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Le donne perdute del Bangladesh

Post n°5 pubblicato il 06 Febbraio 2006 da cherylinn
Foto di cherylinn

Dove vengono sepolte le prostitute che muoiono nei bordelli del Bangladesh? In fosse comuni o nelle discariche dove si portano i cadaveri degli animali. E` forse questo il dato piu` emblematico che emerge dal Rapporto sui "Diritti umani delle donne nei bordelli" in Bangladesh, prodotto da Terre des hommes Italia, nell'ambito del programma di appoggio ai centri di accoglienza per i bambini delle "sex workers" gestiti dalle Ong bengalesi Aparajeyo e Jagorani Chakra. Gli attivisti dei Diritti umani di questo particolare tipo di attivita` non vogliono che si usi il termine bengalese di "potita" letteralmente "donna perduta" ovvero prostituta.
Dal rapporto si evincono diverse violazioni della dignita' umana quali quello di non poter mandare i figli a scuola perche', senza un padre ufficiale che li riconosca come loro, questi bambini non hanno neanche il piu' elementare dei diritti, ma anche quello di non poter uscire dal bordello senza autorizzazione della polizia o addirittura quello di non poter camminare con le scarpe, localmente lo stigma simbolico del massimo degrado umano. Il 26% delle donne dei bordelli sono vittime di trafficanti che le rapiscono dai villaggi o le comprano da famiglie troppo povere per poter realmente vedere cosa si nasconde dietro le promesse di un lavoro in citta'.

Molte di queste ragazze, spesso ovviamente giovanissime, sono state invrce stuprate e questo singolo atto di violenza ha determinato tutta la loro vita, costringendole ad entrare in un bordello perche' oramai inadatte al matrimonio. La gerarchia del bordello e' rigidissima e vede al suo apice la shordarni (tenutaria), spesso una vecchia del mestiere che tiene le giovani in stato di vera e proria schiavitu'. Attorno a questo microcosmo di difficile interpretazione, data l'assoluta eccezionalita' della sua collocazione sociale, vivono altri tipi di sfruttatori: padroni di casa, poliziotti, trafficanti, clienti affezionati, che qui vengono definiti "Babu", spesso padri veri o putativi dei bambini che nascono e vivono nel bordello. In Bangladesh la prostituzione esiste in uno "stato di eccezione": e' ufficialmente proibita, salvo poi essere riconosciuta tramite il sistema dell'"affidavit" (atto notarile, dichiarazione giurata) che "legalizza" l'attivita' in quanto sancisce l'impossibilita' della donna di fare altro mestiere e quindi individua nel bordello l'unica possibilita' di guadagnarsi da vivere. Un paradosso per il quale e' possibile, di fronte ad un ufficiale pubblico, dichiarare che non si ha dunque possibilita' di scegliere un altro destino.

E' proprio questo "stato di eccezione permanente", cosi' simile per dinamiche ed implicazioni a quello che oramai vive tutto il pianeta nel tempo della Guerra permanente Globale, che oggi piu' che mai rende politicamente significativo combattere questo tipo di "istituzione" e scomporla nelle sue multiple violazioni e dinamiche di oppressione. Il progetto per accogliere al di fuori del bordello i figli delle "sex workers" e' anche questo, un cuneo nel muro dell'ipocrisia che circonda e isola in un universo parallelo di diritti negati e soprusi permanenti, un gruppo di donne senza apparente possibilita' di scelta.

A monte di questa situazione il fatto, di tutta evidenza , che sia in crescita in ogni parte dei paesi in via di sviluppo un divario crescente tra campagna e citta' ed una conseguente concentrazione di ricchezza in poche mani, che lascia ampiamente scoperte gran parte della popolazione rurale indebitata ed incapace di sostenere il continuo ribasso del prezzo dei prodotti agricoli a fronte dell'aumento dei costi di produzione. Il rapporto di Terre des hommes ha infatti censito, su di una popolazione femminile dei bordelli di oltre quattromila donne, circa tre quarti provenienti da aree rurali e con alle spalle questa storia di fallimento dell'attivita' di sussistenza. Se pensiamo che in questi giorni la Nestle' chiede ai contadini etiopi i danni per un mancato guadagno, capiamo quali sono i rapporti di forza reali.
Se si pone il problema dello sfruttamento sessuale in questi termini e' chiaro che la lotta per i diritti delle "sex workers" parte dal riconoscimento dei diritti basilari, assistenza sanitaria, educazione, liberta' di movimento e di scelta ed approda coerentemente a richieste molto piu' imbarazzanti per governi retti dalla destra di ispirazione non solo nazionalista ma religiosa, che comunque non chiude le porte al capitale straniero, anzi. In questi giorni infatti, caso forse unico al mondo, nel paese si discute a livello parlamentare una legge di "impunita' totale" per la Banca Mondiale (sic!), aspettandosi evidentemente che questa isituzione possa violare molte norme di Diritto, naturalmente per favorire lo "sviluppo".

Attorno ai centri di accoglienza per i bambini delle lavoratrici dei bordelli e' nata dunque una vera e proria lotta politica, che rivendica una serie di diritti ben piu' articolata della semplice "assistenza". In particolare la lotta si focalizza sulle zone d'ombra di un diritto contraddittorio e ambiguo, che vengono prese di mira, quelle stesse norme che, proibendo ufficialmente cio' che di fatto viene permesso, aprono lo spazio ad altre violazioni, sempre in nome della norma consuetudinaria ma, piu' recentemente, di quella somma dello "sviluppo". Infatti, dicono gli attivisti che lavorano nei centri di accoglienza per i bambini dei bordelli, il fatto che queste donne vengano trafficate sempre piu' spesso dalla campagna alle citta' per il lavoro domestico nelle case dei ricchi o per assicurare manodopera flessibile ai terzisti delle produzioni delocalizzate europee o nord americane, aumenta a dismisura il numero di ragazze esposte a violenza e quindi costrette dalle norme sociali a "trovare rifugio" in un bordello. Molte storie sono infatti collegate ad espisodi di violenza sui luoghi di lavoro, dovuti alla vulnerabilita' delle donne sradicate dal loro contesto rurale e costrette ai duri ritmi di fabbriche completamente desindacalizzate.

I centri di accoglienza per i figli delle "sex workers", rivestono dunque un significato politico e sociale evidente, anche perche' ai bambini viene data una istruzione di tipo lavorativo, cercando pero' di scegliere settori che diano maggiori possibilita' di riconoscimento sociale e autoformazione, creando quindi un profilo professionale diverso, nella consapevolezza del rischio di formare i futuri sfruttati. Il diritto alla scuola per i bambini delle "sex workers", si lega allora alla critica dei processi produttivi e delle regole non scritte del vivere sociale, della stigmatizzazione di una attivita' che vede lo sfruttamento del corpo femminile come fenomeno del piu' generale sfruttamento del corpo di ogni uomo o donna. Ma anche i bambini, che provengono da un'esperienza spesso drammatica, vogliono dire la loro sul come crescere. Questi sono bambini che hanno, loro malgrado, accunmulato esperienza e strategie di sopravvivenza fisica e morale, impressionanti per profondita' di pensiero e di azione. Molti di loro sono disposti ad imparare solamente tanto quanto insegnano, di ricevere tanto quanto possono dare, questo e' il loro patrimonio di dignita'. Spesso i piu' grandi, quelli che hanno compiuto un percorso di formazione completo, diventano a loro volta attivisti sociali, in grado di penetrare queste realta' come nessun altro non solo per esperienza ma per sensibilita' umana, e sono i piu' attivi a cercare ed intrecciare il legame tra l'accesso alla scolarita' e l'equita' sociale.

tratto da:

http://ww2.carta.org/articoli/articles/art_5340.html 

Raffaele K. Salinari, Presidente Terre des hommes
22 dicembre 2005

 
 
 
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