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Quando la poesia è, anche, il rifugio dell’anima

Post n°1032 pubblicato il 30 Agosto 2017 da fabbri.giancarlo
 

cover manini:Layout 1

Bologna

«I ś dan drî par cà/di ragazû cén, stréll/che i un fân stêr bän./Fén quand di dura al zûg/mé a sån al sô rifûg» (Si rincorrono per casa/piccole vite, strilli/che mi fanno stare bene./Fino a quando dura il gioco/io sono il loro rifugio). Questi i versi finali della poesia “Rifûg’” (Rifugio) che dà anche il titolo, “Al rifûg”’ (Il rifugio), alla raccolta di poesie in dialetto bolognese, con traduzione a fronte, dato alle stampe da Elio Manini per i tipi della Pendragon di Bologna. Volumetto con una settantina di testi in dialetto, e in italiano, con prefazione di Luigi Lepri (Gigén Lîvra; poeta, scrittore, conduttore radiofonico e tra i più noti cultori e studiosi della lingua bolognese), nota di Sergio Rotino (scrittore, poeta, critico letterario, conduttore radiofonico e docente in corsi di scrittura) e commento di Fausto Carpani (chansonnier, poeta e attore dialettale). Un Manini che inconsciamente, o meno, rivela che è o si sente il rifugio dei propri nipotini, e che il suo rifugio è la poesia.

Poche pagine più avanti, in “I nûster prè” (I nostri prati), scrive che «Adès i én dé d inventèri,/arvàdder al pasè/int al granèr di arcórd/e såura i nûster prè/gran capanón ed tänp/atåuren ad alber ed préda» (Ora sono giorni di inventario/rivedere il passato/nel granaio dei ricordi/e sopra i nostri prati/vasti capanni di tempo/attorno ad alberi di pietra). Nel senso che per tutti giunge il momento di guardarsi indietro per fare un bilancio del proprio passato con nello spazio della propria vita (i nostri prati) molti decenni (capanni di tempo) i ricordi fissati a pietre miliari (alberi di pietra) e lo fa rifugiandosi nella poesia. E lo fa nella lingua della sua terra, e dei suoi avi, difficile da scrivere.

Infatti Elio Manini, nato a San Marino di Bentivoglio nel 1937 ma vive a Bologna, ha sempre parlato in dialetto (ma a scriverlo è giunto tardi) e nel 2002 entra a far parte del gruppo “Laboratorio di parole” dove conosce Sandro Sermenghi con cui recita poesie e zirudelle in biblioteche, sale sociali e teatri; poi con Romano Danielli, Silvano Rocca e altri. Ma Manini è anche, o soprattutto, poeta visivo; pittore e incisore si è formato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e ha lavorato per la Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici.

Tant’è vero che Carpani nel suo commento scrive: «Nell’accingermi a scrivere queste righe mi sono trovato davanti a un dubbio: Manini è un poeta-pittore o un pittore-poeta? Dico questo perché l’ho conosciuto come creatore di immagini bellissime e me lo ritrovo come ispirato poeta che anche nella scrittura conserva la stessa carica descrittiva che mette nei suoi quadri». Un libro come rifugio per chi ama il dialetto.

 
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