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Post n°61 pubblicato il 13 Gennaio 2011 da Gianpiero69
Vorrei chiedere al lettore che non lo avesse già fatto di leggere il post precedente prima di questo. Desidero precisare, a beneficio di chi si interessi a questa amichevole "disputa", che non è in discussione se l'unità d'Italia sia un valore. Con ciò, lo ripeto per i maliziosi, non intendo dire che l’unità d’Italia non sia un valore, anzi. Credo, tuttavia, che un popolo che non conosce la propria storia non possa neanche avere una vera coscienza della propria identità e quindi, della propria "missione". La vulgata storiografica alla quale siamo abitati vede il risorgimento italiano nel segno del progresso, le espressioni suadenti che da decenni vanno di moda per definire quel periodo storico sono: moralità, costituzione, libertà, lotta all’oscurantismo e al dogmatismo, libera Chiesa in libero stato.
Ecco la mia risposta.... Caro collega sarchiapone, tutto qui? Sapevo di accendere la miccia di una “santabarbara” .. e quindi chiedo scusa agli amici sarchiaponi se sto (giuro, momentaneamente) monopolizzando il blog su questi argomenti. Confesso che “il duello” con Giampiero l’avevo ipotizzato da tempo, leggendo il suo blog “Insorgente” .. e naturalmente ho fatto abbondante scorta di “munizioni” … Nessun problema, il confronto è ricchezza, ma le munizioni che hai messo da parte sono un tantino “spuntate”…. ;-)
È tutto un fiorire di “revisionismo” di marca catto-integralista e sanfedista. (absit invidia verbo) E’ troppo semplice etichettare di integralismo le verià scomode. Anche questa è una forma di integralismo. E’ la verità storica e non le opinioni di parte che stiamo cercando? Se la risposta è si dobbiamo aver la serenità di guardare i fatti e questi soltanto, possibilmente citando le fonti delle nostre informazioni. A chi, come te, si definisce massone può non far piacere che chi lo ha preceduto possa aver commesso dei delitti come a me, che mi definisco cattolico, non fa piacere ricordare i delitti dei cristiani che mi hanno preceduto, quando ci siano stati davvero. Ma se questi delitti ci sono stati, l’atteggiamento non può essere di nasconderli tacciando gli altri di integralismo. Detto questo, devo precisare che la Professoressa Angela Pellicciari è una dei massimi esperti di storia del risorgimento ed ha scritto sull’argomento moltissimi libri. L’hai definita “beffardamente illustre “storica” scrivendo la parola tra le virgolette, ma con ciò non hai confutato le sue argomentazioni. Puoi sempre farlo se vuoi, sono interessato.
“Requisire i beni della Chiesa non era una novità” Allora? Un furto ne giustifica altri? Se è per questo avevano iniziato i barbari e non per niente li chiamiamo così.
“per almeno dieci secoli tutte le guerre del mondo occidentale da Carlomagno alle Crociate, da Lepanto a Napoleone … e le alabarde dei conquistadores ..” Stiamo parlando del risorgimento. Le munizioni sono già finite? Sviluppare ognuna delle materie che hai citato richiede un tempo adeguato. Se desideriamo che chi legge possa capire, scegliamo un argomento alla volta ed esponiamolo ognuno con le proprie informazioni citando le fonti. Poi i lettori giudicheranno, argomento per argomento.
“… Siamo proprio sicuri di dovere delle scuse al PapaRe ?” Più che al Beato Pio IX, che ora si gode il Paradiso, scuse ai meridionali ed ai cattolici di ogni dove. Ed il motivo di queste scuse puoi leggerlo qui, di seguito.
La parola alla storia:
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia Meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendo colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio” GIUSEPPE GARIBALDI
“Come ha potuto solo per un momento uno spirito fine come il tuo, credere che noi vogliamo che il Re di Napoli conceda la Costituzione. Quello che noi vogliamo e che faremo è impadronirsi dei suoi Stati” CAVOUR all’ambasciatore Ruggero Gabaleone
“I Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno" NAPOLEONE III in una lettera a Vittorio Emanuele II del 1861
ANTONIO GRAMSCI GAETANO SALVEMINI
LUIGI EINAUDI INDRO MONTANELLI
“Pare non bastino sessanta battaglioni per tenere il Regno. Ma, si diranno, e il suffraggio universale? Io non so niente di suffraggio, so che al di qua del Tronto non ci vogliono sessanta battaglioni e di là si. Si deve dunque aver commesso qualche errore; si deve quindi o cambiar principi o cambiar atti e trovar modo di sapere dai napoletani, una buona volta, se ci vogliono si o no. Agli italiani che, rimanendo italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate" MASSIMO D’AZELIO LORD LENNOX, parlamentare inglese, 1863 ROCCO CHINNICI “Il 1860 trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industrie, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto. La pubblica istruzione era fino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica. Nobili e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica" CONTE ALESSANDRO BIANCO DI SAINT-JOROZ
“Sorsero bande armate, che fan la guerra per la causa della legittimità; guerra di buon diritto perché si fa contro un oppressore che viene gratuitamente a metterci una catena di servaggio. I piemontesi incendiarono non una, non cento case, ma interi paesi, lasciando migliaia di famiglie nell’orrore e nella desolazione; fucilarono impunemente chiunque venne nelle loro mani, non risparmiando vecchi e fanciulli" GIACINTO DE SIVO FRANCESCO PROTO CARAFA, Duca di Maddaloni - “Nel secolo precedente, il Meridioned’Italia rappresentò un vero e proprio eden per tanti svizzeri, che vi emigrarono, spinti soprattutto da ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e della qualità della vita. Luogo di principale attrazione Napoli, verso cui, ad ondate, tanti svizzeri, soprattutto svizzeri tedeschi di tutte le estrazioni sociali, emigrarono, con diversi obiettivi personali. Verso la metà dell’Ottocento, nella capitale del Regno delle Due Sicilie quella svizzera era tra le più numerose comunità estere “ CLAUDE DUVOISIN, Console svizzero, 2006
“Desidero sapere in base a quale principio discutiamo sulle condizioni della Polonia e non ci è permesso discutere su quelle del Meridione italiano. E’ vero che in un paese gli insorti sono chiamati briganti e nell’altro patrioti, ma non ho appreso in questo dibattito alcun’altra differenza tra i due movimenti " BENJAMIN DISRAELI “Potete chiamarli briganti ma combattono sotto la loro bandiera nazionale. Potete chiamarli briganti ma i padri di quei briganti hanno riportato due volte i Borboni sul trono di Napoli. E’ possibile, come il mal governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120 mila uomini? Ho visto una città di 5 mila abitanti completamente rasa al suolo e non dai briganti. “ GIUSEPPE FERRARI GIUSTINO FORTUNATO MCGUIRE deputato scozzese, 1863 GEMEAU generale francese, paragona gli insorti polacchi con i briganti, 1863 NOCEDAL deputato spagnolo, 1863 CARLO MARGOLFO, bersagliere entrato a Pontelandoflo, 1861 JORNAL DE DEBATS, novembre 1860 HERCULE DE SAUCLIERES, 1863 L’ OSSERVATORE ROMANO, 1863 TEODORO SALZILLO, 1868 FRANCESCO CRISPI PAPA PIO IX, 30 settembre 1861 PIETRO CALA ULLOA PASQUALE STANISLAO MANCINI, intervento alla Camera, 1864 IL NOMADE, giornale liberale 12 settembre 1861 |
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Ma, per non occupare arbitrariamente lo spazio comune, rispondo qui nei commenti .. anche se la risposta è sproporzionatamente lunga.
Giampiero nel post scrive: “Credo, tuttavia, che un popolo che non conosce la propria storia non possa neanche avere una vera coscienza della propria identità e quindi, della propria "missione". “ .. le espressioni suadenti che da decenni vanno di moda per definire quel periodo storico sono: moralità, costituzione, libertà, lotta all’oscurantismo e al dogmatismo, libera Chiesa in libero stato. Ma non fu così"
Ti stupirà, ma sono – quasi - d’accordo.
Non saprei dire quale sia la “missione” cui fai riferimento, ma sull’identità “consapevole” e sulla “retorica risorgimentale” non posso che concordare.
Quindi nessun “integralismo” da parte mia, né tantomeno “orgoglio massonico” (che proprio non mi compete) rivendico semplicemente una interpretazione laico-liberale e quindi necessitano alcune precisazioni.
Quello che comunemente conosciuto come “revisionismo risorgimentale” di marca cattolico-integralista e neoborbonica, (non lo dico solo io) è un fenomeno di vecchia data, che si articola da sempre sui soliti argomenti, esattamente quelli da te evidenziati:
La violazione del diritto internazionale per la guerra non dichiarata;
La situazione economica e i “primati” delle Due Sicilie;
La crisi economica del Regno di Sardegna;
Il complotto internazionale massonico contro il Papa e il Regno delle Due Sicilie;
I plebisciti “coatti”;
La reinterpretazione del brigantaggio e relativi eccidi della repressione, le “deportazioni” ecc..
La spoliazione delle proprietà ecclesiastiche, ecc. ecc.
Un filone storiografico di vecchia data, che ha inizio già dai protagonisti di quei fatti.
Gli errori dell’unificazione erano infatti ben presenti agli stessi “liberali unitari” e furono largamente discussi da subito.
Per questo è strumentale, oggi, cercare di utilizzare certe dichiarazioni e prese di posizione, per suffragare le tesi “revisioniste”.
Se inquadriamo fatti e misfatti nel loro esatto contesto storico, leggendo le rispettive testimonianze nella giusta logica, ci accorgiamo che le dichiarazioni di alcuni personaggi anche coevi da te citati (da Napoleone III a Garibaldi, da Disraeli a D’Azeglio) avevano precise “motivazioni politiche” di contrapposizione.
Altri, anche di pensiero liberale, hanno correttamente riconosciuto eccessi ed errori, ma senza mai mettere in discussione il valore storico-politico del processo di unificazione.
Quindi un fatto è “demitizzare” il Risorgimento, altro è negarne il valore storico.
In questa ottica non possono trovare spazio né “le scuse al vaticano” né i revangismi neoborbonici.
Perché se è vero che il brigantaggio fu “anche” ribellione popolare, non si possono dimenticare le condizioni “feudali” del latifondo agrario, che regnava,(e purtroppo ha continuato a regnare) nel Centro-Sud.
Le condizioni dell'agricoltura meridionale erano pessime e così ne scriveva in francese Fulchignon: "O il latifondo o contadini così poveri e ignoranti da non poter diventare imprenditori. Si accontentano di piantare qualche ulivo o qualche gelso e vivono in condizioni bestiali".
Perché se è vero che ci furono spoliazioni dei beni ecclesiastici, non possiamo pretendere di giustificare il potere temporale del PapaRe e la “manomorta”.
C’è stato un momento drammatico, nella storia della Chiesa: non aver capito che lo spirito illuministico, con il suo materialismo e la sua secolarizzazione, non era la stessa cosa delle istituzioni liberali e delle istanze anti-assolutistiche.
È per queste considerazioni che trovo “storicamente errato” parlare di complotto internazionale massonico ai danni della cristianità, anziché di naturale evoluzione delle dinamiche politico-sociali dettate dall’affermazione “culturale” del concetto di nazione (che è cosa diversa dallo Stato).-
È per questo che trovo “inammissibile” sostenere che Mafia e Camorra siano figlie dell’Unità, essendo ad essa largamente preesistenti e quando è risaputo che lo stesso Garibaldi fece leva sulla Camorra per controllare Napoli.-
È per questo che trovo “strumentale” l’attribuzione della responsabilità della Questione Meridionale al processo di unificazione, che, se è vero che, in qualche modo, ne ha “amplificato” la rilevanza, non ne ha certamente determinato l’insorgenza.
Quella della Sicilia e il Sud ricchi depredati dai nordisti, come sostendono i revisionisti e da ultimo, ancora oggi, il governatore Lombardo, è in buona parte un'invenzione demagogica.
Il Sud e la Sicilia del regno borbonico, liberati o conquistati da Garibaldi, ricchi e progrediti certamente non lo erano.
Le differenze con il Nord nell'anno dell'unità erano già enormi, a cominciare dalle strade: al Nord 67 mila chilometri, al Sud 15 mila.
Ci sono paesi, si legge in una cronaca di fine Ottocento, dove una lettera messa alle poste a Castrovillari impiega ad arrivare due volte il tempo che da Londra o da Parigi. Neanche un chilometro di ferrovia sotto Salerno nell'anno dell'unità, l'89% di analfabeti in Sicilia, l'86% in Calabria e in Campania.
Il meridionalismo onirico ci ha raccontato che l'industria del Sud era fiorente e che fu sacrificata al Nord.
Le industrie tessili del Sud erano fuori del mercato europeo, l'arsenale dei Borboni era certamente per l'epoca un grande complesso industriale, con più di mille operai che producevano navi, locomotive, cannoni e macchine, ma fuori mercato, destinato a fallire già nel 1870.
Scrive lo storico Carlo De Cesare: "L'industria napoletana era armonica ma immobilista e senza prospettive. Le campagne separate dalla capitale con scarsissime comunicazioni, un livello culturale infimo, debolissime le attrezzature civili".
«La sempre evocata ferrovia Napoli-Portici non era altro che “il giocattolo del re”, mentre invece la Torino-Genova o le ferrovie costruite dagli austriaci in Lombardia servivano concretamente allo sviluppo economico. Portici è un sobborgo di Napoli, dove non c’era niente se non qualche villa…
Quei sette chilometri di binari la dicono lunga sulla ratio delle scelte "economiche" dei Borboni. Intanto, in tutto il Regno delle Due Sicilie non c’era una strada degna di questo nome: a dirlo non sono le descrizioni fatte dai prefetti sabaudi, ma quelle degli alti funzionari dell’amministrazione borbonica negli anni Quaranta-Cinquanta».
Infine un’ultima osservazione: non è vero che l’Italia adottò subito e per principio una linea centralistica, tutt’altro:
nella primavera del 1861, a immediato ridosso dell’unificazione, il ministro degli Interni Minghetti presentò un progetto di legge che prevedeva un largo decentramento ai comuni. Solo che cominciarono ad arrivare le notizie della rivolta nelle province meridionali e si diffuse la consapevolezza, immediatamente trasmessa dai prefetti, che il decentramento avrebbe restituito il potere al notabilato borbonico.
Fu per questo che Minghetti ritirò il suo progetto, che fu sostituito da quello centralistico».
Con questo credo che ciascuno di noi abbia compiutamente espresso le sue posizioni e che possiamo, se credi, smettere di annoiare i nostri malcapitati lettori e dare spazio anche agli altri.
Condivido, comunque, sulla necessità di non annoiare più i lettori.
Grazie per il confronto.