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Rubella

Foto e citazioni

La mia gloria sono i libri che ho letto non quelli che ho scritto

Post n°816 pubblicato il 02 Agosto 2014 da pier950

Sabato 2 Agosto, 2014
CORRIERE DELLA SERA

Vivo senza cose secondo natura. Ma non chiamatelo disordine

Per entrare nella casa di Mauro Corona, a Erto, in Friuli, a poche centinaia di metri dalla diga del Vajont, bisogna scavalcare una montagna di trucioli di cirmolo, fare lo slalom tra le macchine per segare il legno, le corde, gli scarponi per scalare le Dolomiti bellunesi, le sculture di legno e soprattutto i libri. Ed ecco, che in questa sorta di presepe contemporaneo si incontra finalmente il 64enne «folletto» della letteratura italiana — i suoi ultimi libri si intitolano «Guida poco che devi bere» e «La voce degli uomini freddi» edito da Mondadori, «La Casa dei sette ponti», Feltrinelli —, intento a scrivere a mano, riscaldato dalla sua stufa in ghisa e dal cane Rocci, un meticcio dal pelo lungo color champagne. «Il mio vero appartamento, però — ci tiene subito a precisare — è la Valle d’Inferno, dove, specialmente durante l’estate, dormo sotto un sasso mettendo la testa a nord. Ha un nome orrendo eppure è un paradiso. Lì durante la notte i cervi si chiamano e una falce di luna mi rischiara la schiena. L’architettura della natura è meravigliosa, gli architetti dovrebbero usare di più il legno, invece del cemento, l’acciaio e il vetro. Maledette archistar...». La sua casa, studio, bottega di falegname è appunto fatta tutta di legno. «È un caos rigorosamente ordinato, l’esempio di come si riesca col calore dell’anima a rendere accogliente le mura di cemento. Taglio gli alberi dall’11 al 21 maggio, quando dall’Amazzonia all’Est del mondo emettono un fremito, scossi da una terremoto planetario. E con quelli costruisco i mobili e tutte le altre cose necessarie per vivere — racconta l’autore friulano capace di vendere oltre due milioni di copie —; per me la casa ideale è quella in cui stando seduto e allungando le mani prendi tutto quel che ti serve: il vino, il pane, i libri. Non servono castelli da spolverare, bastano tre metri quadrati, gli interni devono essere anemici. Avrei voluto fare l’interior designer, perché ho l’anima che serve, più delle scuole, utili solo per imparare i necessari computi metrici, a riscaldare quelle catacombe gelide, che sono le case di oggi».
Il cilindro e il frac sono appesi ai pioli della palestra per arrampicare, cipolle e frutta sono appoggiate sulle lame per tagliare il legno, le sgorbie trovano posto sotto le fotografie in bianco e nero. Corona ha un gusto estetico molto singolare: «La casa deve darmi il senso di un abbraccio molto stretto. Qui ci sono panche dove gli ertani nascondevano gli assassini dalla polizia. Il letto l’ho fatto col cirmolo, il materasso è in lana di agnello, le librerie sono pezzi di tronco. Prima scolpivo molto, mi piaceva intagliare gufi, civette, gnomi, nani, che regalavo ai bambini».
La cuccia dello scrittore ertano quasi intenerisce. Prima di raccontare il luogo in cui compone le sue opere, Mauro ci tiene a narrare la sua storia: «Ho avuto quattro figli, e mai un raffreddore, fumo sempre il toscano, ho smesso di bere quattordici mesi fa, tranne il caffè con un po’ di Bayleys. Ho avuto una infanzia infame, ero un omino gobbo e lavorante, prendevo le botte da mio padre, così tante che mi veniva voglia di morire. Poi ho scoperto che in questa tragedia chimico fisica chiamata vita c’erano lati interessanti: per risarcirmi e dimenticarmi di me ho scalato le montagne aprendo quasi trecento nuove vie di arrampicata, scolpito legno e scritto libri. La mia gloria sono i libri che ho letto non quelli che ho scritto, come dice Borges. Ho vinto tanti premi letterari, anche il Bancarella per «La fine del mondo storto», ma altrettanti li ho dimenticati da qualche parte...».
Sulla sua scrivania ci sono, tutti ammonticchiati, medicine, occhiali, libri, quaderni: come fa a rispettare l’ordine dei capitoli in questa confusione? «Ho costruito i tavoli con assi di legno grezzo, creando mensole che si estraggono come quelle per impastare la pizza. E per scrivere mi basta la luce. In casa non ci sono tende: sono nefaste, non ti fanno vedere il sole e le stelle. Io ho divorziato per colpa loro...». Corona ha una idiosincrasia per gli oggetti.
«Le cose mi ricordano il passaggio del tempo e io non sono nostalgico di nulla, regalo tutto, sculture comprese. Se fossimo esseri compiuti non avremmo bisogno di nulla, perché c’è tutto nella natura. Un oggetto? Il paltò della sartoria Punzi. Ce l’aveva uguale Marcello Mastroianni. Me lo regalarono da ragazzo, mi ricorda le sbornie con gli amici. A volte lo indosso ancora. Ma i gomiti non li alzo più».
Luca Bergamin

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