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IL CARATTERE DELL’ECONOMIA SALENTINA

Post n°30 pubblicato il 25 Maggio 2011 da tommaso.mt

Il carattere è per un popolo più importante che l’ingegno e la dottrina. Sventura dell’Italia è stata sempre la mancanza di carattere in troppi fra coloro che avrebbero dovuto darne l’esempio”. (G. Salvemini, 1946). Pasquale Villari, in una lettera del 1861, avrebbe aggiunto: “qual è il carattere più notevole in questo popolo, dopo che il regime borbonico è caduto noi diremmo: la mancanza di fiducia in se stesso”.

Nelle sue Riflessioni sulla pubblica felicità relativamente al Regno di Napoli (1788), seguendo, in alcuni tratti essenziali, le teorie economiche e tributarie del milanese Pietro Verri, autore delle Meditazioni sulla felicità (1763) e delle Meditazioni sull’economia politica (1771), Giuseppe Palmieri di Martignano gettò le basi fondamentali per liberare l’economia del Salento dai tanti impedimenti fiscali e non solo, per dare ampio respiro a una realtà piena di potenzialità. Dopo l’Unità d’Italia, gli indirizzi governativi che caratterizzarono quell’epoca che gli storici chiamano “liberale”, ma solo nel pensiero e nelle idee di quel tempo, finì per danneggiare seriamente un territorio agricolo già povero e arretrato. Giustino Fortunato fu tra i primi a parlare di questione meridionale e, dopo la delusione della politica liberale, di “misera Italia”. Questo periodo è caratterizzato dall’intensa lotta parlamentare in difesa dell’economia del nostro territorio, da parte di due illustri conterranei, ossia Antonio De Viti De Marco (Casamassella) e il coetaneo Antonio Vallone (Galatina). La loro politica era diretta contro la tariffa granaria del 1887 e il protezionismo industriale che affossarono la fragilissima economia agricola del meridione e del Salento, provocando la fame e la miseria di una popolazione ridotta allo stremo, che esplose, a Galatina, con i “tremendi fatti di Cristo Risorto del 1903”. 

La situazione odierna, nel contesto storico e congiunturale presente, non è poi così diversa da allora. Basta guardare le condizioni in cui operano le imprese allocate nella prima vera zona industriale di tutta la provincia di Lecce, ossia quella di Galatina-Soleto, ma stesso discorso vale anche per le altre, comprese quelle artigianali e commerciali. Isolate dalle più importanti arterie stradali, rendendone difficile, senza nemmeno un’opportuna segnaletica verticale, il collegamento viario dei mezzi pesanti con la S.S. 101 Lecce-Gallipoli e con la S.S. 16 Lecce-Maglie, obbligando loro il passaggio da alcuni centri abitati; prive delle altre infrastrutture, di un adeguato sistema di illuminazione, dei servizi idrici e fognanti, con seri problemi riguardo la sicurezza stradale. Purtroppo, la classe dirigente del Salento non ha dimostrato carattere e determinazione nemmeno davanti alle problematiche riguardanti la tanto discussa S.S. 275, che, nei progetti, collegherebbe l’isola (il Capo di Leuca) con la penisola, perché gli interessi particolari, alle volte, hanno la meglio su quelli del territorio e del suo sviluppo forte e duraturo.

Sono gli imprenditori del Salento ad avere dimostrato carattere nell’operare in queste impervie condizioni, dovendo fronteggiare una pesante crisi economica e finanziaria, e un primo trimestre 2011 a tinte fosche. Le imprese del Salento sono state costrette a fare da sole, con le ristrutturazioni aziendali, attraverso l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati, nonostante le promesse elettorali, rimaste tali, e innalzate da chi ha avuto bisogno di consensi per fini puramente particolari. Ritornano le parole di Villari: “la cosa veramente indispensabile alle nostre province sono le strade, le opere pubbliche”. Sono esigenze dell’Italia post-unitaria, ma ancora presenti. Eppure non mancano gli enti territoriali competenti, consorzi e altro ancora, che assorbono, però, denaro pubblico per risanare i propri bilanci deficitarii, sottraendolo dalle realtà produttive. Delle ricche risorse 2007-2013, è stato speso soltanto un misero 6 percento, con il rischio di vedersi cancellate quelle assegnate e non spese: una vergogna, degna di una politica priva di carattere e piena, invece, di false pretese.

Le imprese salentine vogliono continuare ad essere protagoniste e forza trainante dell’economia e della crescita di tutta la Puglia, preparandosi per agganciare quella fragile ripresa intravista da qualche parte. La chiave di lettura è nelle parole di De Viti De Marco, che destino volle abbia frequentato il collegio “Giuseppe Palmieri” di Lecce, il quale sosteneva che “gli alti salari sono la condizione dell’elevamento materiale e morale della classe lavoratrice” che “porta con sé automaticamente l’elevamento di tutto il paese; e questo rifluisce nuovamente a beneficio, anche economico, di tutte le classi, compresi i proprietari”. Il programma di risanamento dei conti pubblici italiani è stato una delle cause della crescita quasi zero dell’economia nazionale e salentina, in particolare, amplificando gli effetti della pesante congiuntura. Manca una seria politica che porti al centro del dibattito il lavoro e la produzione di ricchezza, temi importanti di un Paese che vuole proclamarsi liberale, discorsi che abbiamo imparato a memoria dalle diverse campagne elettorali, ma gli effetti si perdono nelle stanze del potere: la riforma del fisco e della giustizia, un efficace processo di liberalizzazioni, lotta al sommerso e sgravi fiscali per il lavoro e per chi crea valore aggiunto e lo distribuisce sul proprio territorio. Lo sguardo delle imprese salentine è rivolto con grande speranza allo svilupparsi del Piano nazionale per il Sud, stilato dal Ministro per i Rapporti con le Regioni e la Coesione, Raffaele Fitto. Tanti progetti per il meridione, promessi per accontentare una parte della classe politica e dirigenziale del Sud: soltanto si spera che questo abbia fortune migliori. Diceva ancora De Viti De Marco: “noi vogliamo atti di giustizia tributaria, non concessioni graziose. Noi vogliamo che sieno eliminate dalla legislazione alcune delle disposizioni inique, che operano una speculazione del carico tributario nazionale a nostro danno”.

Stiamo oramai per entrare nell’era del federalismo fiscale tanto voluto anche da De Viti De Marco, il quale lo sosteneva con forza (nell’ottica dello Stato unitario) insieme alla riforma della magistratura, nel senso della sua indipendenza dalla politica, e strumento di difesa dei cittadini contro i soprusi dei consigli comunali. Il marchese aveva ben capito l’importanza della gestione locale delle proprie risorse, ma aveva anche intuito il pericolo che ciò comportava in termini di facili commistioni tra interessi pubblici e privati. L’essenza della sua lotta contro lo Stato accentratore era che “il governo burocratico è una jattura nazionale, non solo e non tanto per gli stipendi che ingoia e per gli edifici che popola, quanto per gli ostacoli che oppone allo sviluppo della produzione e della ricchezza”. Sono parole ancora attuali nel dibattito odierno.

I nostri padri furono lungimiranti a prevedere e volere il federalismo come strumento di sviluppo dell’economia del nostro territorio, pieno di vitalità, di idee e di iniziative, indispensabili per affrontare le nuove sfide della globalizzazione. Occorre, certamente, carattere, coesione e maggiore coscienza, da parte nostra, nel momento delle scelte elettorali, che dovranno tramutarsi in governi locali responsabili, che siano di impulso all’economia del territorio, dimostrando come le parole in premessa appartengano alla storia del nostro passato. Senza essere troppo idealisti ma realisti, occorre saper concretizzare le parole di uno dei padri del pensiero economico liberale del Salento, Giuseppe Palmieri, quando dice che l’”ottimo governo, qualunque ne sia la forma, è quello in cui i cittadini sono felici, ed ottimi mezzi sono tutti quelli per cui questo fine si ottiene”. “La giustizia sia il termine da cui bisogna partire, ed il bene pubblico e la pubblica felicità il termine a cui si deve giungere”.

Tommaso Manzillo

 
 
 
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