"Tutto ciò che è profondo ama la maschera"
(F.W.Nietzsche)
Chi lo sa, se un giorno Chi lo sa se un giorno Una maschera creata col tempo e con cura, con gli occhi diversi dai nostri, Si conoscono davvero le persone intorno? E chi si mostra cosi, senza maschere, ci appare troppo diverso,
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Post n°23 pubblicato il 13 Luglio 2012 da MaskAngel
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Post n°22 pubblicato il 10 Luglio 2012 da MaskAngel
Colombina è di sicuro la più famosa fra le servette (o fantesche) e forse anche una delle maschere della Commedia dell'Arte più antiche. Già dal 1530 abbiamo notizia di un personaggio con questo nome nella "Compagnia degli Intronati", una delle più importanti fra quelle dei Comici dell'Arte. Le venne attribuito il nome di Colombina, quando Isabella Franchini, famosa attrice che per la prima volta la interpretò, portò sotto braccio un paniere in cui si intravedevano due colombe. Solitamente Colombina, di origini veneziane, viene caratterizzata come una giovane arguta, dalla parola facile e maliziosa, e il suo modo di deridere i sospiri degli innamorati era elemento indispensabile e determinante per la buona riuscita comica della rappresentazione. Spesso non ricopre un ruolo di protagonista nella commedia, ma, molto abile a risolvere con destrezza le situazioni più intricate. Abile nell'organizzare incontri lontani da occhi indiscreti, talvolta è bugiarda ma sempre a fin di bene. Anche molto vanitosa e un po' civettuola, ci tiene ad avere un aspetto sempre ordinato ed attraente. Colombina non ha peli sulla lingua e con due paroline ben dette, riesce a mettere a posto qualche corteggiatore che non si comporta più che educatamente. Sia che fosse fidanzata di Arlecchino, sia che fosse serva o figlia di Pantalone, il ruolo di Colombina non cambiava: favorire gli intrighi amorosi di cui era semplice spettatrice o protagonista, questa era la sua specialità. L'inganno finalizzato a gabbare un genitore severo o un innamorato non gradito dalla padrona ne ispirava l'azione scenica, sia quando si trattava di nascondere l'evidente, sia quando era opportuno creare la "suspance" che derivava dalla sua abitudine di sfilarsi bigliettini dal grembiule o dal corpetto; erano diretti a un destinatario cui si richiedeva, nel riceverli, una destrezza pari a quella impiegata nel passarli. Anche il suo eterno fidanzato, Arlecchino, deve stare ben attento, se cerca di fare lo sdolcinato con qualche altra sua collega, come Corallina o Ricciolina, sa lei come farlo rigare dritto. Il suo modo di fare, così vivace e malizioso, nasconde un carattere volitivo ed una naturale furbizia che fanno di Colombina un personaggio simpaticamente sbarazzino, molto amato dal pubblico. La Colombina classica veste un semplice abito cittadino costituito da una sottana a balze, su cui appoggiava un grembiule bianco come il corpetto ricoperto da una giacca rossa orlata di passamaneria dello stesso colore della gonna. Sul capo la servetta indossava un fazzoletto sistemato a foggia di crestina e fermato da un nastro. Una variante del suo costume viene espressa da Lancret in un suo quadro, ma anche da G.D. Ferretti che ce la rappresenta vestita da Arlecchinetta, la compagna di Arlecchino, con giubbetta e sottana a scacchi colorati, costume che ella portò per la prima volta nel 1695 nella commedia "La fiera di Bezon". Quando approdò in Francia, ai tempi della "Comèdie Italienne", Colombina si ingentilì e vestì abiti più raffinati, pur confermando il carattere originario della giovane maliziosa che all'occasione sa provocare e non si lascia intimorire da niente e da nessuno. Da lei derivò il tipo teatrale della "soubrette" chiaccherina e impertinente. Fra le ultime attrici che la impersonarono si ricorda Narcisa Bonardi, interprete di molte colombine strehleriane.
Arlecchino, dopo aver preso un diluvio di legnate, cadde perdendo i sensi. |
Post n°21 pubblicato il 06 Luglio 2012 da MaskAngel
Nel mondo del teatro, prima della nascita della Commedia dell’Arte, i personaggi femminili erano unicamente interpretati da uomini travestiti da donne. A partire dal ‘500 grazie proprio ad una nuova corrente teatrale, anche le donne entrarono a far parte dell’ambiente. Interpretavano veri e propri ruoli con le loro battute ed un "canovaccio". In Italia, dove la Commedia dell’Arte ebbe massimo successo, la principale attrice era Isabella Andreini Canali (Padova 1562 - Lione 1604). |
Post n°20 pubblicato il 03 Luglio 2012 da MaskAngel
Un altro dei grandi capolavori che vennero trafugati dal museo di Baghdad, museo che conservava i molti tesori dell'antica Mesopotamia, la culla delle civiltà. Come la "Dama di Warka" che venne poi ritrovata, nascosta in un frutteto alla periferia della capitale. Si ritiene che la maschera di Uruk ( 3400 - 3100 A.C.), appunto conosciuta come “Dama di Warka”, rappresenti la dea Inanna del periodo protostorico; un volto femminile in marmo bianco noto anche come la "Monna Lisa della Mesopotamia" attribuibile alla cultura Sumera. Quando il personale del museo si allontanò dall'edificio per paura dei bombardamenti da parte americana il museo non venne salvaguardato dai militari e fu saccheggiato da un primo gruppo di razziatori. Nei giorni successivi il museo fu depredato da razziatori più esperti. Quando i soldati americani ricevettero finalmente l'ordine di intervenire per proteggere il museo, si parlava ormai di decine di migliaia di reperti trafugati. Al termine di questi giorni mancavano all'appello circa 15.000 reperti e molti altri erano stati danneggiati per sfregio. In seguito circa 4000 di questi reperti sono stati recuperati e riportati al museo, riaperto dopo una fase di restauro nel Febbraio 2008, ma che di fatto, per la difficile situazione politica del Paese, può essere visitato solo dagli iracheni. |
Post n°19 pubblicato il 29 Giugno 2012 da MaskAngel
Esistono in Africa centinaia di tipi diversi di maschere, ma tutte ricoprono un ruolo di straordinaria importanza nella vita della tribù e tutte, indipendentemente dall’uso a cui sono destinate, rivestono un carattere sacro e accompagnano gli avvenimenti più importanti della vita dell’uomo e della collettività. Molto spesso si pensa alla maschera africana identificandola con la testa appesa al muro in un museo o in una casa privata e non più verosimilmente ad una creatura viva con un corpo che danza. Infatti quale che sia la maschera , essa rappresenta sempre il corpo, il luogo fisico nel quale abita lo spirito e che gli permette di partecipare alla festa e manifestarsi in modo visibile. Per questo l'identità di chi indossa la maschera è nota solo allo stretto numero degli adepti, e dato il significato spirituale delle maschere, non tutti i membri della società sono autorizzati a indossarle. Spesso questo onore è riservato agli uomini, e in particolar modo agli anziani o comunque alle persone di alto rango. Il processo per cui da sempre la maschera cela un'identità per manifestarne un'altra, qui non riguarda l'esteriorità della persona, ma la sua essenza: chi danza indossando la maschera non è più se stesso, ha temporaneamente ceduto il suo corpo allo spirito che alla maschera si lega. Questo legame tra danzatore, maschera e spirito inizia già durante la costruzione della maschera stessa. Chi la costruisce è a sua volta un iniziato, la sua azione è un'azione sacra e tutto il processo di costruzione, manipolazione e manutenzione delle maschere non può essere compiuto se non da iniziati che ne assicurano il mantenimento della potenza spirituale. Le forze spirituali evocate dalle maschere sono attive appena esse entrano nel villaggio, per questo gli abitanti spesso le temono. Esse svolgono anche un ruolo sociale fondamentale: sono garanti delle istituzioni, identificano i malfattori e li espongono al pubblico disprezzo, proteggono la società da ogni forma di disordine e propiziano la fertilità di donne, animali e terra. A volte, come nel caso delle maschere "Gelede" del Benin, servono come elemento ausiliario nell’insegnamento; la maschera rappresenta i valori tradizionali che così vengono trasmessi con molta autorevolezza ma anche con un aspetto ludico che consente di trattare argomenti altrimenti ritenuti sconvenienti o scabrosi. La forma di una maschera africana è in generale riconducibile al volto di un uomo, o al muso di un particolare animale. Questa figura complessiva viene tuttavia resa in una forma altamente stilizzata. L'assenza di realismo si può ricondurre alla concezione comune a tutte le culture dell'Africa Nera, per cui la maschera deve rappresentare lo spirito del soggetto e non la sua apparenza esteriore. Un caso estremo è dato da maschere come le "Nwantantay "dei Bwa del Burkina Faso, che rappresentano gli spiriti volanti della foresta; poiché questi spiriti non hanno un aspetto esteriore, la maschera ha una forma completamente astratta, puramente geometrica. Le maschere sono fra i prodotti artigianali africani più amati dagli occidentali; se ne trovano praticamente in tutti i negozi e mercati per turisti delle principali località africane, e in molti negozi europei e nordamericani che propongono articoli cosiddetti "etnici". Di conseguenza, la produzione di maschere (come di altri oggetti artigianali) è diventata una vera e propria industria in molti paesi africani. Le maschere "commerciali" (o "turistiche") che si trovano nei mercati e nei negozi sono idealmente riproduzioni più o meno fedeli di maschere tradizionali delle diverse etnie. Questo legame originario con la tradizione si va comunque progressivamente indebolendo a favore di considerazioni economiche, la modernizzazione che in gran parte dell’Africa ha portato ad abbandonare i saperi tradizionali, se nondimeno la diffusione di religioni monoteiste che interrompono il legame di sacralità tra il mondo spirituale e quello naturale e per finire le guerre, onnipresenti in Africa, che sradicando intere popolazioni dal loro habitat ne distruggono in modo brutale e traumatico tradizioni e credenze. La logica del mercato rende anche sempre più difficile identificare la reale provenienza (sia geografica che stilistica) di maschere e altri prodotti artigianali; per esempio, nel grande mercato di Okahandja, in Namibia, si vendono quasi esclusivamente maschere prodotte in Zimbabwe che riproducono (a basso costo e con materiali di seconda scelta) stili originari di molte diverse regioni dell'Africa nera.
“ Poiché all’inizio non avevamo maschere che ci proteggessero, gli alberi uscirono dal bosco sacro e vennero al villaggio; da allora divennero le nostre maschere”.
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"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti di non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata di abiti giovanili." Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che forse quella signora non prova nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna che , parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a se l’amore di un marito forse molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andare oltre a quel mio primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del "comico" mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico. |
Le maschere mortuarie son parte della tradizione di antichi popoli e di molti paesi, dove l'utilizzo di tali oggetti è attestato a partire dall'Antico regno, sino all'Epoca Romana (I secolo d.C.). Queste maschere molto utilizzate nella civilta egizia avevano lo scopo di restituire ruolo pubblico, onore e qualità al defunto per il passaggio e per il mondo dell’aldilà, o di fissare e trattenere l’anima. Una di queste maschere, forse la più conosciuta, è quella del faraone Tutankhamon. Il processo di tumulazione comprendeva la mummificazione del corpo che, dopo preghiere e consacrazioni, era posizionato in un sarcofago smaltato e decorato. Un elemento speciale del rito era la maschera scolpita, fatta interamente di oro e gemme messa sulla faccia del defunto. Si credeva che questa maschera potesse rafforzare lo spirito della mummia e proteggere l'anima dagli spiriti maligni nel suo cammino verso l'aldilà. Maschere del genere, tuttavia, non erano fatte da calchi del viso. Le maschere funerarie compaiono anche nelle tombe regali Micenee, dove l'esempio più significativo è quella di Agamennone, ed attraverso i fenici si diffondono nelle zone occidentali d'influenza punica. Nella Grecia arcaica e classica la maschera non conserva più la sua diretta funzione funeraria, non viene più deposta sul volto del cadavere, ma resta pur sempre legata alla sfera della morte. In questa tipologia di impiego è spesso uno strumento di comunicazione con lo spirito del defunto per evitare che questi nuoccia ai congiunti, contesto molto simile anche per le culture africane. Alla fine del Medioevo, ha avuto luogo un cambiamento, dalle maschere scolpite alle vere e proprie maschere mortuarie, fatte di cera, di gesso o argilla. Anche queste maschere non venivano sepolte con il defunto, ma erano utilizzate nelle cerimonie funebri e successivamente venivano conservate nelle biblioteche, nei musei e nelle Università. Non venivano fatte solo ai reali e alla nobiltà (Enrico VIII, Famiglia Sforza), ma anche a persone eminenti: poeti, filosofi e drammaturghi, come Dante Alighieri, Filippo Brunelleschi, Torquato Tasso, Blaise Pascal e Voltaire. Come nell'Antica Roma, le maschere mortuarie venivano spesso usate per ritratti, sculture, busti o incisioni raffiguranti il defunto. Nel diciassettesimo secolo in alcuni paesi europei, prima dell'avvento e della diffusione della fotografia, era comune usare le maschere mortuarie come effigie del defunto sulle tombe e durante il diciottesimo e diciannovesimo secolo furono utilizzate anche per registrare in modo permanente le caratteristiche di cadaveri sconosciuti ai fini dell'identificazione, in modo che i parenti potessero riconoscere il corpo se fossero stati in cerca di una persona scomparsa.
Una di queste maschere, conosciuta come "La sconosciuta della Senna", registra il viso di una giovane donna sconosciuta, secondo una storia ben nota, fu trovata annegata lungo la Senna a Parigi alla fine degli anni 1880. Un impiegato dell'obitorio fu impressionato dalla sua bellezza e volle immortalarla in un calco. Fu considerata così bella che negli anni seguenti furono fatte delle copie della sua maschera mortuaria divenne un appuntamento fisso morboso della società Bohemien parigina. http://www.deathmask.kiev.ua/
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Le maschere Hahoe vengono utilizzate durante gli spettacoli di danza Tal Chum, una delle forme teatrali più antiche della Corea. I personaggi rappresentati durante gli spettacoli sono molteplici, tra cui: Yangban, l’aristocratico arrogante, Sonbi, lo studente pedante, Bune, la giovane donna provocante, Chung, il monaco buddista depravato, Imae, il servo pazzo, Baekjung, il macellaio volgare e Halmi, la vecchia vedova. La danza delle maschere, che tradizionalmente ha luogo nel villaggio di Hahoe, nella zona di Andong, è stata tramandata dalla dinastia Goryeo (918–1392) fino ai giorni nostri. Le maschere Hahoe sono in legno, di splendida fattura e spesso rappresentano il sorriso e l’ospitalità del popolo coreano. La maschera Yangban, che rappresenta la classe dominante dell’epoca è una delle più conosciute tra le maschere Hahoe. Per questo motivo, esiste il detto: "La maschera è così spirituale che sorride quando l’attore sorride e si arrabbia quando l’attore si arrabbia". |
La lavorazione del cuoio avviene tramite strumenti naturali quali rami e nodi di legno, cere con pigmenti colorati ecc… Il carattere delle maschere può essere accentuato da vari e diversi particolari, come i cappelli, i ciuffi o campanelli. Le tecniche impiegate sono quelle che si adottarono centinaia di anni fa dove ogni cosa era prodotta all'interno della bottega o “scola”, dall'attrezzistica per il lavoro, ai collanti, dai colori ai materiali per le rifiniture. http://www.famaschere.com/ |
Post n°14 pubblicato il 11 Giugno 2012 da MaskAngel
Una delle più comiche maschere italiane trae, poco pietosamente, le ragioni della propria popolarità da due penosi difetti: l’incapacità di avviare un discorso senza balbettare, e una eccezionale miopia. Basta dunque dare la parola a Tartaglia, oppure sottrargli le lenti per destare un gioco d’equivoci tale da assicurare l’entusiasmo di una platea. Tutte le volte che Tartaglia inizia a parlare, balbetta, incespica nelle parole, ripetendone meccanicamente la sillaba iniziale un bel numero di volte. Il risultato é che non riesce a farsi capire ed il primo ad arrabbiarsi è proprio lui. Se la piglia con tutti e di più con se stesso. Inoltre storpia le parole e le frasi continuamente e ne deforma il significato in maniera ridicola, lasciando interdetto o rendendo furioso chi lo ascolta. E'anche un po' sordo e non c'é da meravigliarsi se, talvolta parlando con qualcuno risponda fischi per fiaschi. Per coronare la comicità del personaggio, si accompagnano, nel fisico, una pronunciata pinguedine, e nel carattere una vera e propria vocazione all’insuccesso. |
Post n°13 pubblicato il 07 Giugno 2012 da MaskAngel
La Commedia dell’Arte è un grande fenomeno teatrale che ha attraversato oltre cinque secoli di storia.
Innovatori e rivoluzionari Poiché la condizione con cui sempre fare i conti è la povertà, la fame, la vita precaria, i comici della Commedia dell’Arte si organizzano in gruppi benformati, dandosi una struttura operativa e amministrativa: nascono le condizioni per disciplinare l’attività teatrale con regolari contratti, siaper gli attori che vengono chiamati a far parte del gruppo, sia per i rapporticon commercianti che ingaggiano gli attori per promuovere il loro negozio, laloro merce. Le compagnie dei comici, sia per ragioni esistenziali, sia perché a volte sono veri e propri nuclei familiari, introducono nell’attività teatrale anche la donna, tenuta fino allora distante da simile attività, perché proibita dalla chiesa, dal comune pensare dei cattolici, dai così detti ben pensanti. La presenza della donna nella compagnia è una vera e propria rivoluzione. Fino ad allora, notoriamente, in scena erano saliti soltanto gli uomini,che ricoprivano i ruoli femminili travestendosi.
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Post n°12 pubblicato il 05 Giugno 2012 da MaskAngel
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Post n°11 pubblicato il 04 Giugno 2012 da MaskAngel
Troppo spesso lo si vede... viviamo in una società dove l’individualità è stata cancellata, dove è cancellata ogni memoria dell’identità. Oggi, molto di più di prima, si è, si appare, dietro una maschera. Così tutto quanto si fa, tutto quanto esiste, indossa la maschera di un grande spettacolo mediatico. Questo vale per qualsiasi attività dello spirito umano. E infatti assistiamo alla politica spettacolo, alla religione spettacolo, alla letteratura spettacolo. Una spettacolarizzazione che cancella la realtà vera. Noi non conosciamo veramente gli individui. Li vediamo solo come appaiono. In questo tipo di società lo spettro di Pirandello si allunga sempre di più. |
Drammaturgo, scrittore e poeta italiano, vissuto nel periodo a cavallo tra ’800 e ‘900. Pirandello basa il 70% dei suoi lavori sul concetto di maschera. Tutti infatti indossiamo una "maschera", conforme a ciò che da noi si aspettano gli altri e che noi ci siamo imposti.
Sconsolante è quindi il quadro di questa società, fondata sul nulla della finzione ...della convinzione ...del credere vero quello che si sa non essere tale. |
Sa Filonzana (letteralmente "la filatrice") si tratta di una sorta di Parca della tradizione sarda. Era molto temuta per il suo significato oggetto di superstizione. Personaggio molto particolare e inquietante, maschera tipica del carnevale sardo, rappresentata da una vecchia donna dall'andatura storta e sgraziata, vestita di nero con il volto coperto da una maschera nera e orribile, a volte con la gobba e visibilmente gravida. In mano tiene il fuso e fila in continuazione un filo sottile, il filo della nostra vita e del nostro destino che lei conosce molto bene, è nelle sue mani. Essa porta con se una forbice e dopo aver individuato una persona di poco gusto, taglia il filo di lana come augurio, alla persona prescelta, di malessere e sventura; compare spesso alla fine della sfilata, quasi un monito dopo la baldoria tipica della festa. Tutti la temono e la rispettano ma ovviamente non la gradiscono. Le origini di questo misteriosa maschera sono oscure e non se ne trova traccia neppure nei racconti popolari. Probabilmenteè un personaggio importato da altre culture piu"dotte" di quelle agro-pastorali sarde; perchè la sua figura e le sua azione scenica ricorda molto da vicino le Parche della mitologia greca. Anch'esse portavano in mano il fuso, pronte a recidere il filo della vita. Quando Sa Filonzana è dotata di gobba impersona un'altra delle Parche. Tale maschera rappresenta, sul piano simbolico, la precarietà del destino umano e, al contempo, la morte che incombe sul filo sottile della vita, pronta a spezzarlo da un momento all'altro.
...Efisio arrancava su per il sentiero. Il fuso girava e girava. La luna si fece grande e lucente. Efisio, barcollando, si alzò in piedi. Drizzò la schiena, fissò Sa Filonzana nelle orbite vuote della maschera. ...Sa Filonzana fermò il fuso... ...Sa Filonzana spezzo il filo. |
Post n°8 pubblicato il 28 Maggio 2012 da MaskAngel
La piu tipica maschera della Venezia del Settecento. La "bauta-costume" è il travestimento nel suo insieme. Comprende cioè la "larva" (maschera), un copricapo tricorno solitamente nero, lo "xendal"o roccolo di pizzo che può essere bianco, turchino (ma anche scarlatto in occasioni di eventi speciali) che parte dal collo e arriva a coprire le spalle, dal tabarro nero, mantello a ruota di lana solitamente usato dai popolani, specialmente per ripararsi dal freddo invernale nelle campagne ma usato anche dai briganti perchè permetteva di nascondervi sotto armi o qualsiasi altra cosa. Per questo tipo di maschera i veneziani erano disposti a spendere anche molti soldi per acquistare le migliori stoffe. A Venezia tra il XVII e il XVIII secolo indossare una bauta era ormai uno status-symbol tanto che educazione voleva che il rispetto o il saluto era dovuto e cortese a ogni maschera, appunto perchè non si poteva subito conoscere chi fosse a indossarla, personaggio di spicco o semplice popolano. La necessita del tabarro fu una scelta univoca, il popolo non avrebbe potuto avere gli abiti lussuosi dell'aristocrazia e quindi se ci si doveva uniformare anche per desiderio di scavalcare i limiti dettati dalle regole, l'unica scelta possibile era per l'aristocrazia di usare abiti popolani e quindi il tabarro che annullava ogni colore o distinzione era la soluzione per i nobili nel Settecento. La "bauta-maschera" (larva) inizialmente di color nero, poi bianca, fatta in gesso, cartapesta o cuoio con labbro superiore sporgente e allargato; gli zigomi evidenziati, con un naso pronunciato che aveva lo scopo di cambiare il timbro di voce, così da rendere ulteriormente irriconoscibile chi la indossava, e allo stesso tempo riuscire a bere e mangiare senza aver bisogno di levarla. Le baute potevano avere varie fattezze. Venivano realizzate dai mascareri in voga al tempo e le dimensioni si dovevano comunque conformare alla comodità dei lineamenti del volto, ma in ogni caso essere comunque di tipo "standard" in modo da mantenere la costanza nelle forme.
Il termine "bauta" deriva secondo alcuni storiografi dal piagnisteo |
Culturalmente la Venezia del fine 600-700 conobbe una stagione d'oro, basti pensare ai ben 17 teatri costruiti per una popolazioni di soli 140.000 abitanti. Le rappresentazioni teatrali erano molto seguite, ma le maschere usate in questo contesto erano tutt'altra cosa rispetto alle maschere indossate invece nella vita di tutti i giorni durante il carnevale. Erano più uno strumento che non il fine travestimento. La gente andava in giro mascherata, eccitata dalle possibilità che l'anonimato poteva fornire: non solo avventure amorose, ma anche fingersi un nobile e scavalcare cosi stratificazioni sociali molto rigide, oppure per un nobile mischiarsi nel popolo senza perdere la reputazione oppure ancora entrare nelle case da gioco senza essere riconosciuti, protetti dagli sguardi indiscreti, soprattutto quello dei creditori. Il Carnevale (fenomeno già presente in molte società) quindi, acquistava a Venezia un significato particolare e diverso. Rappresentava qui la "scusa" per mascherarsi e poter partecipare al clima festoso e mondano della città. Ecco perchè a Venezia il carnevale è arrivato a durare anche parecchi mesi. Mentre altrove la maschera rappresentava un personaggio o uno stato d'animo, a Venezia serviva solo a nascondere. |
Sono maschere di alcuni personaggi della settecentesca Commedia dell' Arte con riferimenti ad antichissime farse popolari elaborate, alcuni secoli prima di Cristo, fra le popolazioni osche della Campania; in modo particolare ad Atella , da cui presero il nome. L'origine delle fabulae atellane fu segnata dal momento in cui le popolazioni osche, che erano in stretto contatto con con la cultura greca delle genti dell'Italia meridionale, imitando un genere di farse popolari, ne accentuarono il tono mordace. La tematica principale delle farse atellane era costituita da scenette di genere, briose e realistiche, basate sul contrasto fra tipi fissi, quali il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale; nelle quali l'intreccio si scioglieva tra contorsioni, smorfie, acrobazie, inseguimenti, spettacolari cadute e nel contesto di un percorso fertile di situazioni ora piccanti, ora divertenti e paradossali: erano, insomma, gli aspetti farseschi l'elemento essenziale dello spettacolo. Le maschere erano caratterizzate ciascuna oltre che da un proprio eloquio, da una propria psicologia, anche dal punto di vista somatico. Per lo più realizzate con cortecce d'albero, terre policrome e tela cerata: molto scomode da portare, le sue parti in rilievo penetravano ben presto nella carne provocando fastidiosi disagi agli attori. Per non dire che, strettamente applicate al volto come erano, e per di più prive di un minimo di flessibilità, non permettevano alle palpebre di muoversi liberamente per cui le ciglia sfregando contro i bordi delle fessure facevano lacrimare gli occhi in un pianto pressochè continuo. A causa dell'estrema deperibilità dei materiali con cui erano costruite non è purtroppo sopravvissuto nessun esemplare, pertanto gli unici riferimenti provengono da qualche riproduzione in bronzo e alcune pitture. I personaggi delle maschere atellane erano quattro, Maccus, dal greco "maccoan" significa letteralmente "fare il
Buccus, da "bucca", una forma popolare latina che sta per "uomo
Pappus, dal greco "pappos" traducibile in "antenato", impersonava
Dossennus, nome dalla radice etrusca "ennus" e tuttavia |
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"...mascherarsi e sopravvivere a certe situazioni che la realta' ci pone
mascherarsi e' cercare di essere cio' che vorremo
e non siamo convinti che se fossimo diversi
avremmo piu' rispetto ...piu' stima ...piu' fortuna ecc...
mascherarsi e' nascondere la parte che noi riteniamo piu' fragile
..o piu' negativa della nostra personalita'
mascherarsi e' proteggersi
cercando di essere cio' che non si e' e forse non si sara' mai!
mascherarsi e' un gioco ...nel farsi scoprire ..solo se lo si vuole
e da chi lo si vuole
mascherarsi e' una liberazione per essere cio' che mai saremmo a
volto scoperto
mascherarsi e da furbi..sciocchi arroganti
pervasi...critici...giusti
o da ingenui ..semplici ...ordinari..anonimi...vili?"
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"La donna è maschera per se stessa.
Il suo corpo è ciclico, è materia vivente che produce materia vivente, crea e conforma altri corpi. Apertura, dilatazione, espulsione."
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Indosso la maschera
della felicità apparente
dove chi mi guarda
vede allegria e felicità...
Indosso la maschera
della felicità apparente
dove il cielo è sempre azzurro
i prati sempre in fiore...
le colline sempre verdi
Indosso la maschera
della felicità apparente...
dove ti tendo sempre la mano
sono sempre pronto a sostenerti
Indosso la maschera
della felicità apparente.
dove chi sa leggere i miei occhi
vede e sà...
che è solo apparente
la maschera della felicità...
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Nel viale della vita
quante maschere ho usato
...per amore, per dolore,
per tristezza, per felicità:
MASCHERE!
Quale uso oggi?
Non è facile scegliere
anche se vorremmo usarne
solo una.
Com’è strana la vita
nel dubbio della scelta...
puntualmente sbaglio!
Come fare…
Ritorno nel viale della vita,
cerco di osservare,
noto che ci sono tutte le maschere
cerco la prevalenza,
e incontro la maschera della... diffidenza.
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Maschera apotropaica
Inviato da: diamant_noir
il 18/07/2012 alle 01:49
Inviato da: navighetortempo
il 13/07/2012 alle 18:55
Inviato da: navighetortempo
il 02/07/2012 alle 21:50
Inviato da: navighetortempo
il 24/06/2012 alle 17:51
Inviato da: MaskAngel
il 09/06/2012 alle 12:16