Creato da TamaraRufo il 03/07/2007
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Questo vaso che trabocca

Post n°29 pubblicato il 27 Agosto 2007 da TamaraRufo
 

Lo percepisco subito, lo sguardo lo pretende fino a supplicare, ci ricade sopra. Inevitabilmente.

E fa male.

Sì, fa male, vedere quanto la rabbia possa lasciare il segno. Ma forse dovrei noia, è la noia che colpisce con uno scatto di schizofrenia latente ondeggiando perennemente al bordo.

Se il vaso ogni tanto trabocca e non c’è nessun assenso che possa riuscire ad arrestarti, la responsabilità è dovuta alla sconfitta.

Alla sconfitta di una vita, partita che si finisce inesorabilmente con il perdere.

Soprattutto, quando alzi il braccio e colpisci. Mi colpisci.

Urlando spergiuri da ingoiarti anni di storia. Come se non vedessi più nulla, mentre a me scorrono davanti, quegli stessi anni pongono una domanda sola: perché?

Perché mi colpisci come a voler distruggere il riflesso di te. Perché ti odi a tal punto che non vedi più niente, solo l’ombra dell’orrore che crei.

Il negativo di una fotografia riuscita male.

L’irriconoscibile sofferenza di una follia che impera.

Solo una volta piegata nell’anima a lambire la terra, allora me ne accorgo, finalmente ti fermi.

I silenzi a seguire i suoni gutturali delle violente proteste.

Le mani inferme, gli sguardi laterali a cercare i punti rotti, le fratture invisibili. I motivi.

Introvabili.

Perché non ce ne sono mai di sufficienti, di motivi, non agli occhi. E ciò che resta è l’inganno fin troppo vissuto di ciò che è stanco.

Ma l’inganno nemmeno si lascia scorgere, brama disperatamente di dimenticare, anche se mai ci riesce una volta.

Quindi finiscila, smettila di sorprenderti se poi mi vedi livida, in punti imprecisati del corpo si palesa perfettamente il ricordo che neghi e invece esiste.

Non sono stato io, dici

Non sei stato tu, confermo.

No.

È l’orrore che ti possiede, è la rabbia che ci scava la fossa, è il limbo dove si incontra la follia il punto preciso in cui ci rimuove la visuale e la realtà si trasforma. Laddove c’era l’amore ora compare un ematoma.

Sì l’amore, perché non c’era che questo, all’inizio, prima che la paura prendesse il sopravvento alla coscienza.

Adesso mi accorgo di quanto sia facile, così affogante, trasformare i sogni in mostruosità dilanianti.

Sei tu a sbranarmi.

Sono io a darmi la morte.

E continuo a lasciarti fare.

 

(Il dipinto è "Giuditta e Oloferne" di Artemisia Gentileschi - a ribaltare il vaso).

 

 
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Non riesco a liberarmi di te

Post n°28 pubblicato il 27 Agosto 2007 da TamaraRufo
 

Non riesco a liberarmi di te.

Come se mi avessi posseduta nel corpo e nella mente, il tuo nome è una ferita che non si rimargina. La mia bocca resta aperta, lo pronuncia.

“Fede”.

Sì, fede! Perché qui dentro me stessa non riconosco altro che questo. Una fede impossibilitata a dimostrare, un buco nero nell’anima che si riempie di te e mi crepa il cuore. Tra l’oscurità e la luce, mi accorgo, il tuo nome torna a distinguersi.

“Fede”, ho paura a sentirmi così aperta, legata ad una passione che non posso smorzare perché è fatta di nulla. Solo di fede, di un desiderio che mi confonde con la speranza che non sarà mai troppo tardi. Una promessa di librarmi in volo, di cambiarmi, di legarmi di nuovo. Ma la fede non è che una corda legata a un pensiero, ruvido, sfinito, come le mie lacrime quando distinguo nient’altro che un precipizio. Il vuoto ovattato di una pienezza illusoria al ritmo martellante del senso di colpa.

Tuttavia mi ripeto che potrebbe valerne la pena, in fondo vorrei che osassi di più, senza curarti di disinfettare il dolore che porti, vorrei che mi incidessi nel petto ancora una volta.

Il tuo nome.

“Fede”.

Che poi, dopo, così finalmente persa del tutto, perlomeno mi stupisse il ricordo fino a rischiare di dare di matto. Avvinghiata a un passato come fosse di carne e non solo parole e carezze per fecondare le viscere.

Altrimenti la vita si appiattirà come una superficie liscia e il mondo comune, con cui sempre meno ho a che fare, mi opprimerà per la sua estraneità e per la sua sofferenza irrazionale.

 
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Le Amazzoni

Post n°27 pubblicato il 22 Agosto 2007 da TamaraRufo
 

DEENA METZGER - Non ho più paura

Non ho più paura degli specchi nei quali vedo il segno dell’Amazzone,

che scaglia frecce.

Vi è una sottile linea rossa che attraversa il mio torace, lì dove

era entrato un coltello, adesso

un ramo circonda la cicatrice e si porta dal braccio al cuore.

Un ramo coperto di verdi foglie dove appesa è l’uva e vi appare

un uccello.

Sento che quello che cresce in me adesso è vitale e non mi

nuoce. Penso che l’uccello stia cantando,

poco m’importa di alcune mie ferite.

Ho disegnato il mio seno con la cura riservata ad un mosaico

miniato.

Non mi vergogno di fare l’amore. L’amore è una battaglia

che posso vincere.

Ho il corpo di un guerriero che non uccide né ferisce.

Sul libro del mio corpo per sempre ho inciso un albero.

MYRA SCHNEIDER – Amazzone (per Grevel)

Per quattro mesi

tutte quelle donne di Matisse e Picasso

panneggiate sullo sfondo

di piante, balconi, Mediterraneo e cielo

mi hanno tormentato

con quei meravigliosi globi di seni mentre

riempivo il mio vuoto

di pagine di scarabocchi, di fertile maggio, di maree

di verde, insopprimibile

bianco di pizzo nuziale, oro di ranuncolo,

ma senza coprire

l’immagine di me stessa come pagliaccio malforme

finché non mi hai ricordato

che nei miti greci le donne più venerate

erano le amazzoni con un seno solo,

padrone del giavellotto e dell’arco, portatrici

di cavalli in battaglia,

dalle regine famose per la femminilità.

Riconoscendo i campi su cui avevo combattuto

ho sollevato il mio scudo

di parole lucenti, vedendo che echeggiava il sole.

Ecco come scrivere può dare significato e forma alla vita, a noi stessi e alla nostra creatività, mentre invece il silenzio ci blocca nella sofferenza. Un approccio alla scrittura di cui non bisogna aver paura, le parole ci mettono al di sopra della vita stessa, ove possiamo ricrearla e ricrearla. Il giudizio non è da temere, la possibilità di sbagliare, di dover cambiare non devo no fare paura, si deve dire ciò che si vuole. Magari la verità, magari una menzogna.

Le AMAZZONI tra leggenda e storia si racconta che: “Quando Aella giudicò giunto il momento, con movimento fulmineo, portato il braccio destro all'indietro, lo distese per scagliare la lancia contro l'uomo che le stava di fronte.  Eracle si piegò sulle gambe, la lancia cadde rumorosamente alle sue spalle; quindi con un balzo si lanciò contro la donna e con la spada le vibrò un colpo secco alla testa. I suoi uomini esultarono per il trionfo. Dalle file amazzoni si fecero avanti molte altre donne, tutte note per il loro valore. Eracle le sconfisse ad una ad una. Fu infine il turno di Melanippa, la comandante delle guerriere amazzoni. Indossava un pettorale scintillante, un elmetto e lo schiniere; ma queste protezioni furono inutili contro la furia devastante dell'eroe greco. Anch'ella fu battuta e l'esercito invasore si lanciò all'attacco delle Amazzoni sconfiggendole. Vinta la cintura di Ippolita, Eracle poté far ritorno a Micene. Le Amazzoni, orgogliose per aver vinto tanti popoli in passato, erano furibonde e meditavano la vendetta. Partirono così alla volta della terra degli Sciti, sulla costa Nord del Mar Nero, dove si unirono ad essi nell'invasione della Grecia. L'esercito alleato giunse in Attica, si accampò fuori delle mura di Atene e dichiarò guerra a Teseo, uno dei capi greci che avevano seguito Eracle nella sua spedizione contro le Amazzoni. Per evitare che dal Peloponneso giungessero rinforzi agli Ateniesi, Orizia, capo delle Amazzoni, inviò lì un contingente di guerrieri. Esercito di cavallerizze, le Amazzoni da cavallo tiravano con l'arco, mentre negli scontri ravvicinati usavano la lancia, spada e ascia.
Indossavano pantaloni attillati e adornavano la testa dei cavalli con corni d'oro e di bronzo. Le due armate si contesero il campo in un duro combattimento: le asce delle Amazzoni vibrarono sugli scudi greci, spade e lance si abbatterono su entrambi gli eserciti.
Qui, al fianco di Teseo combatteva Antiope, una guerriera amazzone che questi aveva rapito per fame sua moglie e che adesso combatteva contro il suo stesso popolo. Nel violento corpo a corpo, Antiope fu colpita a morte da una lancia amazzone. Teseo diede allora più vigore all'attacco ateniese, tanto che le Amazzoni batterono in ritirata verso il proprio campo”. Per secoli l'evento rimase famoso, come testimoniano i dipinti delle centinaia di vasi giunti intatti fino a noi. Ma che tipo di vittoria fu questa? Fu un trionfo su un nemico reale o immaginario? Per alcuni la guerra tra Amazzoni e Greci simboleggia la lotta per la supremazia tra gli uomini e le donne. Lotta che probabilmente segnò il declino della società matriarcale e il trionfo di quella stanziale e patriarcale. Sarebbe però un grave errore liquidare la storia delle Amazzoni, considerandola un mito senza alcun riscontro storico; infatti, molte prove confermano che esse furono davvero le donne guerriero del mondo antico. La prima testimonianza letteraria sulle Amazzoni compare nell'Iliade di Omero. A questo accenno si collegò poco più tardi Esiodo, il quale racconta di Eracle che affronta le Amazzoni mentre è in viaggio alla ricerca del cavallo più pregiato d'Asia. Indubbiamente la materia fantastica di questi racconti, fatta di lotte tra eroi e mostri, era stata ideata per piacere a un pubblico aristocratico, al maschio cavaliere greco.
Questo accenno sarà poi reso più preciso da Ippocrate, il quale identifica le donne guerriere con le Sarmate che vivevano a Nord del Mar Nero, sulle coste del Mar d'Azov. “Le Sarmate restano vergini fino a quando non hanno ucciso tre nemici e solo allora, assolti i tradizionali riti sacrificali, possono sposarsi. Una donna che prende marito non può più cavalcare, a meno che non ce ne sia bisogno in periodo di guerra.
Non hanno il seno destro, perché da piccole le loro madri vi applicano sopra uno strumento rovente di bronzo; in tal modo ne arrestano la crescita e ne spostano tutta la forza e la robustezza nella spalla e nel braccio destri.
Ed è da questa usanza che si suppone derivi il loro nome: amazos, in greco, significa infatti "senza un seno". Più tardi altri storici riprenderanno questo particolare e spiegheranno che la rimozione del seno destro serviva per agevolare il tiro con l'arco.
Ovviamente l'agilità fisica non riceve nessun vantaggio dalla mancanza di un seno, ragion per cui l'unica spiegazione possibile, se tutto ciò fosse vero, è da ricercarsi in una forma di mutilazione rituale”.
 Un'ipotesi più plausibile invece fa derivare il "termine amazzone" da una parola armena che significa "donna della luna" e che si riferisce a delle sacerdotesse asiatiche che abitavano a Sud del Caucaso e veneravano una dea Luna. Nei secoli successivi, gli storici tentarono poi di identificare le Amazzoni direttamente con gli Sciti. Nel I secolo a.C. Diodoro Siculo spiegò che agli albori della storia scita vi fu un periodo di rivoluzioni "in cui i sovrani erano delle donne dotate di un valore eccezionale": tiranniche guerriere che dominavano gli uomini che le circondavano. Diodoro ne dà una descrizione classica. "Agli uomini, la regina delle Amazzoni assegnava la cardatura della lana ed altri compiti domestici, propri delle donne. La legge stabiliva che fosse lei a guidare le donne in guerra e che gli uomini fossero confinati in schiavitù. Per quanto riguarda i bambini, a quelli maschi mutilavano gambe e braccia affinché non potessero più combattere". In seguito questi racconti appassionarono altri storici che continuarono a raffigurare le Amazzoni come delle tiranne che odiavano gli uomini; un insegnamento per gli uomini, questo, di quanto fosse folle concedere dei poteri alle donne. Ma indubbiamente queste storie servivano soprattutto ad assecondare i pregiudizi maschili nel periodo imperiale di Roma. E' chiaro che tra gli scrittori greci del V secolo a.C. e quelli greco-romani del I secolo d.C. corre un periodo in cui si sono avuti dei cambiamenti nelle abitudini maschili. Per i primi storici le Amazzoni esistevano realmente, vivevano lungo la costa Nord-Est del Mar Nero e praticavano una singolare forma di parità tra i sessi. Per quelli successivi, invece, le Amazzoni erano un popolo mitico le cui vicende servivano solo per intrattenere ed educare gli uomini. Tra il 1950 e il 1960 gli archeologi sovietici fecero una serie di importanti ritrovamenti. A Est di Odessa, fu rinvenuto lo scheletro di una giovane donna. Accanto, i segni della sua appartenenza alla classe aristocratica: uno specchio di bronzo, una collana di perle di vetro, dell'argento, braccialetti di bronzo o vetro e un'anfora greca proveniente dall'altra parte del Mar Nero. Ma oltre a questi oggetti di lusso, furono rinvenute, accanto al suo teschio, due punte di lancia e, al suo fianco, una faretra con venti frecce e una corazza di ferro lamellato. Era una vera Amazzone, una guerriera sarmata vissuta tra il IV e il III secolo a.C. La scoperta non rimase isolata. All'interno di una tomba a tumulo, riportata alla luce a Kut, nelle steppe a Ovest del Dniepr, fu rinvenuto uno scheletro di una donna risalente allo stesso periodo, con accanto uno specchio e degli orecchini di bronzo, una collana di perle di vetro, una spada di ferro e i resti di una faretra con trentasei frecce. A Zemo-Avchala vicino a Tbilisi, in Georgia, sulle colline a Nord del Caucaso, alcuni agricoltori sovietici rinvennero casualmente la tomba di una donna inumata nella posizione rannicchiata e con accanto uno specchio di bronzo, due punte di lancia e lo scheletro di un suo servitore. I ritrovamenti di questo tipo sono stati numerosi, tutti risalenti al IV secolo a.C. e tutti classificabili come appartenenti alla civiltà sarmata. Le scoperte del XX secolo provano, dunque, che i resoconti letterari di 2500 anni fa erano veri. I nomi classici ricollegabili a questa cultura: Melanippa (cavalla nera); Ippolita (cavallo scalpitante); Alcippa (cavallo forte). Tutte le testimonianze letterarie provano che in questa società della steppa la donna godeva di un potere e di una parità sessuale sconosciuti alle culture dei popoli vicini. La spiegazione di questo insolito ruolo attivo delle donne nella società sarmata potrebbe essere legata ad una loro influenza in quanto sacerdotesse. A Sud degli Urali e nel Kazakistan, in tombe di donne sarmate, sono state ritrovate infatti delle tavole basse di pietra, presumibilmente altari. Di certo, dalla fine del VI secolo a.C., sui vasi greci le Amazzoni non sono più ritratte con armature greche, ma come gli Sciti portano i pantaloni, cavalcano e tirano con l'arco; e anche questo ben si accorda con i numerosi riferimenti storici dei Greci sulle Amazzoni sarmate che combattevano a fianco degli Sciti. Una delle più gravi minacce al potere scita si verificò nel VI secolo a.C., quando i Persiani, guidati da Dario il Grande, invasero il loro regno. Ed è questo il primo esempio di una campagna militare storicamente accertata in cui si afferma che le Amazzoni ebbero un ruolo decisivo. Erodoto narra che nel VI secolo a.C., Tomiri, regina dei Massageti, nell'Asia centrale, sconfitta l'armata persiana di Ciro, mozzò di propria mano la testa dell'Imperatore. Proprio il periodo storico a cui si fanno risalire le tombe delle donne guerriere scoperte in Ucraina. Successivamente, informazioni più precise sulle Amazzoni ci giungono attraverso i vari resoconti storici su Alessandro il Macedone e la sua campagna di conquista dell'Impero persiano. Diodoro Siculo, Plutarco e Pompeo Trogo fanno tutti e tre riferimento a un episodio accaduto durante questa campagna, nel 330 a.C., quando, colpito da dissenteria, Alessandro dovette interrompere l'inseguimento di una popolazione nomade e fermarsi a Sud del mar Caspio, in Partia. Durante questa sua sosta forzata vennero a rendergli omaggio numerosi ambasciatori. Tra questi, venne Thalestris, regina delle Amazzoni, la quale giunse al campo con trecento guerriere tutte in completa armatura. Alessandro restò colpito dallo splendore di quella scorta e, chiesto a Thalestris cosa volesse, questa rispose che desiderava avere un figlio da lui. Ella sostenne che, avendo lui dimostrato con la sua conquista dei mondo di essere il più grande di tutti gli uomini, ed essendo lei superiore alle altre donne in forza e coraggio, i loro figli avrebbero di certo superato tutti gli altri mortali. Un elemento comune a tutte queste versioni storiche dell'incontro è la sua collocazione in un punto, non preciso, a Sud del Mar Caspio e, anche alla luce dei reperti archeologici, questo sembra essere il luogo più probabile per un incontro tra le Amazzoni e Alessandro; il che rende più verosimile l'avvenimento. Tombe di Amazzoni sarmate sono state scoperte infatti anche più a Sud, in Georgia, nel Caucaso. In ogni caso per gli antichi questa con Alessandro Magno fu l'ultima apparizione di una regina amazzone. Secondo Pompeo Trogo, con la morte di Thalestris avvenuta poco dopo il suo ritorno in patria, il nome Amazzoni scomparve dalla storia. Diodoro sostiene invece che le Amazzoni non si ripresero mai dalle sconfitte subite contro i Greci di Eracle e Teseo. Ultima Amazzone a conquistarsi la fama di donna intrepida fu Penthesilea, che combatté a fianco dei Troiani contro Achille. In seguito la razza andò estinguendosi fino a perdere del tutto il potere - dice Diodoro - cosicché, successivamente, ogni qual volta gli scrittori ne raccontano il valore, gli uomini considerano queste storie antiche come delle favole. Sebbene dal IV secolo a.C. non si parli più di eroine amazzoni, occasionalmente si sentirono ancora storie su incontri con donne guerriere nella regione del mar Nero. Appiano, che scrisse nel II secolo d.C., descrisse un'importantissima campagna del generale romano Pompeo. Egli narra che quando le genti del Caucaso tesero un'imboscata a Pompeo nei pressi del Cyrtus, un fiume che sfocia nel mar Caspio, il condottiero romano riuscì a stanare e vincere questi abili lottatori della foresta, prima circordando con le sue truppe i loro rifugi e poi dando fuoco alla vegetazione, e che fra i tanti prigionieri furono scoperte donne che avevano subito ferite pari a quelle degli uomini, tanto che le si ritenne Amazzoni. Lo stesso episodio compare in Plutarco. Indubbiamente questa è l'unica regione in cui potevano continuare ad esistere le tribù sarmate. Dal punto di vista archeologico è certo che Alani e Unni erano diretti discendenti della stirpe sarmata e in quanto tali possono avere continuato ad osservare certi costumi antichi. Da quanto tempo le Amazzoni dominassero le steppe, prima che facessero la loro apparizione nella storia greca del secondo millennio a.C., non è verificabile; certo è che il loro dominio durò fino al II secolo a.C.. A che fu dovuto questo declino? Un'ipotesi plausibile è l'assimilazione. E' probabile che i Sarmati, nomadi delle steppe, furono così colpiti dalla maggiore civiltà di queste genti del mar Nero che, fenomeno comune a molti barbari, iniziarono a imitarne i costumi, fin tanto da bandire dalla loro storia le antiche tradizioni delle donne guerriere, ritenute ormai un segno di arretratezza e barbarie.

Tralasciando la mitologia e passando alla storia, troviamo un corpo militare delle Amazzoni veramente esistito. Il re Houégbadja  aveva già organizzato un distaccamento di “cacciatrici di elefanti” facente funzione anche di guardia del corpo. Il figlio del re Agadia, ne fece delle vere e proprie guerriere. E. Chaudoin nel 1891 le descrisse nel modo seguente: ”Vecchie o giovani, brutte o belle, sono meravigliose da contemplare. Solidamente muscolose come i guerrieri neri, la loro attitudine è disciplinata e corretta allo stesso tempo, allineate come alla corda”. Alcune donne si arruolavano volontariamente, altre, insofferenti della vita matrimoniale e di cui mariti si lamentavano col re, erano arruolate d'ufficio. Il servizio militare le disciplinava e quella forza di carattere che mostravano nella vita matrimoniale e poteva così esprimersi nell'azione militare. Sul campo di battaglia, le Amazzoni proteggevano il re e prendevano parte attivamente ai combattimenti, sacrificando la loro stessa vita, non potevano sposarsi e avere figli, finché rimanevano nell’esercito. Forgiate per la guerra per principio a questa dovevano consacrare lo loro vita. "Noi siano degli uomini, non delle donne. Chi ritorna dalla guerra senza aver conquistato deve morire. Qualora ci ritirassimo in battaglia, la nostra vita sarebbe alla mercé del re. Quale che sia la città da attaccare, noi dobbiamo conquistarla o sotterrarci nelle sue rovine. Guézo è il re dei re. Finché sarà in vita noi non temeremo nulla. Guézo ci ha donato nuova vita. Noi siamo le sue donne, le sue figlie, i suoi guerrieri. La guerra è il nostro passatempo, essa ci veste, essa ci nutre". Spesso ubriache di gin, abituate alle sofferenze e pronte ad uccidere senza preoccuparsi della propria vita, combattevano valorosamente e precedevano sempre le truppe incitandole al combattimento. Nel 1894, all'inizio della guerra fra le truppe del generale Dodds e quelle del regno di Abomey, l'armata contava circa 4000 amazzoni, suddivise in tre brigate. "Esse sono armate di daga a doppio taglio e di carabine Winchester. Queste amazzoni operano prodigi di valore; vengono a farsi uccidere a trenta metri dai nostri schieramenti..." (Capitano Jouvelet, 1894). Il corpo delle amazzoni fu dissolto dopo la sconfitta del regno d'Abomey, dal successore di Gbêhanzin, Agoli Agbo.

 
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Crisalide 

Post n°26 pubblicato il 17 Agosto 2007 da TamaraRufo
 

Perfettamente verticale, a terra. Mi sento così, strappata alle mie origini, separata dalla donna che ero per diventare ciò che sono.

Ci rifletto e non appena immagino, compare un’istantanea di me che muta essenza perché proprio no, proprio non mi riesce di darmi forma. In alcun modo.

Barcollo in una personalità crisalide che dovrei conoscere ormai mi dico. Dovrei saperlo ormai chi sono.

Chi sono?

Una donna scontenta, una donna insicura.

Percepibile tra contraddizioni che ingannano, seduzioni senza fretta e meticolosi innamoramenti fuori norma.

Insomma mi arresto per ogni dove e rimango presa, arpionata dall’indecisione, lì dove tiro, tiro fino a lacerarmi il fiato.

Sì, il fiato! Altrimenti perché le parole sarebbero il mio letto, il vagito che mi sveglia rinata a nuovo, il trillo acuto del momento in cui riesco a zittirmi e trovo e ritrovo che c’è altro, c’è altro oltre questo procedere senza senso.

E non solamente il dolore che ha sostituito la rabbia, il dolore che mi porta lontano – come un dono – il dolore che mi trascina dentro me stessa.

C’è anche l’armonia beante e larga, così sporgente e spigolosa.

Giuro!

C’è l’armonia vulnerabile come la più lieve corolla rossa.

Un’armonia rintracciabile, a detta di alcuni, tra i più noti modelli psichici; un’armonia-euforia che a volerla descrivere mi sorprende ogni volta uguale per l’intoccabilità della sua natura.

Più volte l’ho percepita, più volte l’ho persa e ritrovata, questa natura combatte se stessa, fondamentalmente non si accetta. Si concede e concede per un abbraccio estraneo e senza pretesa, il solo – lei* crede – capace di restituirla a ciò che era.

Sottosotto quindi, scrivere mi porta a questo: rintracciare la sublimità dell’attimo prima che si contraddica.

*   Ed è così che accade, dalla prima persona il racconto passa in terza: mi perdo ancora…

 

 (Le sculture sono creazioni di Antonio Di Rosa).

 
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Audrey Chihiro Kawasaki

Post n°25 pubblicato il 16 Agosto 2007 da TamaraRufo
 

Questa giovanissima artista giapponese incanta per il suo stile naif. Audrey proviene dal mondo dei manga e dell’Art Nouveau, dipinge su pannelli di legno usando esclusivamente colori ad olio. Le sue opere coinvolgono per la semplicità e per l’accuratezza: una sensualità espressa che non perde la sua innocenza ma anzi se ne esalta. Le ragazze di Audrey mantengono un’aura di mistero e di contraddizione, la medesima che nell’immaginario collettivo tante volte ha rappresentato l’universo femminile.

L’erotismo di Audrey è dolce, seduttivo, ma velato di tristezza. Appare sotto forma di desiderio inespresso completamente messo in mostra, inevitabilmente. L’artista torna e ritorna a definire le linee del volto, le espressioni marcate, lo sguardo dettagliatissimo, la bocca particolareggiata – è il primo piano il nodo emotivo su cui si concentra.

Tra i suoi dipinti prevalgono i ritratti e l’accento vivo è sempre sui lineamenti, tanto da svelare la profondità dell’influenza proveniente dai manga. È infatti Audrey che racconta: - “inizialmente volevo diventare un’artista manga”.

I contorni sono definiti come a voler contenere la bellezza rappresentata. Il risultato è una bellezza eterea, lontana, eppure in qualche modo raggiungibile, possibile, anche all’osservatore. Se la lontananza richiama un’ideale erotico che rimane immaginario, un modello che non è ragionato bensì visceralmente dalla pittura riversato fuori; se nella lontananza il dipinto assume toni più cupi e malinconici, nel momento in cui sembra invece plausibile toccare la sensualità svelata dalle linee allora il colore si attenua, si addolciscono le forme. La sinuosità del tratto vince la sensazione altera e distaccata di altri momenti, di altre opere.

Il volume delle figure appena accennato, l’uso dei colori caldo e dai toni del tramonto – rubati al legno, si direbbe – arricchiscono la volubilità sfuggente degli occhi raffigurati, ne approfondiscono le ombre, anticamera del subconscio.

Difatti proprio dietro gli occhi ci sono i pensieri, le fantasie, l’inconfessabile che nemmeno Audrey stessa saprebbe dire proprio perché estremamente immerso nel suo animo. Il mondo viscerale che dipinge.

Un mondo che appare fantastico ma che è lo specchio di un’introiezione, del perdersi fra i labirinti del pensiero e dell’anima alla ricerca di ciò che è sfuggente. Un mondo restio a mostrarsi come lo sguardo delle donne rappresentate, contrapponendo vulnerabilità e seduzione.

È Audrey stessa infatti che si descrive come una ragazza timida e chiusa, contrastando l’idea della donna che emerge dalla sue opere. Dipingere per lei è dare espressione a qualcosa che non sa prevedere, “mi viene da dentro, è inconscio” spiega. “L’uomo è veramente se stesso quando può indossare una maschera, in questi casi allora quando si esprime usa la prima persona”.

Freud d’altra parte ha allargato il confine della coscienza umana, spiegando i tumulti della ragione attraverso il modo in cui la storia viene filtrata e diviene conoscenza per mezzo del subconscio di ognuno.

Audrey Chihiro Kawasaki ne è un esempio: le motivazioni interiori che spingono l’artista a volersi esprimere vengono poste in risalto. Motivazioni che affondano negli archetipi alla base delle radici emotive, assolutamente trasversali in quanto tali alle tendenze e a qualsivoglia corrente artistica predefinita.

Certo le influenze subite si ritrovano nell’ispirazione e quindi nell’arte realizzata ma la trascendono, vanno al di là dell’arte stessa ed hanno il maggiore fondamento negli enigmi imprevedibili dell’animo.

La creatività di Audrey è un viaggio interiore che forza quanto è immediatamente reale per andare più in profondità. Per questo l’artista dichiara di non dipingere nessuna ragazza in particolare né lei stessa, anche se poi conferma che sono proprio le donne ad essere maggiormente attratte dalle sue opere: “le donne che vengono da me vivono una sorta di identificazione con le ragazze dipinte”.

La scelta di usare solamente pannelli di legno e colori ad olio rispecchia dunque le esigenze del suo viaggio emozionale, Audrey perfeziona linee e tratto, cominciando dalla scelta della migliore grana del legno e del suo colore caldo.

Afferma: “le classiche tele per me sono troppo bianche e piane”.

 
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