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Angelo Ribelle

La Via Che Conduce All'Inferno E' Lastricata Di Buone Intenzioni? Piacere, Io Sono Il Pavimentatore...

 

 

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Agosto

Post n°190 pubblicato il 04 Settembre 2010 da Solo_Vita

E' una città vuota questa Firenze. O forse piena.
 
Vuota del suo caos, del traffico, del trambusto, dei ritmi frenetici, delle foto dei giapponesi e dei tacchi di Gucci che sorreggono giovani caviglie dell'est che accompagnano annoiati miliardari settantenni coi loro occhi avidi di decolltè e le loro mani eternamente appoggiate sui glutei scolpiti. Che fastidio.
Non ci sono le urla degli ambulanti, pronti  a richiamare i turisti con le loro esclamazioni curiose in tutte le lingue.  Sarei proprio curioso di sapere che idea si fanno all'estero di noi dopo averli sentiti...maremmamaiala!>

Sono chiuse le botteghe orafe che mi circondano mentre l'Arno, qualche metro più sotto, scorre placido carezzando gli argini neppure fosse un amante che gioca col viso del suo amore clandestino.
Alle tre di notte di un mercoledì di agosto Firenze mi si para davanti come una donna che ha diviso il letto con me e si è appena svegliata.
Senza trucco, senza orpelli, senza alcun modo di modificarsi. E' al naturale.
Sono spente le vetrine che attirano gli occhi dei visitatori provenienti da tutto il mondo, nessun tavolino fuori dai bar per poter bere un aperitivo che mescola in parti uguali aperol, prosecco, soda e suggestioni.
 
Siamo soli, io e Lei. Mi piace.
 
Passeggio su Ponte Vecchio e riesco a sentire il rumore dei miei passi che sovrasta lo scorrere delle acque.
 
La luna in cielo s'è fatta spicchio, ha la gobba verso levante ed è di un bel giallo intenso, ,quasi volesse ridurre al minimo la sua capacità di illuminare tetti e colline intorno alla città per non guastare una magia che cresce attimo dopo attimo.

Città vuota dicevo, ma anche piena.
 
Piena di sensazioni che vanno al di là del semplice vedere/udire/toccare/annusare/gustare ma che si pongono su un livello ben superiore, qualcosa di inconscio e potente.
Mi sento vibrare dentro come la corda di uno strumento. E' come se percepissi la bellezza del mondo, la facessi mia rielaborandola e poi l'amplificassi verso l'esterno usando il mio vivere come una potente cassa di risonanza. Sono lo spot vivente di quanto possa essere bello VIVERE.
Le strade silenziose e sonnolente sono piene delle grida della mia anima che urla con tutte le sue forze che ci sono, che sono qui, che sono felice di potermi ancora permettere gesti folli come una passeggiata nel cuore della notte a tre ore dalla sveglia che mi farà approdare alla solita quotidianità.

Tutto è uguale, tutto è diverso.
 
Si va oltre il concetto di proprietà, si superano le regole, non esistono clichè da rispettare e seguire alla lettera. Stanotte sono me stesso, come te Firenze.
Con la tshirt ed i bermuda, senza cravatte ed occhiali sempre pronti ad ipnotizzare un ipotetico pericolo. Senza titoli -non serve a niente essere dottore ora-, senza cellulare, senza quel nodo che mi lega a filo doppio alla realtà.
 
Stanotte sono solo me stesso, così pieno e così vuoto, mentre passeggio e mi ritrovo cronicamente innamorato di qualcosa: una statua, una colonna, un muretto, un tabernacolo.
Tutto quello che mi riporta al nostro primo incontro di dieci anni fa, mi suscita la stessa sensazione che provo per te. Sentimento puro, incondizionato, senza compromessi.

E' amore, sei tu, sono io, siamo noi.

Ed in questa notte così ricca, così incapace di contenere sotto il suo cielo tutto quello che sento dentro di me vorrei urlare al mondo quanto sia stata dura uscire da quel reparto per lasciarti riposare, per lasciarvi riposare.
Ve lo siete meritato questo sonno: tu dopo dodici ore di travaglio, Lui dopo un viaggio che l'ha fatto approdare a questo nostro anomalo, pericoloso e bellissimo mondo.

Mi viene da piangere, ma è solo gioia liquida:
da quattro ore sono diventato padre.

Buona fortuna.

 
 
 
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INFERNO, CANTO V, VV. 127-138

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lanciallotto, come amor lo strinse:

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso

esser baciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante.

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

 

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