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L'infinita vicenda dell'ILVA di Taranto

Post n°519 pubblicato il 16 Luglio 2012 da scaraciccio

Parafrasando i Sud Sound System, "io sono tarantino e del mondo cittadino".
Un occhio alle vicende di "casa" c'e' sempre, e di imput interessanti ce ne sono.
Basta osservare e riflettere per pochi istanti sulle nefaste vicende che girano attorno allo stabilimento ILVA di Taranto, alle problematiche ambientali e alle implicazioni industriali, locale e nazionale, e sociali.

Taranto e' da sempre citta' ad alto rischio per la salute, come ampiamente documentato da diverse organizzazioni locali ed internazionali.
Il problema e' la massiccia presenza di industrie altamente inquinanti in un'area troppo vicina al centro abitato.

Problema che arriva da lontano.
Anni '60.

Epoca pre-industriale, pre-turistica, pre-istorica per la Puglia. Terra sonnolenta e indebolita dalla guerra finita oltre 15 anni prima. Un territorio dormiente, un tuffo nel passato di decenni, fatto di strade rurali, campagne sterminate, litorali deserti e selvaggi, paesi isolati e imbiancati dalla calce, piu' economica della pittura, poverta' e miseria ed emigrazione.

Arriva la ricetta del governo per risollevare la regione: re-industrializzazione.

Taranto viene scelta come centro industriale per vari motivi.
La presenza della Marina MIlitare sin dal 1850 e dell'Arsenale, quindi con una storia industriale quasi centenaria.
Un porto naturale che permette facili trasporti e approvvigionamenti.
Un territorio pianeggiante vasto e disabitato.
Venti costanti che portano via fumi e polveri dalla citta'.
Un popolo affamato.

Per queste e altre ragioni, piovono su Taranto industrie come l'ILVA, ex Italsider di stampo IRI, la Cementir per la produzione di cemento, la Raffineria Agip, etc etc etc.
Le logiche Keynesiane portano a concepire dei mostri di dimensioni critiche: piu' grandi sono, piu' economie di scala ci sono, piu' capitali e investimenti attirano, piu' profitto creano, piu' benessere generano e distribuiscono, etc etc etc.

La zona industriale viene creata a ridosso della citta', per facilitare i lavoratori.
Vengono inoltre creati interi quartieri dormitorio per ospistare la manodopera.
Migliaia di agricoltori, pastori, braccianti, artigiani, pescatori etc etc lasciano la fatica delle campagne e la miseria delle loro povere attivita' per uno stipendio sicuro.

Da qui' nasce il tutto.
Non si conosceva all'epoca il problema dell'inquinamento, e le logiche economiche non davano spazio a parole come "ristrutturazioni", ridimensionamento", "miglioramento", e altre mostruosita' moderne.

Si arriva cosi' agli anni '70 e '80, alla crisi del petrolio e dell'acciaio, alla nascita e ascesa della mafia locale, agli anni bui.
La zona industriale subisce pesanti ridimensionamenti (sino al 50%) a causa di sprechi, truffe, scandali e ruberie pubbliche.
Crisi economiche internazionali e uso di nuovi materiali e ascesa di nuovi impianti produttivi in nazioni piu' competitive danno una mazzata terrificante all'industria locale.
Suguirono cosi' disoccupazione, emigrazione, e la lacerante realizzazione di vivere su una bomba ambientale con la miccia accesa.
L'industria ha portato ricchezza e benessere per 20 anni, per poi lasciare un amaro sapore in bocca.

Poi venne la privatizzazione, Prodi ex presidente IRI fu l'artefice delle dismissioni pubbliche in nome della cassa nazionale.
L'ILVA, avvelenata da nepotismi, inefficenze, tangenti, inquinamento, usura degli impianti etc etc etc, venne di fatto svanduta, secondo l'opinione di molti, alla famiglia Riva, produttori di acciaio bresciani.

I Riva hanno rilanciato l'Ilva, stabilizzando la manodopera, limitando gli scandali, razionalizzando la produzione spostando parte degli impianti produttivi da altre sedi (Genova) a Taranto, trasformando la locale ILVA nel terzo piu' grosso produttore di acciaio d'Europa, e il Gruppo Riva in uno dei piu' importanti gruppi economici italiani (Riva era tra i "capitani coraggiosi" che hanno comprato Alitalia, per esempio....).

Non solo rose e fiori, tuttavia, anzai.
Ci sono degli effetti collaterali mica da ridere.
Gli impianti ultra sfruttati e usurati non sono stati ammodernati per decenni, nastri trasportatori e depisiti di minerali scoperti sono rimasti sino ad ora in tutto o in parte in balia dei venti , causando lo "spolveramento" costante di minerali e polveri sulla citta' per piu' di 40 anni.
L'inquinamento e' aumentato con l'aumento della produzione.
Aria, acqua, mare e terra avvelenati per decenni hanno cominciato ad accusare il colpo.

L'ILVA e' il piu' grosso produttore europeo di Diossina e Anidride carbonica.

Altre attivita' produttive locali sono state limitate e danneggiate: il turismo non e' mai deccollato al contrario del resto della Regione, mentre agricoltura, zootecnia e miticoltura hanno subito notevoli perdite in seguito alla contaminazione di derrate e capi di bestiame a causa della diossina e di altre sostanze inquinanti di natura chiaramente industriale, come dimostrato da copiosi studi e ricerche .

La citta' di Taranto, sporca, inquinata, povera, ed odiosamente operaia, si e' trovata con un mostro alle porte che da una parte succhia energie vitali (per esempio, acqua potabile viene usata per il raffreddamento degli impianti industriali, in una delle regioni piu' aride d'Europa), dall'altra provvede a dare stipendi a piu' di 15.000 famiglie.

Un problema non da poco.

Il popolo tarantino e' diviso: da una parte una larga fetta della popolazione si e' trovata ad essere strettamente dipendente da quella mefitica zona industriale, che non ha saputo o voluto creare alternative per incapacita' politica e peculirarita' del territorio (ignoranza, alienita' dal contesto industriale dalla storia e dalle tendenze e logiche economiche locali, assenza di investimenti stranieri, monocultura, etc).

Dall'altra parte, la gente ha cominciato ad essere stufa della monocultura e dell'inquinamento, chiedendo espressamente la chiusura degli impianti inquinanti con referendum e manifestazioni.
Ora ci sono di mezzo la magistratura (la facolta' di chiusura e' nelle mani dei giudici), il Governo regionale e quello Nazionale, perche' l'Ilva produce acciaio per la Fiat, per le aziende del Nord Italia di elettrodomestici, per l'Esercito, etc etc etc.
E' un problema nazionale non di poco conto.

E' vero, il gruppo Riva di recente ha speso centinaia di milioni di euro per ammodernare gli impianti, e ci sono in programma opere di miglioramento per 1 miliardo di euro circa, di cui circa il 25% per opere ambientali.
E' Vero, il Governo e' sempre stato lento per quanto concerne le tematiche ambientali e le norme sulle migliorie tecniche fondamentali.
E' vero, l'industria e' stata pubblica per quasi 30 anni, e se ci sono problemi oggi non e' tutta colpa del gruppo Riva.

Pero' e' anche vero che il gruppo Riva ha fatturato mediamente 6 miliardi l'anno dallo stabilimento di Taranto per svariati anni, che l'acquisto degli impianti avvenne a prezzi di saldo proprio a causa dello stato degli impianti e della sfilacciata organizzazione interna.
E' anche vero che non si puo' moralmente sopportare un inquinamento da recordo, con mortalita' da malattie polmonari, cancro e leucemie sconcertanti, da 3 o 4 mondo.
E' anche vero che ci sono risorse non utilizzazte sul territorio (turismo su tutti, ma anche agricoltura di qualita', zootecnia, informazione, servizi) che la politica locale e nazionale ignora di fatto da sempre.
E' anche vero che la gente e' stanca di dover scegliere tra due alternative, emigrare o lavorare all'Ilva o arrularsi in Marina, perche' a Taranto c'e' poco o nulla.

L'assoluta assenza della politica locale si riflette nelle parole, spesso sterili, delle persone atterrite dall'ipotesi di dover emigrare, di non poter lavorare piu', di preferire un ambiente insalubre ma con un lavoro ad un ambiente pulito ma da disoccupati.
La tristezza di questi discorsi si amplifica con gli inteventi di Regione Puglia e Governo, pronti a concedere centinaia di milioni all'ILVA, da sempre pronta a minacciare licenziamenti di massa nonostante i lauti profitti degli ultimi decenni e gli ampi vantaggi politici ricevuti.

La vicenda ILVA e' lo specchio della poverta' di pensiero nazionale, della scarsa visione, della pena per il presente, dell'ignoranza e della diffidenza.
Taranto e' un laboratorio, un fermento senza precedenti.
Se l'ILVA, finalemte, dovesse chiudere, si aprirebbe un decennio di sconvolgenti cambiamenti, che potrebbero trasformare la citta'.
Nell'immediato presente ci sara' probabilmente una nuova guerra di mafia, una disoccupazione senza precedenti, un'emigrazione straordinaria, disperazione e pianti.

In pochi anni, tutto questo potrebbe pero' essere storia: a Taranto c'e' l'Universita' ora, c'e' coscienza di potenzialita' inespresse, c'e' un territorio vasto e a poco costo, c'e' piu' cultura tra i giovani e voglia di uscire da un vincolo che lega il destino della citta' ad una fabbrica che ha troppo a che fare con logiche nazionali e internazionali piu' che con la piccola realta' di una citta' povera e piccola.

La questione ILVA e' al centro dell'attenzione di molti, finalmente.
Se il futuro e' un'ipotesi, allora quello di Taranto ha molte, troppe variabili....

 
 
 
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