Creato da tommaso.mt il 26/07/2010
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IL POTERE, TRA PAZZIA E PARANOIA

Post n°5 pubblicato il 26 Luglio 2010 da tommaso.mt

Senza andare troppo lontano con l’analisi storica, ma fermando l’attenzione sugli avvenimenti succedutisi nel corso del secolo scorso, si potrebbe affermare che i pazzi, i bruti e i mascalzoni sono stati e sono gli artefici del nostro destino. Così Oriana Fallaci (1929 – 2006) introduce l’intervista con il colonnello Gheddafi raccolta nel suo ultimo libro, “Intervista con il potere”, pubblicato nel mese di novembre 2009 per mano del nipote e suo erede universale Edoardo Perazzi, edizione Rizzoli, pagine 606, lanciandosi in una riflessione appassionata sul potere.

Nel prologo, prima di incontrare il generale Loan, il terrore di Saigon (Vietnam), la stessa scrittrice si domanda cosa succeda realmente agli uomini e alle donne che arrivano in qualche modo al potere, per incattivirli e imbruttirli fino a compiere i crimini più crudeli, come la corruzione, le stragi, per annullare ogni forma di dignità umana, distruggendo, anche se volevano costruire sulla Terra il Giardino dell’Eden. Nella prima parte del libro, dedicata a due interviste, all’Imam (=santo) Khomeini (capitolo primo) e al colonnello libico Gheddafi (capitolo secondo), è tutto un susseguirsi di immagini ed episodi raccapriccianti, alquanto ripugnanti, presentandoci uomini buffi e stravaganti, che per ironia della sorte, o per un gioco magico del destino, sventolando la loro inconscia cretineria e manifestando un incredibile incoerenza nella difesa delle proprie dottrine (basti pensare all’odio islamico verso gli occidentali ritenuti falsi e corrotti, per poi sposare il capitalismo e l’imperialismo della FIAT da parte proprio del leader libico), tengono nelle proprie mani il futuro di migliaia di indifesi, colpiti nelle loro coscienze da ideali oramai superati, tipici di un lontano medioevo. Come la reintroduzione dell’obbligo, per le donne iraniane e non solo, di indossare il chador, dopo essere stato bandito nel 1936 dallo scià Reza Pahlavi come segno di una certa apertura culturale, per nascondere la propria femminilità, rea di distrarre l’uomo dalla gestione delle cose che contano, costretta a portarlo addosso anche l’autrice dopo un improvviso e inevitabile matrimonio con un mullah, ma clamorosamente levatoselo davanti all’Imam Khomeini dopo averla malvagiamente umiliata. Certamente nel linguaggio crudo e sfrontato usato dalla stessa Fallaci, e sul suo modo di “mettere le cose in modo duro” (le avrebbe detto Berlinguer nella seconda parte del libro), quasi ostentando un’invidiabile faccia tosta, ha influito il suo apporto alla Resistenza italiana e la sua partecipazione alla guerra nel Vietnam come inviata speciale, dalla stessa ritenuta “una sanguinosa follia”, per aver vissuto e testimoniato come la dignità dell’uomo vestito da soldato si annulli davanti ai proclami, ai desideri, alle bramosie di successo del potere.

Per tutto il libro, ma soprattutto in questa prima parte che si sta analizzando, aleggia sempre nella mente del lettore un ricorrente interrogativo, ossia se sono i malvagi che detengono il potere o piuttosto è il potere che rende gli uomini malvagi. Cavalcando l’onda del malcontento popolare, con un piccolo esercito di seguaci in uniforme cui si è promessi laute ricompense, con l’intento di liberare la popolazione da una forma di dittatura oppressiva, si compiono dei veri e propri furti di potere come rapinatori notturni, impetrando tra la povera gente il terrore, la paura di essere scoperti e il rimorso della coscienza anche nel compiere, nel proprio segreto, i gesti a noi più comuni, come bere una birra o pettinare una donna. È dall’intervista con un personaggio alquanto particolare, come il leader libico, che l’autrice proclama la sua teoria sul potere.

La Storia, intesa come un minestrone i cui ingredienti sono l’irrazionalità, la violenza e l’inganno, ci ha presentato e ci presenta diversi condottieri dimostratisi in qualche modo dei pazzi. Un esempio su tutti è dato da Hitler che, quasi spinto da un ruolo affidatogli da chissà quale strana e oscura entità misteriosa, costruì un ambizioso progetto, quanto folle e terribile teso a cancellare dalla faccia della terra un intero popolo di ebrei, rei colpevoli solo di appartenere a una razza di categoria inferiore. Se la pazzia è una forma di alterazione mentale che si manifesta con azioni fuori dal normale, fino a causare pericolo o disabilità, il dittatore, il tiranno, conosce benissimo la differenza tra il bene e il male, la distinzione tra il buono e il cattivo, la valenza delle sue idee e dei suoi proclami e non è accettabile che i tribunali internazionali si possano rifiutare di processarlo perché incapace di intendere e di volere. Troppo facile e troppo comodo. Piuttosto, chi detiene il potere sembra essere una persona apparentemente sana e razionale, ma inconsciamente affetta da paranoia (=delirio cronico), che si manifesta sotto forma di una mania di grandezza (lo dimostra l’intervista con lo stesso colonnello Gheddafi), con la pretesa di dominare il mondo perché investiti di un ruolo messianico. Il paranoico è diffidente, affetto da convinzioni persecutorie non rispondenti alla realtà, ha la paura di essere pedinato, spiato, di subire lavaggi del cervello, di essere incompreso, criticato, oltraggiato, tradito, di star per essere avvelenato e persino ammazzato dai suoi stessi amici e seguaci, vivendo circondato da ogni forma e tipo di sistema di sicurezza e protezione. Secondo Freud, tali deliri rappresentano una difesa contro un’omosessualità inconscia, secondo altri il paranoico è oppresso da onanismo, odiando le donne e nello stesso tempo invidiandole, rivelando in tal modo un desiderio nascosto di essere posseduto da altri uomini. Per le persone potenti, possibili bersagli di congiure o persecuzioni e con una nutrita schiera di nemici, come era per Stalin, è impossibile non essere clinicamente paranoici. In ogni pagina del libro la scrittrice fiorentina si prende gioco del potere, ironizzando su tutti i personaggi che incontra, attenta a descrivere nei minimi particolari l’abbigliamento e gli atteggiamenti degli intervistati, gli sguardi e le espressioni del volto, il loro stile di vita, scrutando e scavando fin dentro le loro anime e le loro coscienze, facendo a tratti sorridere il lettore (ricorda da bambina quando vide Hitler che si atteggiava davanti alla folla con l’aspetto di un gentile gelataio, con un baffetto a spazzolino che sembrava un cerotto sotto il naso). Un vero manuale di psicologia politica oltre che di storia italiana e internazionale, che ci aiuta a capire gli attuali equilibri mondiali.

Nella seconda parte del libro, ci presenta i diversi volti del potere, quello politico-internazione, con l’ombra del presidente Kennedy che aleggia sul fratello Robert, negando a fatica il sogno della sua scalata alla Casa Bianca, quello etnico - razziale di James Farmer e la sua lotta per l’integrazione dei negri d’America, quello religioso del Dalai Lama e la credenza buddista sulla sua reincarnazione. Due cruente esperienze ci offre per denunciare quanto costi, in termini di vite umane, ma anche di privazioni e sacrifici la lotta per l’indipendenza della Palestina, dove nemmeno la vita dei bambini conta davanti alla causa della propria patria. Qualsiasi forma assuma il potere, di certo cambia il destino di un uomo, forgiando il suo carattere in qualcosa che non gli assomiglia più, e di solito in peggio. Nelle diverse interviste a esponenti di spicco della politica italiana del secondo dopoguerra, si apre chiaro al lettore la nostra situazione negli anni ’70 e ‘80, quando a detenere in qualche modo il potere vi erano i La Malfa, i Malagodi, i Nenni, i De Gasperi, i Fanfani, i Craxi e altri ancora, smarrendo la bussola dei valori etici, sociali e civili coltivati durante la Resistenza, ci consegnano un Paese calpestato dagli arrivismi e dai particolarismi. Se n’era accorto persino Lech Walesa, leader carismatico di Solidarność, dalla lontana Polonia, commentando i numerosi partiti presenti nell’emiciclo parlamentare italiano, oltre al fatto che i nostri sindacati si fanno pagare per difendere i diritti degli operai.

Non tutto, però, è da rifare. Bisogna saper ripartire. Ma da dove? Definito dalla Fallaci e dagli italiani “uno dei pochissimi politici di cui possiamo andar fieri in Italia”, l’autrice ci presenta, in un’intervista pacata e dai toni molto cordiali, una personalità oggi consegnata e dimenticata dalla Storia, Sandro Pertini. Presidente della Camera dei Deputati in quell’epoca, convinto sostenitore dei suoi ideali, dalla parte degli operai e degli oppressi, difensore della libertà e della giustizia sociale, privo di fanatismi e di dogmi, si autodefinì un cattivo politico perché era pieno di umanità, dovendo, in politica, usare freddezza e cinismo, doti che evidentemente non gli appartenevano. Odiava chi aveva conquistato il denaro, il successo e il potere, perché oppresso da frustazione per il vuoto che aveva creato nella propria vita. Un vero faro nel buio pesto di questo nuovo modo di intendere oggi la politica, una grande lezione di eleganza e di onestà, i suoi valori e i suoi insegnamenti rappresentano una vera terapia d’urto contro una terribile malattia degenerativa che sta deprimendo la situazione italiana: il potere!

Tommaso Manzillo

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