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Venticinque dischi per il 2011 (6)

Post n°187 pubblicato il 22 Gennaio 2012 da syd_curtis
 

 

 

 

14.

PJ Harvey
Let England Shake

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The words are quite weighty on their own, and I knew I didn't want to add more weight to them. The person that was delivering the stories had to have the right voice, and the music containing that voice had to inhabit the right place in the stratosphere, if you like [laughs]. I didn't want to add more weight to the words, otherwise they would have just fallen down. [...] I knew what I didn't want. I didn't want dogmatism, I didn't want fingerpointing, I didn't want self-righteousness or any of that. (da qui).

Pj Harvey confeziona l'abito sonoro attorno a parole di guerra e lo fa con l'amore che si mette nelle cose migliori. Ci regala un album che brilla come un gioiellino di poesia post-moderna, il cuore ferito dal vuoto di senso e sopraffatto dai suoni di morte (Death was everywhere/ In the air and in the sounds coming off the mounds of Bolton’s Ridge/ Death’s anchorage), la forma a tratti quasi scanzonata, occhieggia al folk, a ballate epiche e traditional, a madrigali ariosi, si ripiega cupa, si rompe persino in forme rock che rimandano ai suoi primi album (bitter branches), si tinge di psichedelico in uno degli episodi migliori (All and everyone). Il sarcasmo riempie i troppi vuoti. Non c'è dogmatismo, né moralismo. Nessun dito puntato. West's asleep.
Si scivola verso il fondo dell'album col desiderio di ricominciare da capo, ancora e ancora, come ci si potesse svelare il senso del miracolo, suo, dell'artista, e del reale bruto che ci assedia, brandelli di carne, gambe braccia, appese ai rami. La testa vuota. Il rimpianto per le cose orribili, ma lontane, perdute.  How is our glorious country plowed? Not by iron plows. Our land is plowed by tanks and feet. Feet Marching.


Il video

 

15.

Thurston Moore
Demolished Thoughts

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Racconta Maurizio Blatto nel suo L'ultimo disco dei mohicani che tempo fa Thurston Moore, di passaggio a Torino, fece visita al suo negozio di vinile usato, Backdoor, in quanto collezionista accanito. Al termine degli acquisti, nell'uscire dal negozio non si avvide della saracinesca a mezz'asta (si era verso l'orario di chiusura) e picchiò (lui, tra l'altro, altissimo) una terribile craniata, tantò che dovettero soccorrerlo, portarlo nel retro bottega, aspergere la fronte con acqua fredda. Blatto dice che per qualche giorno si creò uno strano codazzo di clienti che andavano in pellegrinaggio sino alla saracinesca e la osservavano e toccavano quasi fosse una reliquia, custode dell'impronta della fronte di uno dei fondatori dei Sonic Youth.
Ecco, se fossi un frequentatore del negozio di Blatto, probabilmente mi sarei unito devotamente al pellegrinaggio della saracinesca, tale e tanta è la venerazione che nutro verso Moore e il suo storico gruppo, la Gioventù Sonica che tanto ha dato allo storione del roc degli ultimi trent'anni. E' con gioia doppia, quindi, che lo inserisco in questa inutile classifichina, considerato che non è solo l'affetto e la riconoscenza il motivo dell'inclusione, ma anche la qualità innegabile di questo suo lavoro da solista. Va detto che rispetto al precedente, quel Trees Outside the Academy del 2007, qui non si prova la sensazione di trovarsi davanti a una semplice raccolta di scarti dei Sonic Youth. No, Demolished Thoughts vanta una produzione eccellente (Beck Hansen, leggete qui tutto il bene che ne dice Moore) e dispone in un registro ipnotico e circolare, particolarmente avvincente, i pochi elementi di cui si avvale: l'acustica di Moore, il basso e i synths dello stesso Beck, il violino, le percussioni e finanche l'arpa degli strumentisti che accompagnano. Potrebbe essere scambiato per un album di folk urbano moderno, ma è tutt'altro, prova ne sia il disturbo di Circulation (si veda il bel video, con Moore che strimpella tra i ciliegi in fiore, il sole dietro la testa), in perfetto appeal Youth. Se può apparire a tratti ripetitivo, lo è scientemente e come tale l'accetto e ne godo. Del resto, non è la ripetizione il fiore più odoroso della retorica (cit)?


Il video

 
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