Creato da nina.monamour il 11/06/2010
 

Il Diavolo in Corpo

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Messaggi del 07/02/2014

Il "re del porno" corteggia il Principe Harry...

Post n°6159 pubblicato il 07 Febbraio 2014 da nina.monamour
 

Terrorizzato che possano uscire nuove foto, il principe Harry sacrifica Facebook, guai su guai accumulano su "Skipe Wells", come si faceva chiamare sul social network il secondogenito di Carlo e Diana e la fidanzata del momento, Cressida Bonas lo molla "umiliata".

I Generali minacciano di "tagliarli le ali" di Pilota di elicotteri se ne fa un'altra delle sue.

Persino la Regina

 decide di lasciarlo a casa per la cerimonia di apertura delle Paraolimpiadi, Elisabetta si farà accompagnare dal "saggio" William e dalla moglie Kate.

Oltre al re del porno Steven Hirsch che gli ha offerto dieci milioni di dollari per girare un film a luci rosse, c'è solo Rupert Murdoch che simpatizza con Harry dicendo che il Principe è pagato dallo Stato ma il pubblico lo ama, anche quando si diverte a Las Vegas.

Peccato che non piu' tardi di 10 giorni fa il tycoon di NewsCorp avesse messo il Principe alla berlina ordinando al suo braccio destro in Gran Bretagna, Tom Mockridge, di pubblicare le foto nude sul Sun, un colpo di avvertimento al Giudice che indaga sul tabloidgate sparato in "nome della libertà di stampa".

Il problema per Harry è che le due foto non sono sicuramente le sole. Due ragazze del biliardo party stanno offrendo le loro immagini alle agenzie di paparazzi, mentre un'altra avrebbe deciso di vuotare il sacco con una tv americana. Per il Principe è essenziale che questo non succeda, dopo aver ricevuto la ramanzina del padre Carlo, e Harry dovrà fronteggiare il suo diretto superiore, il Tenente Colonnello Tom de la Rue alla base di Wattisham.

Non sarà una conversazione facile, del caso sono stati investiti il Capo di Stato Maggiore della Difesa Generale Sir David Richards e il Capo dell' Esercito Peter Wall. Per il momento, comunque, ci si limiterebbe ad incoraggiare il Principe a devolvere due settimane di salario ad un ente benefico di sua scelta ma de La Rue sarebbe stato incaricato di porre al Principe un "ultimatum": se ne fa un'altra delle sue non potrà piu' volare!

Voi ci credete? Io no....

 
 
 

I padani non comprano la mia carne perchè sono terrone....

Post n°6158 pubblicato il 07 Febbraio 2014 da nina.monamour
 

E’ una storia particolare quella di Antonino, giovane  emigrato reggino a Treviglio, nella bassa bergamasca. E’ una storia particolare perché ci racconta quante forme mutevoli possa assumere il razzismo. Ma procediamo con ordine, vediamo di farci un’idea di quanto successo.

Antonio, di Reggio Calabria, è un giovane coraggioso: del resto, il coraggio e l’intraprendenza sono doti facilmente reperibili nei calabresi per bene. Compie una scelta, anche questa comune dalle nostre parti: decide assieme alla moglie di lasciare Reggio e risalire la penisola fin quasi all’estremo opposto. Destinazione Treviglio, un piccolo paesino del bergamasco.

Lo scopo è quello di aprire una macelleria di qualità, sogno di una vita. Antonino ci riesce, la macelleria apre i battenti e con essa la speranza di una vita migliore. Ma il percorso che lo aspetta non è così roseo come egli si era prefigurato; gli affari non vanno, la gente entra con diffidenza nel suo negozio ed acquista la sua carne solo dopo avergli chiesto se è italiano.

Forse è la carnagione scura ad ingannare gli avventori della macelleria che ritengono che si tratti di una macelleria islamica. Faccia nuova, mai vista la sua in paese. Antonino percepisce che questo “sospetto” nuoce agli affari: la porta del suo negozio si apre sempre meno, e per porre rimedio a questa emorragia di clienti compie un errore. Un errore dettato dalla buona fede e dal bisogno di dare nuova linfa all’attività: all’ingresso della macelleria affigge una nuova insegna: “Macelleria Italiana, solo carni italiane”.

Non c’è intento razzista nei confronti degli islamici. Semplicemente un tentativo forse un po’ goffo di rassicurare i clienti sulla provenienza della carne che egli macella. Tentativo che però porta il risultato opposto: parte contro di lui una campagna mediatica atta a dargli del razzista. La storia diventa così popolare in paese che all’inizio Antonino trova la solidarietà di alcuni dei suoi clienti.

La stessa “Padania” difende il macellaio che viene addirittura ospitato dalla D’Urso a “Pomeriggio 5”, per spiegare le sue ragioni: nulla contro i marocchini o gli extracomunitari in genere. Semplicemente la volontà di esprimere con chiarezza la provenienza delle sue carni ed il metodo di macellazione delle stesse.

Questo quarto d’ora di celebrità dona all’attività nuova forza: la gente curiosa entra in macelleria, chiede di lui e dell’accaduto e compra qualcosa. Insomma, sembra che l’incidente diplomatico non abbia lasciato strascichi negativi anzi, che abbia creato una nuova opportunità. Ma la situazione non è così semplice perché emerge un’altra scandalosa verità su Antonino: egli non è marocchino, non utilizza metodi islamici per trattare e vendere la sua carne.

Antonino è (sic!) calabrese.  Sì perché i clienti fissi del negozio vengono a riferirgli che la massa di curiosi che aveva fatto capolino per fargli qualche domanda e degli acquisti spicci, apprese le sue origini meridionali avrebbe detto: “Io non do soldi ai terroni”. Morale della favola: lo scorso luglio Antonino si trova costretto a chiudere bottega, gettando chili di carne invenduta.

E’ rimasto a Treviglio, dove sta provando a cercare lavoro ma il momento storico è quel che è e non è facile per nessuno in nessuna parte d’Italia. Gli resta l’amarezza per quel sogno infranto dalla piovra del razzismo, perché l’aria che tira dice che se essere islamici ispira poca fiducia, essere calabresi è ancor peggio. Insomma, la Calabria non è Italia e perciò se il macellaio non è islamico ma reggino il suo lavoro non vale lo stesso.

E’ particolare, come dicevo all’inizio, la storia di Antonino perché è razzismo nel razzismo: se è vero che egli ha compiuto un errore strategico, ingenuo, lo è altrettanto che la verità emersa da questa vicenda è ancora peggiore. Non solo non si perdona ad una persona onesta di non essere italiana, come se questo fosse sinonimo di scarsa qualità lavorativa e mediocri capacità imprenditoriali; ancor meno si è tolleranti con chi proviene dalla parte “sbagliata” d’Italia e che non merita neanche qualche spicciolo seppure guadagnato onestamente.

Non sappiamo cosa ne sarà di Antonino Verduci, così come non sappiamo cosa ne sarà di tutti coloro che lasciano la Calabria (ma non solo) alla ricerca di un di più che troppo spesso la terra d’origine non è in grado di offrire. Sappiamo solo che il prezzo da pagare per ottenere questo “di più” è tanto, troppo alto.

Chi scrive ben conosce il dolore, il senso di vuoto, la rabbia e l’impotenza che si provano quando si viene discriminati per la propria provenienza territoriale, e questo perché a propria volta ha dovuto subire l’onta di sentirsi “diversa” e “pericolosa” in quanto reggina. Sono cose impossibili da raccontare a chi ne è lontano, che segnano per sempre e che fanno perdere fiducia non solo nel prossimo ma anche più in generale nel futuro.

Mi chiedo: è questo il paese nel quale vogliamo che crescano i nostri figli? In nome di questa Italia dovremmo sacrificarci, lottare? A questo paese e ad i suoi rappresentanti dovremmo affidare il nostro futuro e le nostre speranze? Ne siamo davvero così sicuri?

La risposta, terribile, si trova ahimè dietro la porta serrata della macelleria di Antonino, o dietro le speranze negate di molti di noi (sottoscritta compresa), che hanno avuto il coraggio di rischiare sentendosi dire: “Non c’è posto per te, sei di Reggio Calabria”.

 
 
 

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