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Una gamba qua, una gamba là....

 

 

 

FWN

Colui che finalmente si accorge quanto e quanto a lungo fu preso in giro, abbraccia per dispetto anche la più odiosa delle realtà; cosicché, considerando il corso del mondo nel suo complesso, la realtà ebbe sempre in sorte gli amanti migliori, poiché i migliori furono sempre e più a lungo burlati. (da Il Viandante e la sua ombra-wikiquote)

 

 

 

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NOSTALGIA CANAGLIA

Post n°622 pubblicato il 28 Dicembre 2011 da mwinani
 

Il testo faceva più o meno così:

 

"il tempo passa in fretta, quando siamo insieme noiiiiiii..... "

E' proprio vero che quando ti diverti il tempo vola e non fai nemeno a tempo a chiederti cosa sta succedento attorno a te che la vita è già diventata una cosa nuova  che fatichi perfino a guardare negli occhi, tanto la trovi diversa ed estranea.

Poche ore fa ho visto una vignetta su un popolare blog che parla di moto e mi ha fatto rivivere una scena accaduta un paio di lustri fa.

Dieci anni fa mi stava lentamente, ma inesorabilmente, senza sussulti e schiamazzi, morendo il Tengai.

Di li a breve, senza aver la pazienza di aspettare di aver "alienato" il CRE125, mi presi un mezzo " a budget limitato.

"tanto è per poco tempo", mi dicevo.

Viste le circostanze optai per un mezzo che mi desse poche noie ed assorbisse poco impegno per mantenerlo. Mi orientai indietro nel tempo, tanto da far calare il valore a livello della mia tasca, ma scelsi la prima (o quasi), della classe, nella sua categoria.

"O quasi" vuol dire che la mia memoria non era così efficace da ricordare perfettamente tutti i valori in campo dei dintorni di 15 anni prima, poi la mia ricerca non voleva essere di tipo scientifico, ma andare attorno al risultato ideale. In ogni caso la differenza non sarebbe stata sostanziale, mi stavo comunque comprando un vecchio rudere che, di li a poco vidi usato, in modo straziante, per fare " i botti" a qualche raduno. Non il mio rudere ma quello di un altro. In ogni caso nell'anno della sua uscita su mercato: il 1987 il CBR600F rappresentava un bel salto di qualità.

A quell'epoca le moto erano in rapida e ripida evoluzione. Nel giro di un decennio si è passati dalle "motociclette" alle moto sportive tanto che, le moto prodotte alla fine di quel decennio, ancora oggi,  non hanno troppo da farsi rimproverare a cospetto dei bolidi odierni, a meno che si decida di portarle in pista e di tirargli il collo per benino.

Le sue rivali più datate erano il VF500F e la Kawa GPZ600R (la vera rivouzione di 2 anni prima). 

A me all'epoca, convinto anti-hondista, quella moto non piaceva. La trovavo sgraziata, goffa. Con la sua carenatura avvolgente voleva scimmiottare la ducati Paso e contempoaraneamente nascondere un telaio in "ferro" e una realizzazione di motore, cablaggi e passaggi cavi non particolarmente curata e aggraziata. Sta di fatto che questa moto era la capostipite di una lunga serie che in 25 anni ha portato le attuali 600, a piccoli passi annuali, ad erogare quasi 120 cv alla ruota, a pesare meno di 170 kg e a viagiare fino a 270 km/h. Rispettivamente il "mio" CBR si ferma a 75, 185, 225.

Aveva ancora delle gomme strettine, che oggi neanche sui 125, e freni che solo allora cominciavano a crescere di dimensione, ma che a livello di prestazioni cominciavano ad essere veramente efficaci.

Ne trovai una vicino casa, anche se la mia ricerca era ad ampio raggio, una delle prime sul web, con soli 25mila km e in condizioni pressoché perfette. Il suo proprietario, figlio di un industriale della zona, non l'usava da diversi anni ormai e aveva deciso di fare spazio nel box.

In pochi mesi la portai un po' a spasso: appennino umbro marchigiano romagnolo, Stelvio, Sardegna e Sicilia, tanto per fare un po' di rodaggio. Poi arrivò l'inverno. Nelle belle giornate ci andavo a lavorare, schaivo del fatto che in una macchina, per quanto grande, non potrò mai allungare le due braccia in tutti i sensi attorno a me, come invece posso fare in moto, senza toccare da nessuna parte (per chi è curioso di sapere che significa, mi scriva in privato :-) ).

Una domenica pomeriggio successe il fatto perfettamente rappresentato da questa immagine tratta da Motoblog ed opera del vignettista Ruggeri:

 

Ciao, YOKO

Domenica 09-03-2003, h 14.10 circa.

Finito di pranzare. Decido di tornare in ufficio.

Si lo so che è domenica, ma certe cose bisogna farle quando nessuno ti distrae e puoi mettere il cento per cento di te, in quello che fai.

E’ una bellissima giornata; una delle prime di quest’anno avaro di sole e di temperature miti. Ovviamente riprendo la moto, che ha ancora il motore tiepido dal mattino.

Sto bene, sarà la quarta quinta volta che riesco ad usarla quest’anno, è ancora tutta impiastrata dall’acqua sporca e abbondante presa ai primi di febbraio; non ho ancora avuto il tempo di dedicarle le cure che merita e di farla tornare lucida come sa essere e com’era, per esempio, al raduno del Catria, a gennaio.

Io sono sazio, non troppo, STO BENE!

Scendo in garage, chiudo la giacca e mi trovo a pensare, che quella lucida giacca Yoko da enduro, ha gia compiuto più di undici anni. Sarà troppo vecchia?

Certe cose sembrano non invecchiare mai e sono sempre lì al nostro fianco, come il primo giorno…

Non sono ancora del tutto persuaso: di acqua sotto i ponti in undici anni ne è passata tanta e le mode sono cambiate tantissimo. Allora una giacca da enduro (quello vero) che costasse 240.000 lire era cara. Oggi con 240 € ci compri si e no l’imbottitura optional.

Comunque era bella, io me ne ero innamorato subito, appena vista, e l’avevo voluta a tutti i costi, giocandomi pure diversi regali di compleanno e di Natale in un colpo solo; ed ora, se a qualcuno poteva sembrare ridicolo un tipo che se ne girava, con un CBR600, con una giacca da enduro vecchia di 11 anni (anche se ancora lucida), la cosa non mi riguardava. Io finché durava, me la godevo, poi quando sarebbe diventata vecchia e logora, si sarebbe potuta usare ancora, per lo scopo per cui è nata: il fuoristrada.

 

Intanto che penso queste cose, mi avvio, lentamente, per dare il tempo al motore di scaldarsi ben bene, nella stradina stretta e tortuosa che porta a casa mia. Lei è quasi nuova per me. Non è nuovissima, è una signorina non più di primo pelo, ma d’animo nobile.

 

Nel mio cuore ha meno di un anno, anche se per l’anagrafe tra poco ne avrà sedici. CBR600F dell’87. Una moto che ha fatto la svolta, ha allungato il passo, quando, la stella di due anni prima, il GPZ600 era ancora sotto i riflettori.

Non amo particolarmente la Honda, anzi, io che per natura sono bastian contrario, l’ho spesso trovata irritante, con la sua, sempre ostentata, superiorità (che tra l’altro spesso era messa in discussione e confutata, con mia grande soddisfazione, dalle rivali, giapponesi o italiane che fossero).

Ma amo le moto, il motociclismo.

Non è un amore passionale, acceso e violento come quello che spesso vedo accendersi fulmineo in tanti ragazzi, ma che svanisce alla prima difficoltà, alla prima folata di vento gelido che spegne ogni entusiasmo. No.

Il mio è un amore profondo e radicato, quello che non trema quando c’è il terremoto, non si bagna quando piove, non si impolvera quando attraversa una Calabria spazzata dal vento. Ho girato gran parte d’Italia su due ruote e raramente per puro piacere: per viaggi, ma sempre per scelta. Ho portato Vesponi ed enduro varie in giro con me, nei miei trasferimenti quotidiani o straordinari, nelle tratte Marotta (25 km da Pesaro) Genova e ritorno, e poi da e per Roma.

Ho fiaccato motori, allungato catene, limato centimetri e centimetri di battistrada per loro. Sempre quando poteva esserci un altro modo per spostarsi, più comodo, più economico meno rischioso. Estate e inverno, notte e giorno, mai con un abbigliamento completo come si deve, sempre con una gran voglia di rimettersi in strada di provare me e loro.

 

La strada piega a sinistra, brusca ed inizia a salire, verso San Costanzo, passa sopra l’autostrada, sul dorso del cavalcavia e morde le colline che mollemente si crogiolano al sole. Allungo un po’ la terza, mi piace sentire il ringhio feroce di questo motore, che nonostante gli anni e i diversi padroni, ha ancora pochissimi km. Passa con un certo fastidio i 7000, regime dal quale la salita diventa pianura e la strada piacere puro.

Ma sto bene, in pace col mondo e con me stesso. Qui girano trattori, ragazzini, biciclette in mano a vecchiette, la vita è così bella, chiudo il gas e metto la quarta.

 

L’anno scorso, ho smesso definitivamente e senza rimpianti, di provare a fare l’enduro. Stavolta per davvero, non come cinque anni prima in cui era stato qualcos’altro a decidere al posto mio. Ho venduto il CR e mi sono presa questa tipa che indossa ancora la sua catena originale ed ha l’aria di non aver mai girato in fuorigiri…..

Sono un sognatore, che ci volete fare?

Il carrello l’ho tenuto, che diamine, con quello che mi danno di un carrello seminuovo….., e se poi mi viene in mente che non sono poi così vecchio per usare ancora le moto senza targa? Magari con quei matti di superwheels?

Magari….

 

Arrivo in cima, rallento e giro un po’ la testa a sinistra, con fatica, che ho un fastidioso dolorino tra la scapola sinistra ed il collo, che, un pochino, mi rende le manovre impacciate. Rimetto tutte le marce, con brio, senza fretta, senza impeto.

 

Che gioia l’anno scorso, quando l’ho scoperta. Faceva capolino appena da un annuncio su internet.

E’ stato dopo una nottata passata a cercare. Era a 10 km, da casa.

Ottimo stato, veloce, facile da guidare, quanto basta per togliersi abbastanza in fretta l’abitudine ai manubri larghi e rialzati, bella quanto basta, non ancora sorpassata del tutto e….proporzionata al budget del post-investimento in attività in proprio….quanta razionalità in quest’atto di passione!

Tra due anni andrà meglio, pensavo. Era il massimo che potevo avere allora, senza impiccarmi, ed ero felice come un bimbo. La prima sera dopo averla vista, l’ho passata in soffita per ritrovare il vecchio Motosprint, dove un giovanotto di nome CB (senza R) la descriveva con un entusiasmo pari al mio di quel momento. Da allora sono passati più di diecimila km, in nove mesi, e il gusto è rimasto intatto.

 

Altro incrocio, rallento, svolto a destra dopo aver lasciato passare una Golf, e mi accodo.

Va allegro. Mi piace la gente che non dorme per strada, se non ce n’è motivo. In quel tratto di solito vanno a sessanta, settanta. Questo cammina a cento, spedito, tranquillo. Lo seguo.

Poi, prima del prossimo incrocio lo passerò, la strada piega a sinistra, dolcemente, scollina un po’, e c’è una bella visuale, nessun pericolo, lui lì avrà già iniziato a frenare, per fermarsi allo stop.

Così faccio, in scioltezza, senza nemmeno dare troppo gas, sono tranquillo e tranquillamente mi aggrappo ai freni sicuro di me, conscio della mia superiorità.

Freno.

Freno e il mondo scivola, scivola di fianco ad una velocità impressionante. Mi rendo conto che sono già per terra, scivolo, sofficemente in discesa. Scivolo e non freno più.

Lei, la vedo, è alla mia sinistra, verso il centro della strada e…..

No, no, no, già soffro per questo grattuggiare di plastiche, per questo caleidoscopio di scintille, per questo stridìo di gomme di Golf; che non sento, ma che così penosamente anneriscono l’asfalto dietro di me….

E’ già troppo, ma non è abbastanza. Lo spartitraffico giallo arriva veloce, e porta su di sé il cartello provvisorio che indica la navetta per la Sagra della polenta di San Costanzo.

Un doloroso infrangersi di sogni, di ricordi, di speranze e di momenti vissuti e da vivere.

Non penso, non riesco a pensare, ma, il freddo preso a Luglio allo Stelvio, zuppo come un pulcino senza piume antipioggia, il vento e l’acqua umida della Sardegna, d’agosto, il caldo appiccicoso, che squaglia le strade siciliane da Trapani a Capo Passero, a Messina. Il senso di spazio aperto dell’autostrada presa a Taranto dove la Puglia sembra una scorcio di Daytona. La nebbiolina fresca che si leva dalla cascata delle Marmore, quando riaprono la diga…..Tutto, tutto passa dentro di me lacerandomi e trafiggendomi come la spada di un crociato.

Io scivolo e lei piroetta, usa il cordolo, ci appoggia il serbatoio, per farne un trampolino, travolge il cartello (e la vedo), fa una due, tremila capriole. Finalmente qualcosa mi striscia sul casco. Una volta, in tanti voli, mi dovrò pure togliere sta soddisfazione di rovinare il casco.

Ed atterra, ferita a morte.

Un grosso fiotto di verde, svuota il serbatoio dal pieno appena fatto.

Io sto bene, bene. Sto bene davvero.

Mi alzo e guardo per un momento che dura e non passa più.

Sento la Golf al mio fianco, dietro di me. Non mi giro, sono in piedi e non mi muovo, guardo.

“Che cazzo combini”- dice la Golf, poi esita un po’ e se ne va.

Non mi importa di niente. Bisogna fermare quel fiotto! Non può morire così, se si svuota, è finita!

“Come stai?”

“Bene, io sto bene! Io!”

“Sei stato fortunato”

“Certo, Certo, fortunato!”

Sono un automa, non so far altro…

Mi avvicino, tolgo il casco, poso gli occhiali sull’erba dell’aiuola, la vado a soccorrere.

Scivola!

La benzina scorre veloce, in discesa, scioglie l’asfalto, provo ad alzarla, scivolo, quasi mi ci sdraio sopra.

Finalmente qualche braccio amico mi da una mano, la giriamo dall’altro lato, sempre sdraiata, ma senza quella ferita sanguinante.

Mi posso rilassare, ora. Non muore più.

Alzo gli occhi e mi guardo attorno.

Azzo!

L’ho fatto tutto io questo?

Specchi, pedane, fanali, carena, strumenti.

Quando progetto e faccio esplosi di macchine, non mi vengono così bene.

Meno male l’ironia non mi manca, ma ho il cervello in stand by.

Le mie mani tremano, mi sono persino rotto un’unghia e mi brucia un pochino il gomito destro.

Il telefono funziona, faccio il numero di mio fratello sul telefono tremante e scorticato, poi aspetto.

Paura? Non c’è stato il tempo ed il motivo!

Rabbia? Idem!

E allora cosa?

Niente! Solo la voglia di non pensare a nulla.

Fortunato? Forse.

Sfortunato? Probabile.

A guardare bene tra i due segni neri lasciati dalla Golf, ci sono tante chiazzette ormai asciutte, d’olio e nafta.

Possibile? Possibile, si!

Sicuro che ieri ho frenato più forte di oggi, ma ero più in là, non avevo sorpassato…………

L’odore forte di benzina mi segue nella mia mesta raccolta di pezzetti, le auto, curiose si fermano, si tamponano, anzi, no, si evitano per un pelo.

Io lì a raccogliere e ad aspettare mio fratello, col mio niente…

A raccogliere pezzi ed idee.

Certo, passo in ditta, prendo il furgone, la porto in officina, in settimana la guarderò con calma, farò una stima dei danni. Quella forcella lì, così storta, chissà se si raddrizza.

Ci sarà un Viagra per le forcelle che han perso lo smalto dei giorni migliori?

Un timido sorriso, posso ancora sorridere, (che fortuna che ho), accoglie l’arrivo del fraterno soccorso.

Via a prendere il furgone, scarica la cassa coi raccordi, prendi una tanica, un imbuto, la cassa con gli attrezzi, un’asse di legno, un cerotto sull’unghia che sanguina, il cancello e poi su!

L’hanno spostata, si vede che non gli piaceva così appoggiata allo spartitraffico.

Mi dispiace anche quello. Non dovevano.

Lei così ferita, in mano a vigili così poco sensibili, così poco umani….

M’hanno preso pure gli occhiali, chissà che fastidio gli davano, lì sull’erba, se ne fossero stati a badare alla polenta…

Gli addetti al riassetto del cartello divelto, pur dando eloquenti segni di riprovazione, con gli occhi, ci danno una mano a spingere uno sterzo che non sterza più e una ruota che non ruota, sul furgone.

Mio fratello va a recuperare gli occhiali dai vigili, io la lego, poi mi siedo.

Senza un dolore, senza niente, senza più niente, ma intatto.

Un po’ me lo merito, di sicuro potevo essere più prudente, eppure non ho fatto il coglione, ne sono sicuro.

La strada sporca lo è, ma mica tanto, la discesa, l’asfalto liso e liscio, la gomma vecchia e dura, la Golf.

Niente, nemmeno un’ombra di rammarico, di riprovazione, senso di colpa, rabbia, disperazione, frustrazione, impotenza….

Niente, il nulla.

Saluto mio fratello, vado al capannone, la scarico col muletto: tanto non si graffia più di così.

Ci posso fare una moto da pista, un trike, un monster, che va ancora tanto di moda,…. Magari gli monto il comprex, l’iniezione, una cella a combustibile…

Forse ritrovo i pezzi di una fusa.

L’importante è che non pensi a nulla ora.

Non ne ho voglia.

Domani è un altro giorno.

Forse!

 

San Costanzo lì 11/03/2003 h.24

Di li a poco fu affiancata da una quasi gemella blu da spolpare per recuperare gli organi vitali andati distrutti:

Poi è morta e risorta ancora un'altra volta:

Questo era l'inventario.

Questo il risultato finale:

Per iscriverla al registro storico dovevo mettere su roba originale e una colorazione tra quelle di serie, altrimenti avrei puntato su qualcosa più fantasioso!

PS 

La giacca è rimasta nel'armadietto in azienda da usare in officicna in caso di freddo intenso. Solo l'anno scorso ho scoperto che buttate via le maniche è ancora perfetta per fare enduro quando fa abbastannza caldo!

E l'enduro, con cui avevo chiuso definitivamente è ripreso. se invece che Natae fosse Pasqua direi che di definitivo non c'è nemmeno la morte. Ma per ora, almeno quella si salva! :-)

PS2

Giusto ieri ho scoperto che le membrane dei carburatori, ormai allo stremo (la gomma invecchia inesorabilmente), se c'erano, costavano 193 € ciascuna, ma mamma Honda non le fornisce più. E' giunta l'ora della morte definitiva o di un "upgrade"? 

 
Rispondi al commento:
mwinani
mwinani il 29/12/11 alle 17:30 via WEB
Grazie.Una volta mi piaceva come scrivevo e mi veniva semplice. Adesso forse sono troppo ansioso e ho troppa voglia di arrivare in fondo. C'è da dire che in mezzo ho preso due belle botte in testa :-)
 
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