IS THE END OF THE WORLD AS WE kNOW IT...
. . .AND I FEEL FINE
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Post N° 143Gerusalemme. “Posso apparire come la più improbabile delle sostenitrici della riconciliazione, dell’accettazione tra arabi e israliani con un sito chiamato ‘Arabi per Israele’”, sorride Nonie Darwish. Egiziana, autrice di un libro di cui si è discusso parecchio – la traduzione del titolo suona più o meno così: “Ora mi chiamano infedele. Perché ho rinunciato al jihad per l’America, Israele e la guerra al terrore” – e figlia del generale Mustafa Hafez, che fu inviato da Gamal Nasser come comandante della “resistenza armata” contro Israele tra il 1951 e il 1956, Darwish sembra ancora più “strana” se si pensa che proprio suo padre è stato ucciso dal primo raid mirato delle forze israeliane contro i Fedayeen nel luglio del 1956. Eppure, oggi è trattata come un’infedele. “Ci sono voluti anni per evolvermi rispetto all’educazione che ho avuto da piccola – racconta al Foglio – Come ogni bambina araba ho imparato a scuola come si diventa martiri nella guerra santa contro Israele e ogni giorno recitavo poesie jihadiste”. L’odio era facile, il terrorismo accettabile. “Ho accusato Israele per la morte di mio padre per anni – prosegue Darwish – Poi alla fine ho capito che Israele non era il principale colpevole, bensì la propaganda dell’odio insita in parte della cultura islamica”. Per questo è andata a vivere negli Stati Uniti: per scappare al clima di assedio in cui si sentiva braccata. Pensava di averla scampata, ma poi c’è stato l’11 settembre e ha capito che “non era un problema della mia cultura, ma anche della mia nuova casa: l’America”. Così Darwish ha deciso di non tacere più. Frequenta molti dissidenti arabi negli Stati Uniti, riconosce che molte, in realtà, sono donne, “perché gli uomini sono orgogliosi, e non riescono a dire facilmente che la loro cultura ha qualcosa di sbagliato – spiega – Le donne poi sono le principali vittime della sharia e quindi sono le prime, se possono, a denunciare le discriminazioni”. Ricorda anche le contraddizioni. Dodici anni fa suo fratello ebbe un infarto mentre si trovava a Gaza: sembrava non potesse farcela. Intorno molti chiedevano: “Dove lo portiamo al Cairo o a Gerusalemme?”. E tutti ripondevano: “Se volete salvarlo, portatelo all’ospedale Hadassah a Gerusalemme”. E Darwish che si indignava, “ma perché gli arabi scelgono di farsi curare negli ospedali di persone che disprezzano, che chiamano scimmie, maiali e nemici di Dio?”. |
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