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LA CHIESA E LA SESSUALITA' SACRA. Storia minima di un sacramento "perduto".

Post n°29 pubblicato il 19 Luglio 2009 da marcalia1

          Porre in relazione la sessualità all'idea di sacro crea oggi uno scomodo paradosso per molte persone.[1] La nostra educazione sessuofoba e patriarcale, secondo l'orientamento culturale della Chiesa, sin dall'infanzia ci ha accompagnati con l'idea del corpo come tabù, della sua condanna e della conseguente repressione degli istinti venerei. Per Merlin Stone, una studiosa americana specializzata in antiche religioni, «noi dovremmo considerare la possibilità che tali giudizi o reazioni siano il risultato dell'insegnamento e del condizionamento di attitudini religiose presenti nella nostra società, le quali sono esse stesse fondate sulle ideologie di coloro che costantemente e ripetutamente, dall'inizio, hanno condannato i costumi sessuali della Dea».[2] Pertanto, contro l'affermazione di ogni libertà dell'individuo, l'ideologia clericale ha inteso il rapporto sessuale come un atto di cui vergognarsi, oltremodo particolarmente peccaminoso e svilente se avulso dalla funzione della mera riproduzione biologica: più che un servigio proteso alla fecondità erotica, il tutto si è risolto invece in un processo al contrario di autolimitazione, ad un «culto della sterilità».[3] Diversamente la sessualità moderna, molto più disinibita e sempre meno agganciata alla subdola etica curiale,[4] ha assunto così i connotati dell'involuzione erotica dirizzata verso il puro sovvertimento (scatologia, stupri, bestialità, pornografia e pedofilia sommersa) dei modelli imposti dall'ideologia dominante, che per gli occidentali (specie soprattutto per noi italiani) risulta essere sempre e comunque quella della fratellanza antifemminista vaticana.[5] Certamente è un dato di fatto che la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo, e che accanto al meretricio «secolare», svolto per pure ragioni alimentari, in alcune religioni antiche il dono del corpo femminile abbia invece assunto una funzione determinante per avvicinare gli esseri umani alla trascendenza del divino.[6] Il sesso, amministrato dalla donna, veniva considerato come un vero e proprio rito misterico di passaggio, un sacramento operativo che cambiava gli individui dal profondo, ponendoli su un piano d'efficacia superiore, metaforicamente iperuranio:

[...] Il coito con una prostituta consacrata a una divinità non è che uno dei mezzi, dello stesso tipo della comunione, per aggregarsi alla divinità o addirittura identificarsi con essa.[7]

          In latino sexus vuol dire diviso ed implica perciò una separazione volta però ad una riunificazione: la solenne festa misterica delle nozze sacre era pertanto tesa a riunire le due polarità scisse (maschile-femminile) in una perfetta fusione come nell'eternamente presente mito dell'Androgine e pertanto costituiva un grande, unico, sublime mistero che si focalizzava nella copula, ovvero nel riaccorpamento dei sessi in una sola carne, dove il momento magnetico, cioè la forza attrattiva del congiungimento, era (ed è) sempre fornito essenzialmente dalla donna.         

          Poi, ad un dato momento, subentrò la Chiesa con l'idea della rinuncia alla carne. Lo stesso matrimonio cristiano è la variante trasfigurata e casta di quel «dissoluto» accoppiamento carnale partecipato sotto la benedizione del divino: il sacramento delle moderne nozze tra moglie e marito, coi suoi cortei di paggetti e delle damigelle d'onore, coi suoi canti vibranti e i suoi gridi di giubilo si caratterizza come il deformato residuo dell'originaria volontà ecclesiastica di porre rimedio al fomite della concupiscenza pagana. È bene chiarire subito che il concetto di sacramento, proprio della dottrina cattolica, è entrato nella prassi liturgica attraverso le religioni misteriosofiche.[8] Ma rimovendo la sessualità sacramentale come funzione religiosa compiuta nei templi dedicati alle dee dell'amore, la Chiesa fallocratica si è assicurata il dominio maschile dei santi misteri: di conseguenza anche la prostituzione rituale femminile (a Baalbek-Eliopoli, in Siria, continuò addirittura fino al IV secolo malgrado il cristianesimo ormai diffuso in tutta la regione),[9] prostituzione un tempo considerata dunque ieratica e numinosa, è finita per decadere solo allo squallido mercimonio di carne umana eseguito sulla strada.

 

 


[1] Cfr. A.T. Mann e Jane Lyle, Sacred Sexuality, London, Vega, 2002, p. 6.

[2] (We should consider the likelihood that such judgments or reactions are the result of the teaching and conditioning of religious attitudes present in our society, which are themselves based on the ideologies of those who initially and repetitively condemned the sexual customs of the Goddess), Merlin Stone, When God was a Woman, New York, Harvest/Harcourt Brace Jovanovich, 1976, p. 154. La traduzione è mia.

[3] Ivi, p. 155.

[4] La postura sessuale "alla missionaria", tecnicamente della venus observa, in cui la donna giace sotto l'uomo, è così chiamata perché i missionari durante le opere di conversione per il mondo spiegavano ai non cristiani che quella era l'unica posizione esente dal peccato durante la procreazione, con il beneplacito di Dio. In realtà la venus observa, oltre a concedere egoisticamente meno piacere alla donna, ribadisce anche nell'atto erotico il dominio patriarcale e l'idea ecclesiastica della sottomissione del sesso femminile, come san Paolo ha purtroppo ben insegnato.

[5] Su questa problematica si veda il datato ma pur sempre valido saggio di Wayland Young, Eros Denied. Sex in Western Society, New York, Grove Press Inc., 1964.

[6] Indicativamente la Grande Madre indiana Devi veniva salutata come Devayani, la Yoni Divina, cioè «la Via che conduce agli Dèi».

[7] Arnold Van Gennep, I riti di passaggio, Torino, Bollati Boringhieri, 1981, p. 148.

[8] Cfr. Ambrogio Donini, Breve storia delle religioni, Roma, Newton&Compton, 1991, p. 195.

[9] Cfr. Laura Rangoni, La Grande Madre. Il culto femminile nella storia, Milano, Xenia, 2005, p. 50. Fino al XIX secolo la prostituzione rituale veniva ancora praticata in Egitto da parte delle ghazye, una classe sociale formata solo da sacre prostitute musulmane che privilegiavano di un'alta considerazione al tempo dei Mamelucchi. Per quel che mi risulta, attualmente solo a Karnàtaka, in India, viene esercitata la prostituzione templare.

 

 
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marcalia1
marcalia1 il 20/07/09 alle 10:53 via WEB
Ti ho dato del lei perché leggendo il commento pensavo avessi usato questo allocutivo. E poi, non sono professore: al limite dottore (in Lingue e letterature straniere). In ogni caso, rispondo alla tua domanda. Gli apocrifi hanno lo stesso diritto ad essere considerati documenti probanti come i Vangeli canonici. A scegliere quali libri su cui il volgo avrebbe dovuto basare la propia fede furono i vari concili ecumenici tenutisi nel corso dei primi secoli. Poi, nel 367, il vescovo Atanasio d'Alessandria compilò un ulteriore elenco delle opere da includere nel N.T. L'elenco fi ratificato dal Concilio di Ippona e, quattro anni dopo, dal quello di Cartagine. E' come se un conclave di critici letterari di dicesse quali libri leggere, senza spiegare esurientemente perché la scelta siano ricaduti proprio su di taluni e non su altri. Gli apocrifi furono ritenuti libri eretici, anche se etimologicamente "apocrifo" vuol dire segreto o nascosto. Ma eresia deriva dal greco haìresis, che vuol dire semplicemente scelta. Quindi i libri eretici non implicano assolutamente qualcosa di miscredente o, peggio, di malefico e demoniaco: sono semplicemente stati eliminati da una cernita del tutto illogica, sotto la pretesa fideistica che, al contrario, i canonici fossero frutto dell'ispirazione divina. In altre parole, ogni testo che nel corso del tempo la Chiesa non andava considerando nell'insieme organico di un canone prestabilito, venne bollato come come fasullo, inattendibile, spurio:in una parola, "apocrifo". Ma ancora oggi questa selezione è frutto di controversia: basta dire per esempio che l'inclusione nel canone delle Scritture del libro dell'Apocalisse, riferita all'evangelista Giovanni, non avvenne prima del V-VI secolo, tanto era forte il sospetto che a scriverlo non fosse stato un apostolo: addirittura un certo Caio, sacerdote romano del III secolo, l'attribuiva ad un eretico di nome Cerinto!
 
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