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L’ECONOMIA DELLA PUGLIA

Post n°9 pubblicato il 09 Settembre 2010 da tommaso.mt

Alla ripresa dell’attività lavorativa, dopo la consueta pausa estiva, mi è giunta per posta la relazione della Banca d’Italia “L’economia della Puglia”, di pagine 84 e finita di stampare nel mese di giugno dell’anno corrente. Dopo aver fatto un bilancio a tinte fosche sia sotto l’aspetto economico che sotto quello finanziario, alcuni punti meritano attenzione e opportune analisi.

L’INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) ha svolto nel 2008 un’analisi, a livello nazionale, tesa a valutare la qualità dell’istruzione su un campione di quasi 500mila studenti (di cui circa 40mila residenti in Puglia). Risultato: “Gli studenti pugliesi di terza media conseguono risultati nelle prove di matematica e di italiano peggiori rispetto a quelli delle altre regioni italiane”, ma migliori rispetto alla media del Mezzogiorno. Questa situazione è già stata denunciata proprio su questo quindicinale (“il Galatino”, nr. 21 del 18 dicembre 2009, “Gli scarti allarmanti del Mezzogiorno d’Italia”), allorquando fu messo in luce il fatto sconcertante che persino nella comprensione dei testi, gli studenti meridionali hanno un punteggio di valutazione decisamente sotto la media delle altre regioni italiane. È fu proprio in quella sede che venne ribadito l’importanza di un sistema educativo di qualità, volano per un processo di sviluppo che vuole essere economico, sociale e soprattutto civico. Il discorso assume contorni più precisi se si tiene presente che in Puglia esiste un forte divario tra le scuole che ottengono risultati molto alti e quelle che ottengono risultati decisamente negativi, con  la spesa pro-capite per l’istruzione di poco superiore rispetto alla media delle regioni a statuto ordinario (1.090 euro contro 1.000), mentre il rapporto tra docenti e studenti è lievemente inferiore alla media. Questo è sicuramente un aspetto molto importante, soprattutto per l’anno scolastico appena iniziato, caratterizzato dalla presenza di classi “superaffollate” (per motivi di sicurezza, il decreto del ministero dell’Interno del 26 agosto 1992 prevede in ogni aula un massimo di 25 persone oltre il docente, e ora vi sono classi, a livello nazionale, che raggiungono i 37 alunni), mentre si è registrato un forte calo tra il personale docente, a fronte di un sempre crescente “esercito di precari” che “nessun Governo riuscirà mai ad assumere” (affermazione del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, M. Gelmini). L’istruzione e la sua qualità, e quindi il principio del merito, devono tornare al centro dell’agenda politica per realizzare la tanto auspicata riforma radicale del Paese attraverso nuove figure professionali, con un elevato profilo in termini di preparazione, risultato difficilmente raggiungibile con poco personale docente e aule sempre più affollate: magari sarebbero più efficaci meno “Ponti sullo Stretto” e più investimenti nell’istruzione e nella ricerca universitaria, ne gioveremmo anche in salute!!!

La sanità pugliese presenta costi pro-capite, nel 2009, lievemente inferiori (euro 1.805) rispetto alla media delle regioni a statuto ordinario (1.846 euro), con una variazione poco apprezzabile rispetto al 2008. È però vero che i costi sanitari sono direttamente correlabili alla quota di popolazione anziana, che in Puglia è inferiore alla media nazionale, ma è anche da tenere presente l’incidenza delle malattie croniche gravi, che dipendono, secondo la Banca d’Italia, da una situazione di disagio sociale che si riflette sugli stili di vita dei residenti (preoccupa il dato per l’anno 2005, quando tale fenomeno coinvolgeva il 13,6 percento della popolazione contro 13 percento a livello nazionale).

La spesa farmaceutica ha continuato a crescere anche nel 2009 (229 euro pro-capite contro 214,5 al Sud e 186,7 in Italia), sostenuta prevalentemente da un aumento dei consumi, nel senso che nei primi nove mesi dell’anno scorso vi è stata una crescita delle dosi farmacologiche del 5,2% rispetto allo stesso periodo del 2008, contro un  aumento del 3,3% su livello nazionale (basti pensare che nel 2008 il 47% dei casi di influenza è stato trattato con  antibiotici, il 38% in Italia). Riguardo la spesa ospedaliera, l’Istituto di Via Nazionale sentenzia che, per l’anno 2006, “la maggiore spesa in regione risente del più diffuso utilizzo delle strutture ospedaliere e della maggiore inappropriatezza dei ricoveri”, con una media per casi acuti pari a 215 in ragione d’anno ogni mille abitanti, di molto superiore alla media nazionale (187), registrando, la Puglia, un minor ricorso al Day hospital (53,6 per mille abitanti). Di contro, va chiarito che nel corso del 2007 operavano nella nostra regione 18,4 ospedali per ogni milione di abitanti, con una dimensione, lo avevano già ribadito nel passato, maggiore rispetto alla media nazionale e del Mezzogiorno, e di conseguenza, con una capillarità inferiore. Un’ultima affermazione del rapporto annuale di Palazzo Koch potrebbe innescare accesi dibattiti e opinioni diverse, ma probabilmente non turberebbe la coscienza di chi ricopre incarichi di responsabilità, ossia “malgrado un livello di spesa maggiore, la qualità percepita è peggiore rispetto alla media nazionale”. A pag. 70 del Rapporto si espone una tabella sugli “Indicatori di spesa, attività e gradimento del servizio ospedaliero”, mettendo in evidenza, ad esempio, il peggior numero di addetti per 100 posti letto in strutture pubbliche (225,8 contro 249,3 nel Mezzogiorno e 262,7 in Italia, dati tratti dal Ministero della Salute per l’anno 2007), con un indice di attrazione di 3,4 contro 3,7 nel Mezzogiorno e 7,2 nazionale. Difatti continua, nel 2007, la fuga dagli ospedali pugliesi, con una media di 7,5 contro 7,2 in Italia e 8,1 nel Mezzogiorno, con un saldo migratorio negativo (ossia il saldo tra il numero dei ricoveri di non residenti presso le nostre strutture regionali e quello di pugliesi presso ospedali di altre regioni) del 4,5 per cento. Il grado di soddisfazione per l’assistenza medica e infermieristica è del 20,7 per cento, mentre per il vitto il 13,4 per cento e per i servizi igienici il 15,4 per cento, tutte al di sotto della media nazionale e delle regioni meridionali, eccetto per l’assistenza infermieristica.

Da ricordare che a causa della crescita della spesa sanitaria, la Regione Puglia ha dovuto aumentare l’addizionale regionale all’IRPEF (+0,5% per i redditi superiori a 28mila euro annuali), abolita, però, insieme all’addizionale sull’accise della benzina, dal primo gennaio di quest’anno con la Legge n. 34 del 31 dicembre 2009 (ritorna allo 0,9%); rimane però il forte incremento dell’aliquota IRAP (4,82%, contro il 3,9% a livello nazionale), che grava sulle imprese, tributo sul quale pesa enormemente il costo sostenuto dalle stesse per il personale dipendente e assimilato, indeducibile dalla base imponibile dell’imposta, oltre agli interessi passivi (pensiamo a quelle realtà economiche che hanno dovuto, o avevano intenzione di contrarre dei debiti verso istituti di credito per nuovi investimenti o per far fronte a ristrutturazioni aziendali), proprio in un anno di difficoltà economiche e finanziarie, la maggiore imposizione IRAP diventa veramente insostenibile.

Sul fronte degli investimenti, la regione Puglia, per il periodo 2007-2013, ha un ammontare di risorse a disposizione pari a 5,2 miliardi di euro, da spendere per il Piano Operativo regionale, e di questi sono stati impegnati, alla fine del 2009, il 40,3% e spesi solo il 6%. Nel Quadro Strategico Nazionale, al fine di promuovere un certo miglioramento nella qualità dei servizi, misurato attraverso quattordici indicatori, è previsto un sistema di Obiettivi di servizio, che sono principalmente quattro: l’istruzione; i servizi di prima infanzia e socio-sanitari destinati agli anziani;  la gestione dei rifiuti; il servizio idrico. Per la Puglia il sistema degli obiettivi di servizio ha previsto risorse premiali pari a 532 milioni di euro, di questi sono stati assegni 90 milioni, ossia il 17%, per il miglioramento attuato nei servizi di gestione dei rifiuti, e in parte per il servizio idrico e per i servizi all’infanzia e socio-sanitari agli anziani.

Emerge sicuramente un preoccupante quadro di difficoltà per la nostra regione, come nel resto d’Italia, ma la situazione nei primi sei mesi di quest’anno sembra essersi stabilizzata, sia per le imprese di medie dimensioni e a basso rischio di mercato, sia per le famiglie, nonostante il perdurare della crisi per alcuni settori (edilizia residenziale, mobili, abbigliamento e moda). Si attendono novità dal percorso parlamentare sul federalismo fiscale, che avrà sicuramente ripercussioni sull’economia della Puglia e del Mezzogiorno in genere, soprattutto alla luce degli ultimi indicatori che mostrano come il divario nord-sud del Paese abbia ripreso a crescere. Il discorso cade subito sull’unità d’Italia, per la quale siamo prossimi a tagliare il traguardo dei 150 anni, un’unità incompiuta e per questo insultata dai tanti interventi ed opinioni che si registrano in questi mesi. Non si può non condividere il duro giudizio di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, quando accusa la “miserabile pochezza delle classi dirigenti politiche meridionali, specie locali, protagoniste di malgoverno e di sperperi inauditi, ma che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori”, per la mancata soluzione alla questione meridionale, tema che ha unito sugli scranni parlamentari alcuni nostri conterranei, tra i quali vanno ricordati l’ingegnere galatinese Antonio Vallone (1858 – 1925) e il marchese e professore universitario di Casamassella, Antonio de Viti de Marco (1858 – 1943). Furono proprio loro ad accusare i vari governi nazionali succedutisi all’indomani dell’Unità (soprattutto quelli giolittiani), rei di far tacere l’arretratezza del sud con qualche infrastruttura e qualche privilegio particolare (come il dazio sul grano), sacrificando lo sviluppo economico del Mezzogiorno a vantaggio del nord industriale (Mezzogiorno e democrazia liberale. Antologia degli scritti di Antonio de Viti de Marco, a cura di Anna Lucia Denitto, anno 2008, pagine 456, casa editrice Palomar). Quanto sono attuali questi dibattiti vecchi quasi un secolo!!! Piuttosto che guardare con invidia alla crescita elettorale della Lega Nord, organizzando tardivamente movimenti “sudisti” in difesa di chissà quali istanze, forse i nostri parlamentari, oltre che pensare alla Regione Salento, dovrebbero seguire le orme liberali di Antonio de Viti de Marco e degli altri, contribuendo ad un maggior e più efficace federalismo fiscale con un strutturale abbattimento delle spese improduttive, nella logica della responsabilizzazione delle istituzioni locali nella gestione delle rispettive risorse, riservando allo Stato compiti di interesse generale, nella visione smithiana, secondo quei principi cardine che fondarono l’Italia Unita e dai quali, oggi, dovremmo ripartire.

Tommaso Manzillo

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