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TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE DISTACCATA DI OSTIa

Post n°67 pubblicato il 22 Luglio 2012 da SentenzeMediazione

TRIBUNALE  DI   ROMA    SEZIONE    DISTACCATA DI OSTIa   Giudice   dott. cons.   Massimo Moriconi
nella   causa
tra
X (avv.to ___)
intimante
E
Y s.a.s. in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv. ___)
intimato contumaceha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art.281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 5.7.2012 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente
S  E  N  T  E  N  Z  A
letti gli atti e le istanze delle parti,osserva:le domande dell’attore sono risultate pienamente fondate.Le eccezioni del conduttore non sono fondate.Devesi ritenere anche alla luce di quanto si di in prosieguo che l’ammontare del canone della locazione commerciale, scaglionato negli importi e progressivamente crescente nel corso degli anni, è stato espressamente previsto al fine di favorire l’avviamento dell’attività commerciale del conduttore e non per fare conseguire al locatore un (illecito) beneficio, in termini di rivalutazione, maggiore di quello previsto dalla legge: ne consegue la perfetta legittimità della pattuizione.Né sono stati offerti dal conduttore elementi a comprova di una diversa volontà delle parti.Va altresì considerato che inviate le parti in mediazione all’esito del mutamento del rito dopo la fase sommaria di convalida, nella quale il giudice aveva emesso ordinanza di rilascio, il conduttore non è comparso benché ritualmente convocato.La mancata partecipazione al procedimento di mediazione, ritualmente avviato, da parte del convenuto convocato.Occorre valutare le conseguenze della mancata partecipazione del convenuto ritualmente convocato al procedimento di mediazione attivato dall’intimante, su impulso del giudice ex art.5 decr.lgsl.28/10 primo comma (mediazione obbligatoria).L’art.8 del decr.lgsl 28/10 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo - della parte convocata – al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di provanel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.Quanto alla possibili di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 cpc, cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre “argomenti di prova”, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout courtil fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.La norma dell’art.116 cpc viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr.lgs.cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti.Ne consegue, tali essendo le finalità dell’inserimento nel decreto legsl.28/10, che equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ordinamento giuridico.Va considerato che nell’attuale situazione della giustizia civile, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi principalmente nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e  viste le sempre più gravi conseguenze, economiche ed ordinamentali, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi;  sia necessario rivalutare, senza forzature ma con la doverosa umiltà dell’interprete, ciò che è scritto nella legge.È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.

 
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