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Remenber

Post n°11 pubblicato il 13 Maggio 2009 da la.signora.del.lago

Ovviamente nell'anno della nascita di mio fratello iniziò per me la scuola. Avevo raggiunto la gioia: stare insieme alla mia amichetta del cuore durante il giorno, senza doverla aspettare come facevo quando lei andava all'asilo mentre io ero a casa da sola con la mia mamma.

Capii brutalmente che l'intensità del sentimento che la legava a me non era pari all'intensità del mio per lei. In pratica, mentre io vivevo per il momento in cui l'avrei rivista, lei viveva sempre anche senza di me. Ohibò che dolore, che delusione.

E comunque avevo ancora casa mia. Avevo questo fratellino tutto nuovo, tutto bello che sembrava fatto apposta per essere guardato, baciato, accarezzato. Ed io facevo tutto questo. Mia madre era persa completamente e per lui si sarebbe buttata nel fuoco. A me cominciava a dire frasi fastidiose che suonavano sempre più "pilatesche" tipo "Su che sei una donnina grande adesso! Non avrai mica bisogno di me....".
No, non avevo bisogno di lei....sicura? Si, sicura.... e poi, lei, a che mi sarebbe servita? 

Passavano i giorni ed ero impegnata con la scuola. La mia amica era brava di suo, io facevo fatica: mio padre sapeva a malapena scrivere il suo nome, mia madre faceva quel che poteva, ma la cura del piccolino la prendeva molto. In poche parole mi dovevo arrangiare e contare solo su me stessa.

Quando il piccolo aveva sette mesi trovò il modo di imporsi completamente all'attenzione generale in un modo che non sarebbe stato facile dimenticare. Un bel giorno cominciò a vomitare e il suo piccolo corpicino non tratteneva più nulla. All'alba del secondo giorno fu presa la decisione di farlo visitare da un pediatra a pagamento.
Questo tizio lo visitò, sconcertando tutti diagnosticò non solo una gastroenterite acuta, ma anche che sarebbe stato inutile qualsiasi ricovero. Dovevamo fare delle iniezioni ogni 3 ore, dargli un cucchiaino di thè la sera stessa, se lo tratteneva sarebbe sopravvissuto, in caso contrario sarebbe morto. L'indomani mattina il pediatra sarebbe ripassato a visitarlo nuovamente.

Mia madre sembrava impazzita di dolore, una schiera di femmine la rincuoravano, una signora di professione infermiera si incaricò di venire a fare le iniezioni durante la sera, la notte, e la mattina successiva.

Il cucchiaino di thè non fu vomitato, la mattina seguente il pediatra dichiarò il bimbo fuori pericolo.

E si salvò. E nella famiglia lo guardarono sempre come se al mondo non esistesse una cosa più preziosa.

Io ero piccola ma avevo compreso l'immensità dell'accaduto dal punto di vista dei miei genitori; anche per me quel bimbo divenne una specie di Gesù.

 

 
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