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Post N° 56

Post n°56 pubblicato il 21 Dicembre 2006 da MUSICANTE_0
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“COLPIRNE UNO PER EDUCARNE CENTO”


Ormai è chiaro che in Calabria è scoppiata, anche se non dichiarata ufficialmente, una guerra che ha tutte le caratteristiche dei conflitti
asimmetrici: da una parte i detentori del potere costituito, un potere che finge di sventolare bandiere di partito con colori diversi ma che in effetti è trasversale ed obliquo ai diversi piani di gran parte della classe politica che ha governato e che governa la Calabria, e dall’altra una società civile variegata e composita, che solo lentamente ma progressivamente sta prendendo coscienza del ruolo ineludibile che la storia le sta assegnando.
La lobby del Potere ha ormai messo profonde radici nella Pubblica Amministrazione calabrese, con tutti i drammi potentemente denunciati nei giorni scorsi con un’immagine cruda ma terribilmente vera dal Prefetto di Reggio Calabria dott. De Sena. E le forti tensioni esplose in questi ultimi giorni non sono che la rappresentazione plastica della terribile e feroce lotta per garantirsi posizioni di ferreo controllo su tutti quei “valichi”
del bisogno che tutti i giorni sono costretti ad attraversare a schiena curva i poveri cristi calabresi.
E se esiste una tensione all’interno del Palazzo vogliamo augurarci con tutto il cuore che il tutto non sia ridotto ad una guerra tra bande ma che, sia pur nell’ambito di quella oligarchia, ci sia anche chi lotta per impedire accaparramenti, per dare la bacchettata sulle mani adunche che i rappresentanti diretti del malaffare, della malapolitica, della massoneria deviata e della mafia, le quattro “m” maledette della nostra storica ipoteca sociale calabrese, stavano ancora una volta allungando.

Ma dall’altra parte chi c’è?
Vorremmo poter dire tutti gli altri, tutta la vasta gamma degli esclusi da quella aristocrazia del potere, dal disoccupato al lavoratore cassintegrato, dal precario alle casalinghe, dai pensionati ai lavoratori in nero, e via via salendo nella diversificazione non solo lavorativa ma anche sociale ci dovrebbero essere i poveri, gli sfruttati, i senza casa, i genitori con famiglie numerose, e poi il vasto mondo della piccolissima e piccola impresa, degli artigiani, della cooperazione sociale e non, i sacerdoti ed i vescovi, l’associazionismo culturale e sociale, i movimenti, i sindacati, gli imprenditori, gli appartenenti alle forze dell’ordine ed alla magistratura, gli impiegati, i giovani. Soprattutto i giovani.

Quanta gente! Ma sono veramente tutti dall’altra parte?
Certamente in buona parte sì, escludendo quella parte malata della società civile che vive di collusione con il potere, accontentandosi delle briciole che cadono dalla tavola dei potenti. Ma di questa parte senza dignità, fatta di giovani prostituiti nelle segreterie dei partiti, o di vecchie ciabatte dei corridoi dove si decide non vogliamo neanche parlare, perché sono la vergogna della società.

Quello di cui vogliamo parlare è invece di quella Calabria che fino ad oggi, pur essendo fondamentalmente sana e salda nei princìpi, ha dato delega di rappresentanza a quella aristocrazia, credendola classe dirigente.
E invece non era così, perché quella che fino ad oggi ha governato la Calabria non è mai stata una classe dirigente ma una casta di Intoccabili, una oligarchia a cui noi sin da oggi revochiamo ogni delega in maniera irrevocabile.
Ma non tanto per la grandinata di avvisi di garanzia e di condanne che si è abbattuta negli ultimi anni sul Consiglio Regionale della Calabria, che pure ci turba profondamente, ma soprattutto nel constatare la scomposta e violenta reazione posta in essere dal presidente del Consiglio Regionale Giuseppe Bova a fronte di una precisa e puntuale denuncia fatta dai ragazzi di Locri e di Calabria del movimento “E adesso ammazzateci tutti”, seguita oggi da una difesa d’ufficio che più che la solidarietà di una squadra è apparsa l’autodifesa di un “quasi branco”, peraltro abbastanza sparuto, che mostra le zanne aguzze pronto a mordere e ad uccidere, sia pure virtualmente, per difendere il “capo branco” ed il territorio.

Ma ci domandiamo: se un movimento di giovani vi formula delle accuse precise e taglienti come bisturi, come quella di aver strumentalizzato politicamente alcuni ragazzi ed annettendoli al partito dei Ds con l’intento di destabilizzare i ragazzi del movimento antimafia e di aver dirottato verso di loro una bella dote di soldi pubblici che invece sarebbero dovuti servire a finanziare tutto il movimento antimafia giovanile nato in Calabria, perché il presidente Bova anziché rispondere pacatamente e con fermezza alle accuse rivolte, come il ruolo istituzionale gli avrebbe imposto, si è invece sfilato la cinta dai calzoni come i vecchi massari per frustare a sangue uno solo di quei ragazzi, quell’Aldo Pecora che è pure il loro leader ma che non aveva scritto a suo nome neanche un rigo di quella querelle?

Un presidente del Consiglio Regionale che non ha solo dimostrato un nervosismo quantomeno sospetto, ma che non ha esitato ed esporre Aldo, questo povero meraviglioso ragazzo di vent’anni che si è messo a capo di una allegra brigata di giovani straccioni di Valmy che senza risorse economiche ed inventandosi anche i centesimi pur di non dipendere dalle casse pubbliche ha messo in piedi la più bella e non violenta ribellione contro tutte le mafie che si sia mai vista in Calabria negli ultimi trent’anni almeno, additandolo – con un comunicato stampa - con nome, cognome e residenza anche alle possibili vendette di chi si è visto scoprire gli sporchi giochi che girano attorno a quel mondo mefitico chiamato ‘ndrangheta. Siamo d’accordo con i ragazzi, che hanno scritto che in questa Calabria si può morire per molto meno.

Cosa c’è dietro questa strategia di puntare il dito come una calibro nove contro Aldo da parte di Bova e del branco che si è scatenato in sua difesa?
E’ evidente: c’è il vecchio pensiero di Mao, il “grande timoniere” della rivoluzione comunista cinese, che diceva “colpirne uno per educarne cento”.
Non bastava rispondere civilmente alle contestazioni mosse dal più importante movimento di giovani antimafia calabrese (checchè farfuglino i membri del branco, la verità è come la luce del sole, e nessuno può sognarsi di oscurarla), era necessario “dare una lezione” che dimostrasse a tutti cosa costa mettersi contro il Potere. E per dare quella lezione bisognava trovare un capro espiatorio e crocifiggerlo senza pietà nelle pubbliche piazze, cosicché fosse di monito agli altri.
Come facevano gli antichi romani con i primi cristiani, come fecero i fascisti con Matteotti, come fece la mafia con Peppino Impastato.
L’unica differenza è che non hanno usato le armi da fuoco ma la penna, orchestrando il peggior linciaggio mediatico mai visto sui giornali calabresi, nemmeno quando catturarono i boss della ‘ndrangheta, nemmeno quando presero i killer di Fortugno.
E come dice qualcuno di noi “in Calabria è più pericolosa la mafia della penna che quella della lupara”.

Ma stavolta hanno fatto male i loro conti, perché Aldo Pecora non è solo, non è quel vanesio scriteriato e quel matto che hanno creduto di far
passare: Aldo Pecora siamo tutti noi, e non avranno abbastanza legno per crocifiggerci tutti.
Aldo non è un leader per decreto, come alcuni di loro sono rappresentanti nelle istituzioni democratiche, Aldo è un leader perché sul suo cervello, ma anche sul suo cuore, sulle sue gambe e sulle sue giovani braccia poggia a vive la speranza dei giovani calabresi onesti.

Giù le mani da Aldo Pecora, presidente Bova e tutti voi che avete alzato lo scudiscio per colpire un giovane trasparente come un bicchiere d’acqua. Se non avete saputo rivestire con dignità il mandato che noi calabresi vi avevamo affidato, sappiate almeno affrontare con dignità il vostro tramonto.


Il Coordinamento Regionale della Rete per la Calabria (www.perlacalabria.it)

FINE OTTAVA PUNTATA

 
 
 
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