Se Fossi TeBangladesh ........tutto quello che mai avresti pensato |
Post n°13 pubblicato il 16 Marzo 2006 da cherylinn
Per il quinto anno consecutivo, Anti-Slavery ha dovuto esprimere la propria preoccupazione al Gruppo di Lavoro sulla tratta dei bambini finalizzata allo sfruttamento negli EAU. Bambini continuano ad essere rapiti, venduti dai propri genitori o parenti, o allontanati dal proprio paese con l'inganno, per essere usati come fantini di cammelli negli EAU. La maggior parte proviene dal Pakistan, dall'India o dal Bangladesh, ma ci sono denunce anche di minori venduti dal Sudan e dalla Mauritania per gli stessi fini. L'utilizzo di bambini come fantini nelle corse di cammelli è di per sé estremamente pericoloso e può causare danni fisici seri e persino la morte. Esistono anche prove del fatto che alcuni fantini vengono maltrattati e torturati dai trafficanti e dai padroni, che, fra le altre cose, non li nutrono adeguatamente e li picchiano. Tuttavia, poiché vengono separati dalle loro famiglie e trasportati in un paese con una popolazione, una cultura e, spesso, una lingua completamente sconosciute, questi bambini sono incapaci di denunciare i maltrattamenti di cui sono vittime. La tratta dei bambini per usarli come fantini di cammelli è vietata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dalle Convenzioni n° 29 sul lavoro forzato, n° 138 sull'età minima e n° 182 sulle forme peggiori di lavoro minorile dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro - tutte ratificate dall'EAU. Alla ratifica della Convenzione n° 138, gli Emirati hanno stabilito che l'età minima per essere assunti a lavorare fosse di 15 anni. L'impiego dei minori al di sotto dei 15 anni è vietato anche dall'articolo 20 del Codice Federale del lavoro n° 8 (1980). Tuttavia, è necessario sottolineare che l'impiego di un minore come fantino di cammelli rappresenta, per l'articolo 3 della Convenzione n° 138 dell'OIL, un lavoro pericoloso, in quanto puó mettere a repentaglio la salute e la sicurezza del giovane. Tale è stata la conclusione della Commissione OIL alla Conferenza sull'Applicazione degli Standard nel giugno del 2001 e del rapporto del 2002 della Commissione di esperti. Entrambe le commissioni hanno fatto appello agli EAU perché approvassero una legge che fissi chiaramente a 18 anni l'età minima per l'impiego di fantini di cammelli, cosa che il governo non ha ancora fatto. Le seguenti informazioni sono prove concrete del fatto che bambini al di sotto dei 15 anni vengono ancora usati come fantini di cammelli negli EAU, e che ciò mette a rischio la loro salute e la loro sicurezza. Ciò è in contraddizione con la posizione del governo secondo cui precedenti denunce riguardavano casi sporadici che non riguardavano gli EAU.
Nel 1998, Jasim Hossain Howlader, allettato da promesse di denaro, acconsentì a lasciare che un trafficante portasse suo figlio Najmul negli EAU a lavorare come fantino di cammelli. Najmul ritornò in Bangladesh due anni e mezzo dopo, nel dicembre del 2000. Nel frattempo aveva riportato danni irreversibili a entrambi i reni, probabilmente perché gli era stata negata l'acqua, per farlo dimagrire. Fu trasportato in ospedale a Dhaka, ma morì l'11 Aprile 2001, all'età di sette anni. Il 29 Maggio 2001, Ansar Burney, presidente di Ansar Burney Welfare Trust International (ABWTI), un'organizzazione per la difesa dei diritti umani, denunciò il caso di Amir Abbas, un bambino pakistano di sei anni, deceduto dopo essersi ferito gravemente in seguito ad una caduta da cammello ad Al Ain (EAU) il 13 Maggio. Quando Amir Abbas arrivò negli EAU con la sua famiglia, nel 1999, il trafficante s'impossessò del passaporto del padre e portò Amir e suo fratello Nadir, di sette anni, a lavorare come fantini di cammelli. Il 19 dicembre, un reportage della Xinhua News Agency conteneva interviste a quattro giovanissimi rimpatriati del Bangladesh. I bambini testimoniavano di essere stati picchiati e malnutriti mentre lavoravano come fantini di cammelli negli EAU. L'articolo faceva inoltre riferimento a un altro bambino di nove anni che aveva perso un occhio lavorando come fantino. Un documentario filmato nel marzo del 2002da Lawyers for Human Rights and Legal Aid, una ONG con sede a Karachi, mostra bambini tornati di recente da Dubai che descrivono come venissero maltrattati e sottoposti a scosse elettriche se non avessero ben figurato nelle (piazzavano bene alle) corse. Questi casi fanno parte di un problema ben più ampio. Secondo Ansar Burney dell'ABWTI, nel solo Pakistan vengono rapiti e portati negli EAU circa 30 ragazzini ogni mese, mentre secondo un rapporto del Centro per gli Studi su donne e bambini (Centre for Women and Children Studies) di Dhaka nel Bangladesh, durante gli anni Novanta 1.683 ragazzini del Bangladesh sono stati vittime della tratta. Il rapporto segnala anche che la stragrande maggioranza aveva meno di 10 anni, e che la maggior parte veniva probabilmente usata come fantini di cammelli nei paesi del Golfo. Il rapporto è stato stilato sulla base di articoli giornalistici. Ma secondo uno studio realizzato dal Bangladesh National Women's Lawyers Association ogni anno sono ben 7.000 le persone che vengono vendute dal Bangladesh. Il rapporto relativo agli EAU del Dipartimento di Stato statunitense sul rispetto dei diritti dell'uomo per il 2001 conferma che "continuano ad esserci denunce credibili di centinaia di minori dell'Asia meridionale, principalmente fra i 4 e i 10 anni di età, che continuano ad essere usati come fantini di cammelli". Il rapporto del Dipartimento di Stato evidenzia inoltre il fatto che molte persone che impiegano fantini al di sotto dei 15 anni rimangono impunite: "In certi casi vengono applicate le leggi contro le organizzazioni criminali della tratta, ma non contro i proprietari dei cammelli da corsa che impiegano i bambini, perché tali proprietari appartengono a famiglie potenti che sono a tutti gli effetti al di sopra della legge. Secondo fonti credibili, ci sono stati almeno 25 casi di fantini di cammelli minorenni rimpatriati nei loro paesi d'origine [nel 2001] … i proprietari dei cammelli non vengono perseguiti per aver violato le leggi suddette, di conseguenza la richiesta di fantini minorenni non incontra alcun ostacolo." Conclusione Le precedenti informazioni indicano che centinaia di ragazzini vengono trafficati e usati come fantini di cammelli negli EAU. Inoltre, è indubbio che l'impiego dei bambini come fantini di cammelli sia un'attività pericolosa che, secondo l'articolo 3 della Convenzione n° 130 dell'OIL, dovrebbe essere svolta solo da persone al di sopra dei 18 anni. Non solo le leggi in vigore sono inadeguate, ma in governo degli EAU non ha preso le misure necessarie per applicarle e punire i responsabili del traffico e dell'impiego di ragazzini al di sotto dei 15 anni come fantini di cammelli. Sebbene le precedenti informazioni si riferiscano in modo particolare agli EAU, Anti-Slavery esprime la propria preoccupazione anche nei confronti di altri Stati del Golfo in cui vengono usati fantini bambini. Ad esempio, un documentario di 45 minuti del canale satellitare Al-Jazeera, con sede nel Qatar, girato nel 2000/2001, mostra chiaramente bambini del Quatar che cavalcano e cadono da cammelli. Nel documentario vi sono anche immagini da un ospedale dove un giovane fantino di cammelli asiatico che aveva riportato traumi cranici gravi in seguito a una caduta, è successivamente deceduto. Anti-Slavery accoglie con favore l'impegno del Consiglio Supremo per gli affari familiari del Qatar del 2001 ad affrontare la questione dei fantini di cammelli minorenni, e la decisione del governo di offrire un'istruzione elementare gratuita ai bambini senza la cittadinanza del Qatar. Tuttavia, è importante che a questi impegni seguano interventi concreti per fare in modo che nessun bambino al di sotto dei 18 anni venga usato come fantino di cammelli nel Qatar. In questo contesto, Anti-Slavery fa appello a tutti gli Stati del Golfo in cui esiste la possibilità che bambini vengano usati come fantini di cammelli perché conducano un'indagine approfondita e soddisfino le seguenti richieste. Richieste Anti-Slavery chiede al governo degli EAU di: 2. Introdurre leggi che vietino l'impiego di ragazzi al di sotto dei 18 anni come fantini di cammelli e sanzioni penali contro coloro che le vìolano. 4. Ratificare il Protocollo delle Nazioni Unite per prevenire, sopprimere e punire la tratta delle persone, in particolare di donne e bambini (2000). 5. Invitare una missione di contatto diretto dell'OIL negli EAU per assistere il governo nella stesura e nella realizzazione di un piano d'azione per combattere la tratta dei bambini verso gli EAU utilizzati come fantini di cammelli, e dimostrare il pieno rispetto delle Convenzioni OIL n° 29, 138 e 182. tratto da: http://www.antislavery.org/archive/submission/ITAsubmission2002-UAE.htm |
Post n°12 pubblicato il 16 Marzo 2006 da cherylinn
Una forma contemporanea di schiavitù, un vero e proprio dramma che, talvolta, acquisisce tinte quasi inumane, come nel caso di una bambina thailandese venduta dai propri genitori. Venuta a sapere della situazione della figlia, destinata a soddisfare otto clienti al giorno in un bordello di Bangkok (invece della vicina città che le era stata promessa), la mamma piange e si lamenta per il poco guadagno realizzato dalla vendita della figlia, che ora svolge un lavoro così redditizio, e pensa solo che avrebbe dovuto chiedere 10.000 bath (205 €) invece che 5.000 (102 €). tratto da: |
Post n°11 pubblicato il 16 Marzo 2006 da cherylinn
Siete perdonati se, avendo letto la stampa internazionale, pensate al Bangladesh più come a una zona disastrata che come a una meta turistica. Tuttavia, dietro a queste immagini di cicloni e inondazioni, di instabilità politica, si nasconde un paese sorprendentemente bello e lussureggiante, con una ricca storia e una varietà di luoghi interessanti piuttosto insolita per un paese di queste dimensioni. Per iniziare, potete visitare siti archeologici che risalgono a più di 2000 anni fa, scoprire la spiaggia più lunga e la foresta di mangrovie più grande del mondo, oppure visitare le decadenti tenute dei maragià del XIX secolo. La regione di Chittagong è ancora coinvolta da scontri tra i civili e dovrebbe essere evitata. Si consiglia inoltre di segnalare sempre all'Ambasciata italiana la propria presenza immediatamente all'arrivo in Bangladesh, così come gli eventuali spostamenti nel paese, mantenendo elevata la soglia di prudenza ed evitando manifestazioni e assembramenti. L'indirizzo dell'Ambasciata è: Road 74/79 Plot 2/3 Gulshan, P.O.Box No. 6062 - Gulshan - Dhaka; tel. 0088 02 8822781/2/3; fax 0088 02 8822578; e-mail: ambdhaka@dominox.com. tratto da: |
Post n°10 pubblicato il 28 Febbraio 2006 da cherylinn
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Post n°9 pubblicato il 07 Febbraio 2006 da cherylinn
An Online Photo Exhibition and Fundraising for the Victims and Families News Update November 26, 2005 While much needs to be done in the long term to implement systemic changes to prevent the recurrence of such disasters, in the immediate short term, assistance needs to be provided to those families who have lost their main bread-earner and to those workers who have been permanently disabled. As a step in that direction, Drishtipat has partnered with Uttorshuri to initiate an on-line fundraising effort. Other Bangladeshi internet-based organizations have stepped forward enthusiastically to help promote the cause and we thank our co-sponsors: 100% of your donations will be channeled to the families of the disabled and the dead. For the most effective disbursement of the raised funds, Drishtipat has partnered with Sromik Nirapotta Forum, a newly formed alliance of 15 very well known human rights organizations such as Ain O Shalish Kendro. Based on the information as of May 15, 2005, the gravest injuries were sustained by about 30 victims. Some of them are in the military hospital, 1 in Dhaka Medical Hospital, and 7 more in the Orthopaedic Hospital with severe injuries and limb amputations. One 17 year old boy lies paralyzed because of a vertebrae injury. 18 were released from Apollo Clinic in Savar after a few days - possibly due to lack of funds to pay for the required sustained medical care. We are now moving expeditiously into the implementation stage of our project. As of May 24, 2005, the Sramik Nirapatta Forum members have collected medical reports and information on the families of the victims who have sustained the gravest injuries, and they are in the process of identifying and partnering with an organization who will undertake the rehabilitation efforts in collaboration with the medical experts. They will meet in the coming week to finalize the most effective disbursement strategy. Once the details are finalized, all implementation details will be updated here. In parallel to our efforts at addressing the immediate needs of the injured victims and their families, it is imperative to take a stance to ensure the prevention of any such disasters in the future. Towards that direction, a writ petition seeking judicial intervention to redress the grievances of the victims of the Factory Collapse, and seeking direction to prevent further disasters in the future, was filed by the Sramik Nirapatta Forum on May 24, 2005. Highlights of the court order, excerpted from the press release, include interim orders directing the Deputy Commissioner of Dhaka, RAJUK and the BGMEA to produce their investigation reports before the Court. The Deputy Commissioner, Dhaka, Chief Inspector of Factories, RAJUK and Savar Cantonment Board have also been directed to submit reports before the Court on legality of the construction of the building, ownership of land and safety conditions of the buildings. The reports are to be submitted within one week from the reopening of the court after the vacation. Meanwhile, the Chairman, Managing Director and Director of the Spectrum Sweater Industries Ltd. have been restrained from disposing of any of their assets and properties. They have also been rejected bail by the court after their surrender Informational resources that address the lack of proper enforcement of safety standards in the garments industry: This online exhibition has been possible only because of photographer Farjana K. Godhuly who kindly agreed to contribute her photos for this online exhibition. Our sincere gratitude to this rising star of Bangladesh who is currently working as a photojournalist of Agence France-Prasse (AFP). Her haunting images bring out the human element of the tragedy and makes it all the more real to the viewers the sheer loss that it has caused to the already poverty stricken workers and their families. We hope you will see the exhibition and donate online for the long term rehabilitation of some of these victims' families.
All Pictures credit of AFP. All donations to Drishtipat are tax deductible to the extent allowable by law. Drishtipat's IRS Tax ID is 38-3657939. More about Drishtipat and Uttorshuri. Please click on the link below to donate through credit card or paypal. Please Note: 3% of donation will go to Pay Pal for using their services. For checks payable to Drishtipat, please mail to For pledges, please email to info@drishtipat.org before May 12th
Donation Update: June 11th: $15407
Total Paypal Collected 6662
A Chowdhury Pledges: Najmul Chowdhury *One annonymous donor matched the first 150 donors donations up to $50 that totalled $5000 tratto da: News Update November 26, 2005 |
Post n°8 pubblicato il 07 Febbraio 2006 da cherylinn
Per visitare virtualmente il Bangladesh http://www.virtualbangladesh.com/ Qui vedrete quello che si vuole si veda.... con gli occhi di chi vende il mondo ad un cieco.... e gli si dice che ciò che è tinto di nero... in realtà è azzurro cielo. |
Post n°7 pubblicato il 06 Febbraio 2006 da cherylinn
Chi finanzia le microimprese e l'economia informale, in particolare nelle zone povere del pianeta e in quelle depresse nell'ambito dei paesi industrializzati? Le banche tradizionali no di certo. Accede al credito chi può mettere a rischio, come garanzia, i propri beni personali (purché abbiano un qualche valore di mercato). I poveri non hanno accesso al credito perché non offrono garanzie e perché è alto il rischio di mancato rimborso; inoltre le rate che sono in grado di pagare sono troppo basse perché le banche ne traggano profitto. Oggi il miliardo di persone che costituisce il 20% più povero della popolazione produce l'1% del risparmio mondiale. Questa fascia di popolazione riceve appena lo 0,2% del credito mondiale. E' come dire che 4 lire su 5 del risparmio dei poveri vengono "prestate" dal sistema finanziario ai più ricchi. E naturalmente l'accesso al credito è enormemente più difficile per le donne. Strumento per la lotta alla povertà - Il microcredito nasce per dare la possibilità ai poveri di accedere al credito secondo modalità adeguate al povero. E consegue risultati, sotto il profilo bancario e sotto il profilo della lotta contro la povertà, molto apprezzabili. Il livello delle sofferenze (cioè i crediti non restituiti alla scadenza del prestito) è molto contenuto e questo è la migliore dimostrazione che è possibile fare attività bancaria anche laddove non ci sono clienti "bancabili" in senso tradizionale. La conferma viene da fonti autorevoli: uno studio della Banca Mondiale conferma che i programmi di microcredito accrescono gli standard di vita soprattutto per le donne e i loro familiari. Anche se la microfinanza non dovrebbe essere l'unico strumento per la riduzione della povertà. Credito alle donne - Le esperienze di microcredito più interessanti al mondo hanno evidenziato alcuni aspetti critici e alcuni elementi di successo. Non basta dare il denaro al povero. Occorre educare all'uso del denaro. Da questo punto di vista le donne si sono rivelate molto più affidabili degli uomini. Un elemento che accomuna le più riuscite iniziative di microcredito nel mondo non sviluppato è il ruolo accentuato del finanziamento alle donne. Eppure proprio le donne, in molti paesi, non hanno accesso né alla terra, né al credito e neppure ad altre risorse produttive che consentano loro di produrre cibo e che generino reddito in quantità sufficiente. Se le donne negli ultimi anni sono riuscite a uscire dal meccanismo del lavoro per la mera sussistenza per avviare iniziative economiche autonome, lo si deve in gran parte alle organizzazioni collettive di assistenza alle donne indigenti attraverso la concessione di microcrediti e prestiti. Una banca un po' speciale - Una banca un po' particolare è la Grameen Bank, fondata nel 1976 da Muhammad Yunus in Bangladesh: una banca rurale (graamen in bengalese significa contadino) che concede prestiti e supporto organizzativo ai più poveri, altrimenti esclusi dal sistema di credito tradizionale. Oggi Grameen Bank ha più di 2,4 milioni di beneficiari e il tasso di restituzione dei prestiti (che si aggirano in media sui 100 dollari l'uno) è altissimo, circa il 98%. Il 95% dei beneficiari di Grameen è rappresentato dalle donne che in Bangladesh sono le più povere e le più emarginate, perché sono considerate come le più attendibili nella restituzione del prestito e infine perché sentono maggiormente il senso della famiglia e sono coloro che si occupano dell'educazione dei figli. Le banche etiche - Nel 1980 è nata in Olanda la Triodos Bank, dall'esperienza ventennale di una cooperativa di credito. Nel 1995 aveva già un volume di attività di 165 miliardi di lire. E' tra i membri fondatori di INAISE (International Association of Investors in the Social Economy). Nel 1988 è nata in Germania la Oekobank, sulla spinta del movimento ambientalista. In Svizzera nel 1990 è nata la Banque alternative BAS, per promuovere progetti nel campo dell'economia non profit. Citizen Bank in Giappone, Merkur in Danimarca, Eko Osuuspankii (ora Osuuskunta Eko-Osuusraha) in Finlandia, South Shore Bank negli Stati Uniti, Banque Populaire du Haut Rhin in Francia sono altre banche etiche. Le istituzioni internazionali e il ruolo del microcredito - Il potenziale contributo del microcredito alla lotta alla povertà è ora riconosciuto dalle istituzioni mondiali deputate a sostenere lo sviluppo. Nel giugno 1995 la Banca Mondiale ha avviato un programma di microcredito per promuovere e sostenere progetti di microcredito secondo le modalità delle Organizzazioni non governative. Le Nazioni Unite hanno approvato il 18 dicembre 1997 una risoluzione sull'importanza del microcredito come strumento per sradicare la povertà. La risoluzione è significativa in quanto per la prima volta e in modo esplicito riconosce che i programmi di microcredito si sono rivelati efficaci nel liberare migliaia di persone, soprattutto le donne, dallo sfruttamento e dalla povertà. Questi programmi hanno inoltre aumentato la pertecipazione di chi ne ha beneficiato ai processi economici e politici e si sono rivelati determinanti nel processo globale di sviluppo umano e sociale. La sempre maggiore attenzione al microcredito ha portato all'organizzazione del primo Microcredit Summit tenutosi a Washington dal 2 al 4 febbraio 1997 con la partecipazione di rappresentanti di ONG, intermediari finanziari e imprese impegnate nel sociale, gruppi di base del Nord e del Sud del mondo, agenzie delle Nazioni Unite, Governi nazionali, istituzioni internazionali. 100 milioni di famiglie strappate alla povertà entro il 2005 - I destinatari dei crediti e dei servizi delle istituzioni di microfinanza nel mondo sono circa 15 milioni. Crescono del 30% l'anno, ma non basta. E lo sforzo maggiore contro l'esclusione lo fanno ancora le reti alternative. La Banca Mondiale ha stimato in oltre 7.000 le istituzioni di microfinanza di ogni tipo operanti nel mondo. Almeno 1.300 di esse sono esplicitamente impegnate a perseguire l'obiettivo lanciato dal Microcredit Summit a Washington nel febbraio '97: raggiungere 100 milioni di famiglie tra le più povere del mondo, soprattutto le donne di queste famiglie, con crediti per attività lavorative autonome e altri servizi finanziari e commerciali entro il 2005. Alla metà del '98 - ultima rilevazione su larga scala - erano quasi 15 milioni i poveri nei paesi in via di sviluppo, ma anche all'Est e nelle periferie dei paesi ricchi, raggiunti da programmi di microcredito, per un portafoglio crediti complessivo di oltre 7 miliardi di dollari. Complessivamente i dieci maggiori programmi di microcredito toccavano al giugno '98, tutti insieme, 10.821.069 destinatari. La forza della microfinanza - Molto significative sono le performance di istituzioni di microfinanza di taglio medio e piccolo: il boliviano BancoSol, principale banca dei poveri della rete di Accion (Americans for Community Cooperation in Other Nations), che raggiunge quasi 80.000 clienti di cui il 65% donne, con un portafoglio a rischio pari al 2% dei 63 milioni di dollari di crediti aperti; la keniota K-Rep, la maggiore istituzione di credito ai poveri del continente africano, con oltre 7.000 destinatari (58% donne) e un portafoglio di 4,1 milioni di dollari; l'indiana Sewa Bank, la "cassa di risparmio" (8.000 clienti) della Self-Employed Women's Association, associazione di donne di città e campagna che lavorano nel settore informale e che commerciano anche nei canali del fair trade. L'alibi del microcredito? - Nel complesso il microcredito cresce nel mondo ad un tasso del 30% annuo. E sembra avere l'attenzione di banche e istituzioni finanziarie "ufficiali", tanto da dar luogo anche a polemiche sul suo possibile ruolo di "alibi" per ridurre l'intervento pubblico per lo sviluppo. Ma stando alle cifre dell'Unctad, la Conferenza Onu su commercio e sviluppo, solo il 2% dei 500 milioni di microimprese esistenti nel mondo - che rappresentano fino al 50% di certe economie nazionali - ha accesso al credito. Una cifra, cioè, praticamente coincidente con i destinatari dei programmi di microcredito delle "banche dei poveri" o, al massimo, delle agenzie di cooperazione. Il restante 98% si scontra con un rifiuto categorico del sistema bancario "formale" e, al più, può ricorrere agli usurai. L'apporto della Banca Mondiale o della Citicorp, prima ancora di essere imbarazzante, non si vede proprio. tratto da: |
Post n°6 pubblicato il 06 Febbraio 2006 da cherylinn
La settimana scorsa in Bangladesh - nella città di Shippur - più di cinquanta operai (per lo più donne e bambini) sono morti soffocati nell’incendio della fabbrica tessile dove erano rinchiusi a lavorare in condizioni di autentica schiavitù. Nel momento in cui si sono sviluppate le fiamme erano al lavoro nel maglificio circa novecento operai (il numero dei morti con ogni probabilità è tristemente ben superiore a quello fornito dalle versioni ufficiali) e tutte le vie d’uscita dello stabilimento erano state criminalmente sbarrate dall’esterno dal padrone affinché nessuno potesse allontanarsi dal lavoro: si è così consumata un’orribile ed infame strage. Lo scorso 18 Novembre in un’azienda chimica di Johannesburg, in Sud Africa, identica tremenda scena: incendio, porte sbarrate dall’esterno per "motivi di sicurezza", dodici operai arsi vivi. Queste tragedie non sono casuali né costituiscono delle eccezioni. In tutto il Sud del mondo centinaia di milioni di uomini, donne e bambini di ogni età sono infatti costretti dalla fame e dalla miseria a lavorare nell’industria, nelle miniere e nei campi in regime di sfruttamento bestiale ed in assenza di ogni sia pur minima misura di sicurezza. I primi veri ed autentici responsabili di tutto ciò stanno qui in "casa nostra": sono le banche, le multinazionali ed i governi occidentali che attraverso i meccanismi usurai del mercato e della finanza internazionale schiacciano sotto il loro tallone assassino ed affamatore i paesi e le masse lavoratrici in tutto il terzo mondo. In Bangladesh l’intera industria tessile (più di un milione e mezzo di addetti) lavora al servizio - diretto o indiretto - dei grandi marchi dell’abbigliamento occidentale, in Sud Africa le miniere e le industrie producono per conto delle Holding americane ed europee, ovunque nel Sud del mondo si spreme il sudore ed il sangue dei proletari innanzitutto per il profitto dei signori del dollaro, della sterlina e dell’euro. Il regime di sfruttamento schiavistico a cui sono costrette le masse del Sud del mondo non solo si traduce in enormi guadagni per le grandi compagnie multinazionali, ma viene anche utilizzato per ricattare ed indebolire a tutto campo e pesantemente gli stessi lavoratori occidentali con la costante minaccia di trasferimento degli impianti e delle produzioni all’estero e con il "confronto" con salari, orari e complessive condizioni di lavoro al limite della umana sopportazione. L’insegnamento che viene fuori dagli avvenimenti di questi anni è che quanto più l’imperialismo (cioè quel pugno di nazioni ricche - con l’Italia nelle prime fila - che domina il mondo) affonda i suoi artigli nelle carni degli sfruttati del Sud e dell’Est del mondo, tanto più esso schiaccia anche i proletari d’occidente: questo insegnamento deve essere prontamente fatto nostro. Nessuna reale e stabile tutela delle nostre condizioni lavorative e salariali, nessuno stop al continuo aumento dello sfruttamento (con il suo carico di morti sul lavoro), nessun argine al dilagare della precarietà e del lavoro "nero" ed alla ripresa in sempre più grande stile dello sfruttamento minorile anche qui in Italia ed in occidente, nessuna stabile e reale barriera contro l’offensiva capitalistica insomma potrà mai essere eretta a nostra difesa fino a quando permetteremo - anche con la nostra indifferenza e passività - che nei restanti tre quarti del pianeta i nostri stessi padroni mettano alla frusta e schiavizzino (direttamente o con la complicità delle borghesie locali) milioni di uomini, donne e bambini. L’imperialismo mette in concorrenza i lavoratori del Sud del mondo con quelli del Nord, quelli occidentali con quelli immigrati (cioè con quei proletari che proprio dall’opera di rapina dei "nostri" capitalisti sono costretti ad abbandonare i loro paesi), al fine di approfondire la separazione tra queste varie sezioni della nostra classe. Per questa via punta, a scala nazionale e mondiale, ad azzerare la forza politica del proletariato e ad imporre a tutte le latitudini e con sempre più violenza il proprio ordine fatto di sangue e profitto. Contro tutto ciò per i lavoratori occidentali vi è una sola strada: quella di separare e contrapporre i propri destini da quelli della "propria" nazione e del "proprio" capitalismo e, al contrario, di ricongiungersi in un unico esercito di classe con gli sfruttati del Sud del mondo. Andare in questa direzione è urgente e significa iniziare ad appoggiare sin da subito ed incondizionatamente le lotte che le masse oppresse del pianeta conducono contro l’"ordine occidentale", significa battersi a fondo contro ogni "umanitaria" aggressione militare che (come in Iraq e Jugoslavia) l’imperialismo scaglia contro i popoli che non si piegano ai suoi diktat, significa appoggiare senza condizioni il processo di organizzazione e lotta dei lavoratori immigrati, significa denunciare le stragi come quelle avvenute in Bangladesh sentendole e vedendole per quelle che esse realmente sono: dei crimini che l’imperialismo compie contro la nostra classe, contro noi stessi. E’ solo per tale via che potremo riconquistare un programma ed un partito autenticamente classista ed internazionalista attorno a cui serrare le fila del proletariato mondiale per resistere e dare guerra a tutto campo al capitalismo e per sotterrarlo con tutte le sue leggi di mercato, morte e miseria, in nome e nella prospettiva del socialismo internazionale. tratto da: |
Post n°5 pubblicato il 06 Febbraio 2006 da cherylinn
Dove vengono sepolte le prostitute che muoiono nei bordelli del Bangladesh? In fosse comuni o nelle discariche dove si portano i cadaveri degli animali. E` forse questo il dato piu` emblematico che emerge dal Rapporto sui "Diritti umani delle donne nei bordelli" in Bangladesh, prodotto da Terre des hommes Italia, nell'ambito del programma di appoggio ai centri di accoglienza per i bambini delle "sex workers" gestiti dalle Ong bengalesi Aparajeyo e Jagorani Chakra. Gli attivisti dei Diritti umani di questo particolare tipo di attivita` non vogliono che si usi il termine bengalese di "potita" letteralmente "donna perduta" ovvero prostituta. Dal rapporto si evincono diverse violazioni della dignita' umana quali quello di non poter mandare i figli a scuola perche', senza un padre ufficiale che li riconosca come loro, questi bambini non hanno neanche il piu' elementare dei diritti, ma anche quello di non poter uscire dal bordello senza autorizzazione della polizia o addirittura quello di non poter camminare con le scarpe, localmente lo stigma simbolico del massimo degrado umano. Il 26% delle donne dei bordelli sono vittime di trafficanti che le rapiscono dai villaggi o le comprano da famiglie troppo povere per poter realmente vedere cosa si nasconde dietro le promesse di un lavoro in citta'. Molte di queste ragazze, spesso ovviamente giovanissime, sono state invrce stuprate e questo singolo atto di violenza ha determinato tutta la loro vita, costringendole ad entrare in un bordello perche' oramai inadatte al matrimonio. La gerarchia del bordello e' rigidissima e vede al suo apice la shordarni (tenutaria), spesso una vecchia del mestiere che tiene le giovani in stato di vera e proria schiavitu'. Attorno a questo microcosmo di difficile interpretazione, data l'assoluta eccezionalita' della sua collocazione sociale, vivono altri tipi di sfruttatori: padroni di casa, poliziotti, trafficanti, clienti affezionati, che qui vengono definiti "Babu", spesso padri veri o putativi dei bambini che nascono e vivono nel bordello. In Bangladesh la prostituzione esiste in uno "stato di eccezione": e' ufficialmente proibita, salvo poi essere riconosciuta tramite il sistema dell'"affidavit" (atto notarile, dichiarazione giurata) che "legalizza" l'attivita' in quanto sancisce l'impossibilita' della donna di fare altro mestiere e quindi individua nel bordello l'unica possibilita' di guadagnarsi da vivere. Un paradosso per il quale e' possibile, di fronte ad un ufficiale pubblico, dichiarare che non si ha dunque possibilita' di scegliere un altro destino. E' proprio questo "stato di eccezione permanente", cosi' simile per dinamiche ed implicazioni a quello che oramai vive tutto il pianeta nel tempo della Guerra permanente Globale, che oggi piu' che mai rende politicamente significativo combattere questo tipo di "istituzione" e scomporla nelle sue multiple violazioni e dinamiche di oppressione. Il progetto per accogliere al di fuori del bordello i figli delle "sex workers" e' anche questo, un cuneo nel muro dell'ipocrisia che circonda e isola in un universo parallelo di diritti negati e soprusi permanenti, un gruppo di donne senza apparente possibilita' di scelta. A monte di questa situazione il fatto, di tutta evidenza , che sia in crescita in ogni parte dei paesi in via di sviluppo un divario crescente tra campagna e citta' ed una conseguente concentrazione di ricchezza in poche mani, che lascia ampiamente scoperte gran parte della popolazione rurale indebitata ed incapace di sostenere il continuo ribasso del prezzo dei prodotti agricoli a fronte dell'aumento dei costi di produzione. Il rapporto di Terre des hommes ha infatti censito, su di una popolazione femminile dei bordelli di oltre quattromila donne, circa tre quarti provenienti da aree rurali e con alle spalle questa storia di fallimento dell'attivita' di sussistenza. Se pensiamo che in questi giorni la Nestle' chiede ai contadini etiopi i danni per un mancato guadagno, capiamo quali sono i rapporti di forza reali. Attorno ai centri di accoglienza per i bambini delle lavoratrici dei bordelli e' nata dunque una vera e proria lotta politica, che rivendica una serie di diritti ben piu' articolata della semplice "assistenza". In particolare la lotta si focalizza sulle zone d'ombra di un diritto contraddittorio e ambiguo, che vengono prese di mira, quelle stesse norme che, proibendo ufficialmente cio' che di fatto viene permesso, aprono lo spazio ad altre violazioni, sempre in nome della norma consuetudinaria ma, piu' recentemente, di quella somma dello "sviluppo". Infatti, dicono gli attivisti che lavorano nei centri di accoglienza per i bambini dei bordelli, il fatto che queste donne vengano trafficate sempre piu' spesso dalla campagna alle citta' per il lavoro domestico nelle case dei ricchi o per assicurare manodopera flessibile ai terzisti delle produzioni delocalizzate europee o nord americane, aumenta a dismisura il numero di ragazze esposte a violenza e quindi costrette dalle norme sociali a "trovare rifugio" in un bordello. Molte storie sono infatti collegate ad espisodi di violenza sui luoghi di lavoro, dovuti alla vulnerabilita' delle donne sradicate dal loro contesto rurale e costrette ai duri ritmi di fabbriche completamente desindacalizzate. I centri di accoglienza per i figli delle "sex workers", rivestono dunque un significato politico e sociale evidente, anche perche' ai bambini viene data una istruzione di tipo lavorativo, cercando pero' di scegliere settori che diano maggiori possibilita' di riconoscimento sociale e autoformazione, creando quindi un profilo professionale diverso, nella consapevolezza del rischio di formare i futuri sfruttati. Il diritto alla scuola per i bambini delle "sex workers", si lega allora alla critica dei processi produttivi e delle regole non scritte del vivere sociale, della stigmatizzazione di una attivita' che vede lo sfruttamento del corpo femminile come fenomeno del piu' generale sfruttamento del corpo di ogni uomo o donna. Ma anche i bambini, che provengono da un'esperienza spesso drammatica, vogliono dire la loro sul come crescere. Questi sono bambini che hanno, loro malgrado, accunmulato esperienza e strategie di sopravvivenza fisica e morale, impressionanti per profondita' di pensiero e di azione. Molti di loro sono disposti ad imparare solamente tanto quanto insegnano, di ricevere tanto quanto possono dare, questo e' il loro patrimonio di dignita'. Spesso i piu' grandi, quelli che hanno compiuto un percorso di formazione completo, diventano a loro volta attivisti sociali, in grado di penetrare queste realta' come nessun altro non solo per esperienza ma per sensibilita' umana, e sono i piu' attivi a cercare ed intrecciare il legame tra l'accesso alla scolarita' e l'equita' sociale. tratto da: http://ww2.carta.org/articoli/articles/art_5340.html Raffaele K. Salinari, Presidente Terre des hommes 22 dicembre 2005 |
Post n°4 pubblicato il 05 Febbraio 2006 da cherylinn
50 le vittime Un corto circuito ha scatenato le fiamme, qualsiasi via di fuga era chiusa, le porte bloccate in nome di una concezione penitenziaria della sicurezza: così sono morti 50 dipendenti di una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh, in maggioranza donne e bambini. Alcuni soffocati dalle sostanze sprigionate dal fuoco, altri morti per l'impatto contro il suolo, dopo un lancio nel vuoto dalle finestre dell'edificio (l'incendio era scoppiato al quarto piano). |
Post n°3 pubblicato il 05 Febbraio 2006 da cherylinn
Primi nomi di chi si riforniva nella fabbrica tessile crollata in Bangladesh I sindacati e Clean Clothes Campaign denunciano le responsabilità delle imprese importatriciLa spagnola Zara, che fa parte del distributore di moda Inditex, la tedesca Karstadt Quelle, la francese Carrefour e la belga Cotton Group sono alcune delle imprese di abbigliamento europee che si rifornivano dalla Spectrum Fashions, la cui fabbrica a Savar, in Bangladesh, è crollata l’11 aprile, causando oltre 100 morti.L’edificio, crollato in pochi secondi, probabilmente in seguito allo scoppio di una bombola di gas, era una costruzione originariamente di quattro piani, a cui ne erano stati aggiunti cinque, costruita tre anni fa senza permessi su un terreno paludoso. Il BSCI è finalizzato alla promozione di un miglioramento delle condizioni di vita e dell’ambiente di lavoro nei Paesi che producono e forniscono beni al mercato europeo e prevede verifiche ispettive sui fornitori delle aziende aderenti da parte di organismi riconosciuti, applicando lo stesso metodo, in modo da evitare che lo stesso fornitore venga sottoposto a due o tre controlli in funzione dei codici di comportamento delle singole imprese commerciali. |
Post n°2 pubblicato il 05 Febbraio 2006 da cherylinn
Che il Bangladesh sia fra i paesi più poveri al mondo, è un dato di fatto. Da anni Ong ed istituzioni internazionali lottano contro la povertà estrema in cui versa il paese. Più recente invece è lo sforzo profuso da organizzazioni locali, come il Bnwla (associazione nazionale delle avvocate), per affermare il rispetto dei diritti delle donne. Nel 2002 sono state aggredite e torturate più di trecento donne. Il Bangladesh è un paese prevalentemente musulmano dove le tradizioni vengono spesso radicalizzate. Una donna non può rifiutare le "avances" di un uomo senza che questo gesto venga interpretato come un insulto alla famiglia dell’uomo. Una donna deve avere una dote adeguata per il matrimonio anche se tuttavia può sposarsi ugualmente promettendo di saldare il "debito" successivamente. Se queste regole non vengono osservate, gli uomini possono usare contro le donne terribili strumenti di ritorsione come il vetriolo. Il fatto che il primo ministro del Bangladesh sia una donna e che organizzazioni internazionali cerchino di sradicare questa cultura, non sembra produrre risultati incoraggianti. Federico Bastiani tratto da http://www.women.it/blogs/donnesenzaconfini/archives/ESSERE%20DONNA%20IN%20BANGLADESH |
Post n°1 pubblicato il 05 Febbraio 2006 da cherylinn
Pensate un attimo... Cosa sapete di questa nazione... Poco vero? Eppure molte delle cose della vostra vita quotidiana vengono da lì, ma... vi siete chieste a che prezzo? No vero?..... allora, seguite con interesse l'evolversi di questo Blog, perchè sono certa, che insieme... forse riusciremo a smuovere quel piccolo granello di sabbia che serve per iniziare.... a smuovere gli occhi del mondo. |
Inviato da: gardenparks
il 02/06/2012 alle 16:33
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il 27/10/2011 alle 02:37
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il 25/03/2009 alle 03:36