo. Non è così che funziona! Nel senso che se aspetti ciò che desideri, il più delle volte continui ad aspettare … è per questo che ho deciso di entrare, anche per questo ho deciso di entrare. Il mago allarga le braccia e dice ”Buonasera carissimi eletti, e dovrei dire prediletti perché avete avuto il coraggio di credere, che non è un difetto farlo a priori perché qui a priori non esiste nulla al di fuori del niente, che non c’è per definizione ovviamente …” Poi sfila il mantello dalle spalle con un gesto che si spiega roteando su se stesso e attorno al braccio come fosse una nuvola di cipresso che sparisce. “Però il niente non esisterebbe se non ci fosse il tutto, per cui quello che vedrete potrebbe essere vero oppure no. A voi la scelta, a me la vostra attenzione.” Quindi deciso e senza ripensamento alcuno gira le spalle e accenna un passo. Si allontana da noi e il palco glielo permette. Sa bene cosa fare, penso. In fondo di uno spettacolo gli unici ignari sono gli spettatori, funziona così, altrimenti che spettacolo sarebbe. Sa bene cosa fare e lascia tutto lo spazio a due bocche incandescenti che mordono l’aria uscendo dal niente. All’improvviso! Lacerando l’oscurità ai lati del proscenio come ruggiti di fuoco indomito, annunciando in questo modo un’entrata che non ti aspetti, un’entrata gentile come quella di una ragazza che si mette davanti al dispensatore di illusioni. E’ uno spettacolo in bianco e nero dal sapore retrò quello del mago che tocca fronte della ragazza, bella malgrado tutte le sfumature di grigio, bella anche se diventa rigida come un tronco di cipresso, al tocco del mago. Un gesto sulla fronte, proprio li davanti, sopra gli occhi, a spingere quel corpo che sembra un manichino incernierato sui fianchi per come ruota cambiando posizione, passando da uno stato di verticale normalità in uno inverosimile di orizzontale staticità e lascia tutti a col fiato sospeso perché così è quel corpo … sospeso. Sospeso per davvero. Un giovane corpo di donna galleggia senza aiuti nel niente a parte l’aria e nessuno sa bene come questo possa succedere.

continua ...

 
 
 

Quasi come a casa - Una favola - (3)

Post n°317 pubblicato il 19 Aprile 2013 da lauro_58

 

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Entro con il biglietto in mano come ha promesso, senza aver toccato il portafoglio perché davvero non importa dimostrare di avere quel becco che nel detto parla di quattrini e penso sia un buon segno, ma la novella ha equilibri incerti e ali tarpate per cui subito mi contraddico per colpa, temo, di una cialtroneria  talmente bassa da segnare il negativo se avessi a disposizione una scala per poterla misurare. La questione è semplice. Dentro è tutto così diverso dalla sfarzosità d’etichetta, cambia così tanto da fare impressione, quasi mi pento di aver fatto il grullo e dato la stura alla processionaria di pecore in coda per un biglietto. Tergiverso per decidere se continuare a mettere un piede davanti l’altro o girare l’alluce e tutte le dita per ripassare sulle orme lasciate alle spalle. Succede perché mi ritrovo in un posto ben lontano dalla grandezza che l’esterno del tendone lascia intendere e non ha nemmeno le fattezze di una platea teatrale. Al massimo, a voler usare la fantasia, potrebbe ricordarla. Ma di quelle vecchie, anguste e alquanto demodé. E’ inutile negarlo, il vestito sfarzoso non è una promessa mantenuta e il contenuto non fa certo il monaco, proprio come dice il proverbio, a parte i seggi luminati, che appena metto piede nella sala iniziano una specie di festa accendendosi e spegnendosi come fosse partita una lotteria di luci visto che dopo un po’ di girandole, si conclude proclamando il primo estratto. Solo una delle poltroncine rimane accesa e due figuri mi invitano a prendere posto proprio li, su quello scranno che potrebbe risultare scomodo per chi non è avvezzo agli onori, alla ribalta, al centro della scena. Ed è così che mi sento, schivo e riluttante di essere oggetto d’attenzioni, per cui la cosa non mi entusiasma affatto. “A quanto pare il tuo posto è questo.” Mi dice uno dei due incoraggiando il mio avanzare impelagato in incertezze e ritrosità. A prima vista sembra un pazzo almeno quanto il cespuglio di capelli che si porta appresso. Il suo aspetto è così patito da considerarne la giusta conseguenza il fare dinoccolato, accentuato da un collo oltremisura sotto una tuba in velluto marrone. A pensarci bene anche l’affabulatore ne è fornito, di copricapo intendo, ma rosso, quasi fosse un segno di distinzione quello, come se andasse a braccetto con la mansione di chi lo indossa. Mi viene da pensare al particolare in automatico, un po’ strano a dire il vero e in parte lo è, perché anche il suo compare ne ha una in testa uguale e se tanto mi da tanto la loro mansione deve avere lo stesso fine. Ma è la sola cosa che li accomuna mi dicono gli occhi, visto che è basso, tarchiato, paffuto e quel suo “Sgrunf, sgrunf” che vorrebbe essere una risatina, assomiglia più al grugnito di un maiale e anche lui a voler essere gentili. Verrebbe voglia di guardagli e sedere per controllare se per caso a corredo non abbia la stessa protuberanza a tortiglione del suino, li sull’osso sacro. “Devo proprio?” domando al secco “Non è mica un dovere.” A dire il vero mi risulta difficile credergli, ma sembra proprio non abbia via di scampo, visto che la sala inizia a riempirsi di un brusio sempre maggiore oltre che di persone. Non posso far altro che sedere per evitare discussioni e lo faccio mio malgrado proprio li, dove gli occhi di tutti passano almeno una volta quando mi dice bene per guardare e cercar di capire chi ci sia in quella specie di luminaria formato poltrona. Di colpo il buio e la mia seduta non è da meno. La cosa mi piace e mi piace ancora perché questo significa che forse potrò godere dello spettacolo a modo mio. Poi un soffuso chiarore, di poco conto, rischiara il palcoscenico prima che il sipario si apra.  

... continua

 
 
 

Quasi come a casa - Una favola - (2)

Post n°316 pubblicato il 17 Aprile 2013 da lauro_58

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Ce l’ha con me lo strillone all’ingresso del teatro che è una tenda iridescente come un arcobaleno dopo una tempesta, di quelli che spuntano quando la terra sa di polvere allagata e l’erba bagnata profuma di verde gusto sintesi clorofilliana così intenso da far schiantare quei colori oltre nuvole per quanto schizzano in alto. Una tenda che non si è mai vista dalle nostre parti o almeno dalle mie e almeno fino a ieri, che la devono aver alzata in un battibaleno e mi giocherei tutte e due le mani che fino a ieri sera non c’era. Ce l’ha con me ne sono sicuro perché mi guarda dritto negli occhi ed è come se mi esortasse a entrare e poi guarda altre dieci, venti, cinquanta persone e forse più ma non come lo fa con me, visto che si sono fermate perché altri si sono fermati prima di loro e io prima di tutti e tutti ma proprio tutti ci stiamo godendo il parlare, convinto, accorato, affatato di un saltimbanco delle parole, a voler usare una sua definizione. Ed è convincente perché è lui il primo a crederci in quel che dice e si vede e poi si sente che è così. Allora rompo gli indugi ed entro, battendo gli altri … tutti gli altri sul tempo, che il mio fare funziona come un segnale per dire “seguitemi” visto che lo fanno in massa come non mi è mai successo, come se ci fosse un tacito accordo. Tutti si mettono dietro, in fila indiana o quasi e sembra non aspettassero altro che un babbeo facesse la figura del citrullo e per questo, solo per questo mi becco un “Ben fatto ragazzo che non sei più un ragazzo. Benfatto perché non segui chi sceglie di farlo per bisogno o per insicurezza o per mollezza d’animo. Ben fatto a chi non ha paura di scegliere per primo, di non fare il pioniere per non sbagliare, ben fatto signore dai capelli d’argento, la storia per te si farà interessante” dall’affabulatore che dispensa concetti colorati e speranze al buio, come il più ignoto degli incontri.

... continua

 
 
 

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