Creato da eatcafe il 01/05/2006

SCRITTO SUL CORPO

viaggio negli enigmi e nelle profondità del desiderio

 

 

Post N° 146

Post n°146 pubblicato il 22 Settembre 2006 da eatcafe

                          Angelo Mazzoleni

 Non sto pensando a niente


Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l’aria notturna,
fresca in confronto all’estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l’anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
E’ come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

Fernando Pessoa

 
 
 

Post N° 145

Post n°145 pubblicato il 21 Settembre 2006 da eatcafe

 
 
 

Post N° 142

Post n°142 pubblicato il 21 Settembre 2006 da eatcafe

A Pier Paolo Pasolini 

M'aggiro fra ricatti e botte e licenzio
la mia anima mezza vuota e peccatrice

e la derelitta crocifissione mia sola
sa chi sono: spia e ricattatore
che odia i suoi simili. E non trovo

pace in questa sordida lotta
contro la mia rovina, il suo sfacelo. 

Dio! Non attendo che la morte.
Ignoro il corso della storia. So solo
la bestia che è in me e latra.

Dario Bellezza

 

 
 
 

Post N° 140

Post n°140 pubblicato il 20 Settembre 2006 da eatcafe

Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?

Alda Merini

 
 
 

Post N° 139

Post n°139 pubblicato il 20 Settembre 2006 da eatcafe

 
 
 

Post N° 138

Post n°138 pubblicato il 19 Settembre 2006 da eatcafe

 L'ho già detto ? Io imparo a vedere. Sì, incomincio. Va ancora male. Ma voglio mettere a profitto il mio tempo.
Non mi era mai capitato di accorgermi, per esempio, di quanti volti ci siano. C'è un'infinità di uomini, ma i volti sono ancor più numerosi poiché ciascuno ne ha più d'uno. Vi sono persone che portano un volto per anni, naturalmente si logora, diviene laido, si piega nelle rughe, si sforma come i guanti portati in viaggio. Queste sono persone econome, semplici; non mutano di volto, non lo fanno pulire neppure una volta. Va bene così, sostengono, e chi gli può dimostrare il contrario? Solo, viene da chiedersi: poiché hanno più volti, cosa ne fanno degli altri? Li mettono in serbo. Li porteranno i loro figli. Capita anche, però, che li portino i loro cani. E perché no? Una faccia è una faccia.
Altri, si mettono un volto dopo l'altro con rapidità inquietante, e li logorano. A tutta prima sembra loro di averne per sempre; ma sono appena sui quaranta, e già arriva l'ultimo. Questo naturalmente è una tragedia. Non sono abituati a tener da conto i volti, il loro ultimo se ne va in otto giorni, ha dei buchi, in molti punti è sottile come la carta, e allora a poco a poco vien fuori il rovescio, il nonvolto, e vanno in giro con esso.
Ma la donna, la donna: s'era accasciata su di sé, contro le proprie mani. All'angolo di rue Notre-Dame-des-Champs. Appena la vidi così, rallentai il passo. Quando la povera gente riflette, non bisogna disturbarla. Ciò che cerca, forse le viene in mente davvero.
La strada era troppo vuota, la sua vacuità si annoiava e mi tirava via il passo di sotto i piedi e se lo portava in giro sonante, qui e là, zoccolante. La donna si spaventò e si trasse su da sé, troppo in fretta, troppo di forza, così che il volto le rimase fra le due mani. Potevo vederlo giacere in esse, la sua forma cava. Mi costò uno sforzo indescrivibile mantenere gli occhi su quelle mani e non guardare ciò che s'era strappato da esse. Provavo orrore a vedere dal di dentro un volto, ma ancora di più temevo di levare gli occhi su una testa piagata a nudo, senza volto.

R. M. Rilke

 
 
 

Post n°137 pubblicato il 19 Settembre 2006 da eatcafe
 

Il corteo interno dei fantasmi prende il sopravvento.

Sparisce la misura di me, del mio tempo.

Il mio bioritmo intimo è in pezzi, frantumato.

 
 
 

Post N° 136

Post n°136 pubblicato il 17 Settembre 2006 da eatcafe

 Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
la vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
move la greggia oltre pel campo, e vede
greggi, fontane ed erbe;
poi stanco si riposa in su la sera:
altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,
il tuo corso immortale?
Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l'ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela,
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e piú e piú s'affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
colà dove la via
e dove il tanto affaticar fu vòlto:
abisso orrido, immenso,
ov'ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale.
Nasce l'uomo a fatica,
ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
per prima cosa; e in sul principio stesso
la madre e il genitore
il prende a consolar dell'esser nato.
Poi che crescendo viene,
l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
con atti e con parole
studiasi fargli core,
e consolarlo dell'umano stato:
altro ufficio piú grato
non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
perché reggere in vita
chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
è lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
e forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
che sí pensosa sei, tu forse intendi,
questo viver terreno,
il patir nostro, il sospirar, che sia;
che sia questo morir, questo supremo
scolorar del sembiante,
e perir dalla terra, e venir meno
ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera,
a chi giovi l'ardore, e che procacci
il verno co' suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
che son celate al semplice pastore.
spesso quand'io ti miro
star cosí muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovver con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?
Cosí meco ragiono: e della stanza
smisurata e superba,
e dell'innumerabile famiglia;
poi di tanto adoprar, di tanti moti
d'ogni celeste, ogni terrena cosa,
girando senza posa,
per tornar sempre là donde son mosse;
uso alcuno, alcun frutto
indovinar non so. Ma tu per certo,
giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
che degli eterni giri,
che dell'esser mio frale,
qualche bene o contento
avrà fors'altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d'affanno
quasi libera vai;
ch'ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma piú perché giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
tu se' queta e contenta;
e gran parte dell'anno
senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
e un fastidio m'ingombra
la mente, ed uno spron quasi mi punge
sí che, sedendo, piú che mai son lunge
da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
e non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
se tu parlar sapessi, io chiederei:
- Dimmi: perché giacendo
a bell'agio, ozioso,
s'appaga ogni animale;
me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale? -
Forse s'avess'io l'ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
piú felice sarei, dolce mia greggia,
piú felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro covile o cuna,
è funesto a chi nasce il dí natale.

 
 
 

Post N° 135

Post n°135 pubblicato il 15 Settembre 2006 da eatcafe

Maledetta libertà, troppo grande per due che non riescono ad incontrarsi, com'è possibile che da anni consumo le scarpe dentro la speranza senza riuscire a trovarti? E tu, anche tu cammini e mi cerchi? Se sì, mandami a dire, non vorrei che girassimo in un tondo infinito, senza trovare l'incontro che ci possa fermare.

Pino Roveredo - Mandami a dire

 
 
 

Post n°133 pubblicato il 15 Settembre 2006 da eatcafe

 
 
 

Frédéric Chopin - MAZURKAS , Cor de Groot (Piano ,Pleyel 1847)

Post n°132 pubblicato il 14 Settembre 2006 da eatcafe
 

“Io imparo a vedere. Non so perché tutto penetra in me più profondo

e non rimane là dove, prima, sempre aveva fine e svaniva.

Ho un luogo interno che non conoscevo.

Ora tutto va a finire là. Non so che cosa vi accada.”

R.M.Rilke

 

 

Non riesco a cancellare dalla mia testa l’immagine di una donna che guarda attraverso i vetri.

A volte vorrei spingerla con forza contro di essi, all’improvviso, e lasciarla sanguinante in mezzo ai vetri rotti.

Scivolo leggera sulle acque calde dell’incoscienza. Guardo fuori e sono lontana da quel cielo indifferente.

Questo lento e denso scorrere della vita mi scalda, nessuno scatto, nessuna emozione improvvisa. Nessuna esaltazione. Se necessario, mi adeguo alla frenesia del quotidiano comune , salvo poi ritrovarmi un corpo martoriato. Riconosco ogni pulsazione del mio cuore. Come non potrei? Per anni l’ho vegliato nel terrore infantile che potesse spegnersi durante il mio sonno. Vortici di incoscienza che si muovono sul soffitto della casa in campagna. Le coperte pesanti, quel peso adorato che confondo con l’idea dell’amore. Un corpo che ingombri, schiacci, esiga devozione.

Conosco l’impietoso allontanamento da ciò che gli altri chiamano vita reale. Nuvole e sole si spingono contro il mio naso. Sono calda e piena.

Acqua che scorre, attraverso i pensieri, gli slanci del cuore, le pieghe nascoste del desiderio. So che ti nascondi nel buio, tendi una trappola, come tela di ragno nella quale in un momento di disattenzione cadrò. Voglio solo l’essenziale, nudo, chiaro, le ombre le dipingerò io. Lo voglio conficcato nell’anima come un pugnale.

Ogni tanto trenta cammelli con barba e baffi  in fila uno dopo l’altro sfilano attraverso il vetro. Sorridono, alcuni azzardano un bacio.

Forse avrei dovuto avvisarti che sono infedele. Considerando il significato che le persone comuni danno alla fedeltà.

La verità è che quei cammelli mi stanno invitando a seguirli ed io non posso resistere al loro fascino. Una storia popolata di bestie, pensando a te si rincorrono rospi, trichechi, cammelli e muli. Sentimenti che fluttuano in questa giornata sospesa nel nulla…

 
 
 

LE TRE MELARANCE

Post n°131 pubblicato il 13 Settembre 2006 da eatcafe

 C’era una volta un Re, che aveva un figlio che si chiamava Giovanni.

Giovanni era già un uomo e il Re desiderava tanto che si sposasse, che vivesse felice con la sua sposa nel Palazzo Reale e che insieme lo facessero diventare nonno, ma il Principe non era mai contento delle ragazze che il padre gli presentava facendo innumerevoli feste a corte.

         Un giorno, spazientito il vecchio Re disse:” Giovanni, io oramai sono vecchio e voglio vederti sistemato, soprattutto ho tanta voglia di diventare nonno, quindi organizzerò per te il più bel ricevimento mai visto in questo regno, inviterò tutte le principesse dei regni vicini e lontani, vedrai che troverai la ragazza giusta per te”.

         Purtroppo Giovanni non trovò, fra le invitate, la sua sposa, e il Re, questa volta arrabbiatissimo disse: ”Basta, ora prendi il tuo cavallo e questa bisaccia, dentro troverai una borraccia di acqua e una pagnotta di pane, vai in giro per il mondo e torna con la donna che vorrai sposare.

         Allora Giovanni partì, molto triste e sconsolato, e trotta e galoppa, trotta e galoppa arrivò vicino ad una fontana, si fermò per ristorarsi un poco e non si accorse che vicino alla fontana era seduta una vecchietta, la quale lo salutò: “Ciao Giovanni, vedi come sono vecchia? Ebbene io sono la vecchia della fontana, i miei denti non sono più tanto buoni per masticare il mio pane che ormai è duro, avresti per caso un po’ di pane tenero da darmi?”

         Giovanni stupito dal fatto che la vecchia sapesse il suo nome le fece dono dell’unica pagnotta di pane che aveva con se’. La vecchietta allora ricambiò il generoso gesto e diede al Principe tre arance e gli disse: “Quando avrai sete aprine una, ti disseterà……”

         Il Principe salì sul suo cavallo e ripartì veloce come il vento, e …. Trotta e galoppa, trotta e galoppa arrivò sotto un albero e pensò che aveva una gran sete, così decise di aprire una delle arance donatagli dalla vecchia della fontana. Aprì l’arancia ed uscì una bellissima ragazza dai capelli lunghi, neri e con gli occhi profondi come il cielo di notte sparso di stelle. La ragazza gli disse: “Giovanni dammi da bere”

E lui: “Da bere non ne ho.”

E lei: “Allora io morirò” , e sparì.

Giovanni era disperato, la ragazza era la più bella che avesse mai visto, e lui l’aveva persa in un attimo. “Pazienza” pensò, “ne troverò un’altra, il mio viaggio sarà lungo!” e ricominciò a cavalcare. Trotta e galoppa, trotta e galoppa si trovò ad avere di nuovo sete, si fermò in una radura e aprì la seconda arancia della vecchia, anche questa volta, bambini, ne uscì una bellissima ragazza, con i capelli a boccoli, rossi come il fuoco e gli occhi verdi come la foresta, anche lei disse: “Giovanni dammi da bere”

E lui: “Da bere non ne ho”

E lei: “Allora io morirò” e scomparve come era apparsa….

Giovanni ancora più disperato di prima, si ripromise che la terza arancia l’avrebbe aperta vicino ad un ruscello, così se per caso fosse apparsa un’altra ragazza avrebbe avuto dell’acqua per dissetarla. E così fece.

Arrivò in un posto molto tranquillo con un piccolo ruscello di acqua di sorgente, fresca e zampillante, all’ombra dei cespugli di gelsomino che profumavano tutto intorno con il loro aroma dolce.

Decise che era arrivato il momento di aprire la terza arancia.

Appena la aprì venne fuori una bellissima ragazza con i capelli biondi come i raggi del sole in estate, con gli occhi azzurri come il cielo dopo la tempesta e con un sorriso, bimbi, un sorriso che fece subito innamorare Giovanni.

“Giovanni dammi da bere”

“Eccoti l’acqua, quanta ne vuoi”, disse il principe un po’ imbarazzato.

La ragazza bevve, ma poi si ricordò di essere tutta nuda, sì bambini, era senza vestiti, perché voi capite non si può stare vestiti dentro ad una arancia, e si coprì con i suoi lunghi capelli.

Giovanni, da vero cavaliere, si tolse il mantello e lo mise sulle sue spalle, si presentarono e si piacquero subito, lei si chiamava Maria.

Il Principe le chiese di sposarlo e lei accettò di buon cuore, ma si vergognava molto perché lei non aveva niente da portare come dote al matrimonio, era povera.

Insieme salirono sul cavallo e tornarono al castello. Quando arrivarono tutti andarono loro incontro, facendo i complimenti alla bellezza della giovane donna che accompagnava il loro Principe.

Maria, aveva, però già attirato le invidie di Vanessa (la figlia del Re del Regno vicino che era in visita al castello), che era molto bella anche lei, ma era troppo vanitosa e cattiva di cuore. Vanessa era innamorata del Principe Giovanni e i due genitori erano già in accordo di far sposare i due giovani nel caso il Principe fosse tornato senza la sua sposa. Quindi si fece subito avanti e si offrì per aiutare Maria a lavarsi, vestirsi e pettinarsi in modo da apparire nel suo pieno splendore al Vecchio Re, che non aspettava altro di diventare nonno.

Però bambini, la cattiveria di Vanessa era così grande che non appena ebbe aiutato Maria a lavarsi e a vestirsi insistette tanto per pettinarla che Maria accettò. Intanto che con il pettine acconciava i bellissimi capelli biondi Vanessa piantò uno spillone proprio in testa a Maria che in un batter d’occhio si trasformò in una bellissima colomba. Poi andò a riferire al Principe Giovanni che la sua “Principessa Maria” era scappata, mettendolo a conoscenza degli accordi fra i loro genitori.

Fra le lacrime il Principe Giovanni accettò di sposare Vanessa, e quando fu il giorno del matrimonio, con molta sorpresa, vide che c’era una colomba che gli girava sempre intorno. Vanessa, naturalmente sapeva che quella colomba era Maria, diceva a Giovanni: “ Ma lasciala stare, poverina, non toccarla, forse sta male!”

Invece Giovanni la prese fra le mani e cominciò ad accarezzarle la testolina, finché sentì come una crosticina proprio al centro della testa. Vanessa disse: ”Giovanni non toccare quella crosticina, potresti ammalarti anche tu”, ma per fortuna Giovanni era un ragazzo un po’ testardo e volle vedere da vicino, così con l’unghia grattò la crosticina e vide che c’era uno spillone piantato nella testa della colomba.

Il Principe allora estrasse lo spillone e…. meraviglia! Maria riapparve ancora più bella, con un bellissimo vestito da sposa già pronta per il giorno più bello della sua vita.

I due ragazzi si sposarono, con tanta gioia da parte del Vecchio Re, che in breve tempo vide coronare il suo sogno di essere nonno.

La morale, bambini, (perché tutte le favole hanno una morale) è che bisogna sempre essere generosi con gli altri, e non bisogna essere invidiosi di quello che non si ha, basta avere tanta pazienza e ascoltare le parole che ci dice il nostro cuore.

 

 

 
 
 

Frédéric Chopin - THE NOCTURNES

Post n°130 pubblicato il 13 Settembre 2006 da eatcafe
 

Una musica dolcissima in sottofondo… note leggere come gocce di pioggia sui vetri.

La bambina aprì gli occhi, li richiuse veloce, li riaprì… li stropicciò e balzò fuori dalle coperte.

Danza leggera, farfalla del mattino, nella tua veste di sogni e dolcezza.

Danza sui gradini della scala, sulle corde della biancheria stesa al sole, danza tra gli alberi e i fiori in giardino.

Prese un foglio di carta e i colori, colla e forbici… e disegnò una bambina.

La bambina di carta aveva gli occhi e le labbra della bambina in carne ed ossa. Si sorridevano… complici e maliziose. E insieme tornarono a danzare.

 
 
 

Post N° 129

Post n°129 pubblicato il 13 Settembre 2006 da eatcafe
 

Magari l'amore è sofferenza e tortura. Magari io sono pazza, o lo sei tu. Magari dico una cosa e tu ne capisci un'altra. Mi rendo conto che non c'è comprensione. Che mi ritrovo sempre sola a chiedermi perchè. Che fai? Mi guardi mentre ti cerco? Quali pensieri, azioni mi disegni? Non mi riconosco più. Non sono io quella riflessa nello specchio. Addio

 
 
 

Post N° 128

Post n°128 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe

Quello che abbiamo perduto non ci verrà mai restituito.

 
 
 

Post N° 127

Post n°127 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe

 
 
 

Post N° 126

Post n°126 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe

E se l’attimo stesso della Creazione e il nostro universo lacerato fossero stati registrati nella polvere di stelle dei nostri corpi? Cos’è che contieni? Gli atomi che tu sei se li è scrollati di dosso una stella esplosa prima del sistema solare.

Noi siamo l’inizio. Noi siamo prima del tempo.

E’ possibile che qui, in questo nostro mondo provvisorio fatto di dualità e coppie di opposti (bianco/nero, bene/male, maschio/femmina, conscio/inconscio, Cielo/Inferno, predatore/preda), noi mettiamo compulsivamente in scena il dramma del nostro inizio, di quando ciò che era intero si è dimezzato, per cercare di nuovo la sua interezza.

Abbi pietà di questo piccolo pianeta azzurro perso in una ricerca attraverso il tempo e lo spazio.

 

J. Winterson
 
 
 

Post N° 124

Post n°124 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe
 

Imposte chiuse. Anche il minimo raggio di sole disturba i miei occhi da un paio di giorni. Ogni rumore mi fa sussultare, la musica amata ha l'effetto di una lama affilata sui nervi. Dormo e leggo. Un sonno pesante che mi schiaccia e soffoca i pensieri. Utilità del silenzio e del riposo.

 
 
 

Post N° 123

Post n°123 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe

"Credo che nessuno ammetta davvero la reale esistenza di un'altra persona. Può ammettere che tale persona sia viva, che pensi e senta come lui: eppure ci sarà sempre un ineffabile elemento di differenza, uno scarto materializzato.
[...]Considero mie, con maggiore consanguineità e intimità, talune figure che sono scritte nei libri, certe immagini che ho conosciuto nelle illustrazioni, più di molte persone che sono considerate reali, che sono fatte di quell'inutilità metafisica chiamata carne ed ossa. E "carne ed ossa", infatti, è una perfetta descrizione: sembrano cose fatte a pezzi ed esposte sul banco di marmo di una macelleria, morti che sanguinano come la vita, gambe e cotolette del Destino.
Non ho vergogna di avere impressioni simili, perchè ho capito che tutti noi abbiamo impressioni simili. Il disprezzo che sembra esistere fra uomo e uomo, l'indifferenza che permette che si uccidano persone senza capire che si uccide, come fra gli assassini, o senza pensare che si sta uccidendo, come fra i soldati sono dovuti al fatto che nessuno presta la dovuta attenzione alla circostanza, che sembra astrusa, che anche gli altri sono anime.
[...]Quando ieri mi hanno detto che il garzone della tabaccheria si era suicidato ho avuto un'impressione di menzogna. Poveretto, anche lui esisteva! Ce ne eravamo dimenticati tutti, tutti noi che lo conoscevamo allo stesso modo di coloro che non l'hanno conosciuto. Domani lo dimenticheremo meglio. [...]
Sì, gli altri non esistono...E' per me che questo tramonto pesantemente alato trattiene i suoi colori nebbiosi e duri. Sotto il tramonto, senza che io lo veda scorrere, il grande fiume si increspa per me. Per me è stata fatta questa piazza aperta sul fiume che si sta gonfiando per la marea. Oggi nella fossa comune è stato sepolto il garzone della tabaccheria. Non è per lui il tramonto di oggi. Ma, poichè ho pensato questo, e senza che lo voglia, neppure per me è questo tramonto."
F. Pessoa

 
 
 

Post N° 122

Post n°122 pubblicato il 12 Settembre 2006 da eatcafe

Cessare di essere amata,
significa diventare invisibile.

 
 
 

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