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A QUALCUNO (NON) PIACE (IL) CAL...CIO 6

Post n°561 pubblicato il 08 Ottobre 2014 da mrjbigmat

CAP. 6 - DIVAGAZIONE AL SUPERMERCATO (DOVE CI SIAMO UN PO' SPINTI, MA SIAMO TUTTI GRANDI E VACCINATI. COMUNQUE LA PEGGIORE DI TUTTI).

Permettetemi un’altra divagazione. Non è solo che, come avrete [is1] capito, io adori le divagazioni, le galoppate mentali, le fughe dallo schema, ma è come se qualcosa mi spingesse a dirvi tutto; come se ogni dettaglio, qualsiasi sfumatura, qualsiasi piccolo fatto successo in quei mesi possa servirvi a farvi un’idea, anzi sia addirittura indispensabile alla comprensione degli eventi.

Della sera del mio licenziamento, ormai sono passati più di sei mesi, ricordo una gran fame, ma anche nessuna voglia di vedere qualcuno. Avevo bisogno di fermarmi a riflettere, di stare solo. Gli eventi si stavano accavallando e non avevo ancora avuto il tempo di fare un resoconto di quello che stava accadendo. D’altra parte poteva essere tutto frutto della mia paranoia[is2] , o addirittura della mia frustrazione, del mio astio, nei confronti di chi vedevo così diverso da me. Era proprio il momento di una serata tranquilla a casa ad analizzare gli eventi con più lucidità. Già sapevo che troppe serate a cenare fuori o addirittura a saltare la cena non potevano essere passate senza aver prodotto danni. Accesi il televisore e mi recai in cucina per vedere che cosa potevo mettere sotto i denti, misi sul telegiornale del secondo canale che stava mandando un servizio su George Best, il calciatore britannico morto il giorno prima, consumato dall’alcool e dagli eccessi. Scorrevano le immagini in bianco e nero e le parole del commentatore: ‘Best è uno dei pochi che non ha avuto bisogno di morire per diventare un mito: gli è bastato[is3]  danzare nell’area’.  Non era la prima volta che lo vedevo e anche in quella occasione mi fece la stessa impressione, quella cioè che il suo divertimento consistesse nel farsi gioco di tutti. E quella azione era il marchio di fabbrica di Best: finta, difensore a terra, finta, un altro difensore steso; potrebbe tirare, ma sarebbe troppo facile, ritorna a prendersi i difensori, forse per dare loro un’altra possibilità, possibilità solo teorica perché quel pallone ha trovato il suo padrone e compagno, il piede fatato di George the Best, che lo lascerà solo per mandarlo in rete. Sono sicuro che il suo scopo non fosse fare gol, lui sentiva dentro di sé che il gol, per quanto stupendo lo puoi fare, è la fine di qualcosa, in un certo senso la morte, è che, invece, fino a quando hai la palla ai piedi e continui a dribblare non devi affrontare la vita vera e ritardi in tutti i modi il ritorno alla realtà. Gli altri, quelli della vittoria ad ogni costo, la chiamano dissipazione, ma di tanti di loro non resterà traccia, di Best si parlerà ancora per un bel po’. Un’altra cosa che me lo rendeva simpatico era la convinzione che George Best in alcuni momenti doveva aver avuto un frigo come il mio. Non nutrivo grosse speranze, ma quello che mi si presentò davanti superava ogni previsione pessimistica: il mio frigo era vuoto. E non è il solito modo di dire, il mio frigo [is4] era proprio vuoto. Se un professore di scienza avesse voluto spiegare ai suoi studenti il fenomeno dei buchi neri sarebbe potuto partire da lì. Non c’era nemmeno la scorza di limone o la busta di latte rancido che si vedono nei film. Se non fosse stato per le macchie di unto si sarebbe potuto pensare che era appena comprato. Il problema è che io odio fare la spesa. Fui tentato, come avevo fatto altre volte, di saltare il pasto, imbottendomi di whisky fino a dimenticare la fame. Ma non me lo potevo permettere, se le cose erano come le vedevo io, qualcosa di grosso stava per succedere o stava già succedendo. E in città c’era chi stava pensando di prendere con la forza quelli che venivano identificati come i centri di poteri, anche a non volerla chiamare rivoluzione era qualcosa che ci si avvicinava molto. Non ero un ‘brigante’ e non condividevo l’azione di forza, ma quella sera non potevo stare a casa a riempirmi di alcool mentre il mondo attorno stava cambiando la storia. Insomma, tante parole per dirvi che solo una rivoluzione imminente poteva portare uno come me al supermercato una volta tornato a casa.

Entrai nel supermercato e acquistai a casaccio, quando ebbi riempito il carrello di cose perlopiù inutili mi avvicinai alla cassa. Davanti a me, nell’altra fila, c’era un tipo con gli occhiali alla Michael Douglas in ‘Un giorno di ordinaria follia’. L’associazione me lo rese interessante: mi aspettavo che da un momento all’altro tirasse fuori anche lui un fucile a pompa[is5] . Aveva un carrello pieno di roba, stracolmo di tutto, pasta, latticini, vino, birra, biscotti, come se sapesse solo lui che a Bush non era piaciuta l’ultima barzelletta di Berlusconi[1] e fosse imminente un bombardamento intelligente sull’Italia, o stesse sopraggiungendo una carestia biblica. Scaricò velocemente sulla cassa ogni sorta di vivande e alimenti[is6] . E alla fine tirò fuori una banana. Una sola. Ricordo che pensai: che cazzo se ne fa di una sola banana? Mi convinsi sempre di più che da un momento all’altro sarebbe successo un pandemonio. Ero certo ormai che quella banana fosse un’arma chimica o una pistola alla James Bond. Come spesso accade nei momenti di tragedia, in quel caso solo temuta, si finisce per pensare alle cose più stupide. Come succede ai funerali alcune volte. Vista la mia predisposizione naturale, non mi fu difficile neanche in quel momento che precedeva la fine del mondo. Fui facilitato dal fatto di avere davanti a me una gnocca bionda di quelle che creerebbero un ingorgo stradale anche alle cinque del mattino. Mi venne da pensare che se proprio dovevo morire in un supermercato avrei voluto farlo fra le sue chiappe. Parlare con Laura al telefono mi aveva messo un’eccitazione[is7]  niente male. La sua voce leggermente roca e il suo accento sudamericano, volutamente calcato in alcune circostanze, avevano sempre un bell’effetto su di me. Ero sicuro che mi avrebbe capito: stava arrivando la fine del mondo e in quei momenti si pensa sempre a come si vorrebbe morire e in giro non c’era di meglio da pensare. Ammesso che in assoluto ci sia di meglio che immaginarsi fra le gambe di una bella donna. Risalii con lo sguardo le gambe abbronzate[is8]  e nude fino a metà. Mi soffermai un po’ sulla piccola piega dietro al ginocchio. Aveva un vestitino di quelli che si alzano un po’ da dietro e sembra che non aspettino altro che di essere sollevati. Ritenendo ormai di avere poco da vivere a causa della banana, presi  coraggio e iniziai a spingere il mio carrello, piano, appoggiandomi quasi impercettibilmente, ma non tanto evidentemente, perché lei se ne accorse. Mi aspettavo che mi spaccasse in testa le due Tuborg che aveva in mano e stava per posare sulla cassa. Lei invece fece qualche passetto indietro e appoggiò il culo sullo spigolo sinistro del mio carrello, strusciandosi lentamente. Si girò e mi sorrise. Mi portò a casa sua dove mi raccontò che sin da piccola era sempre stata molto sensibile in quelle parti, che aveva sperimentato tutti gli oggetti di forma oblunga umanamente pensabili: carote, cetrioli, zucchine, bottiglie di coca-cola, tubi innocenti. Facemmo l’amore due volte e lei mi disse che, pur avendo[is9]  una profonda esperienza in materia, nessuno l’aveva fatta godere come me. Mi sentii una via di mezzo fra Tarzan e Mazinga Z, ma[is10]  la mia legittima soddisfazione svanì come una bolla di sapone quando la cassiera mi ripeté per la terza volta il totale della mia spesa.

“89 euro e 35 centesimi, signore”.

“Ah sì, mi scusi”, risposi con la faccia di uno che ha un foruncolo gigante e purulento sul naso. Vidi la bionda, che nella mia fantasia era diventata ormai miss cetriolo, andare via con Michael Douglas; capii allora a che serviva quella banana. Almeno avevamo evitato la fine del mondo[is11] .



 

 
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