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Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 11 Dicembre 2004 da Papermoon68
Foto di Papermoon68

Un giro di giostra 

C’era una volta una piccola giostra al centro della piazza di un piccolo paese. Difficile dire da quanto fosse lì, le mamme che vi portavano i bambini nei pomeriggi di primavera si ricordavano di esserci salite anche loro quando avevano l’età dei loro figli e con emozione rivivevano quel giro di giostra che era talvolta un premio faticosamente guadagnato.
La giostrina era sempre la stessa, con i suoi cavalli bianchi e neri, dal muso ormai un po’ scolorito, che trainavano la diligenza dei cowboy e con la carrozza di Cenerentola fatta a forma di zucca accanto all’astronave colorata degli extraterrestri che accendeva le sue lucine mentre si alzava e si abbassava. Quei cavalli che nitrivano al vento sembravano sempre non gradire troppo la presenza davanti a loro di un piccolo camion dei pompieri dalla luce rossa lampeggiante, ma non per questo non facevano il loro dovere e portavano in groppa da anni decine di bimbi che si arrampicavano su di loro a fatica, aggrappandosi al loro collo, e una volta conquistata la posizione, felici salutavano con la manina le mamme orgogliose. I cavalli erano i più ambiti, ma non era facile scegliere: sentirsi per una volta principessa nella carrozza di Cenerentola o giocare ai cowboy nella diligenza? Poi, saliti tutti, la giostrina si muoveva, prima piano piano, quasi a far abituare i piccoli ospiti a quel movimento, quindi un poco più forte … ed intanto partiva la musica. Quel giro era una vera emozione, combattuti tra il tenersi ben stretti, come aveva suggerito la mamma, e il lasciarsi un po’ andare, i bimbi sorridevano contenti e gridavano di gioia. Solo un velo di tristezza offuscava il bellissimo gioco: il giro sarebbe di lì a poco finito, perché lo sapevano che non durava molto e non sarebbe stato forse possibile farne un altro. Però all’improvviso compariva una possibilità. Attaccato ad un pupazzo, appeso a un filo sopra le teste dei bimbi, con una molletta il giostraio appendeva una lunga morbida coda di pelo: tirando il filo l’uomo faceva volteggiare il pupazzo nell’aria, su e giù, ed i bambini allora allungavano le mani e le braccia per cercare di afferrare il codino. Prendere e staccare la coda del pupazzo era quello l’obiettivo e qualunque bambino lo sapeva perché quel trofeo significava essere il vincitore, fare un altro giro sulla giostra. Che emozione! E allora grida, frastuono e gioia si mischiavano con la voglia di vincere; quando il codino ti passava accanto e ti sfiorava, non dovevi avere paura dovevi lasciare le briglie del cavallo e alzarti in piedi per prenderlo.
Talvolta non si riusciva, non si era stati abbastanza forti e coraggiosi, lo avevi avuto per un secondo nelle tue mani ma non avevi tirato, ti era sfuggito… la delusione era grande, soprattutto se a staccarlo era poi il bimbo accanto a te. In quel momento ti giravi a guardare con occhi feroci il giostraio che muoveva il filo e avresti voluto chiedergli perché a lui l’hai lasciato prendere e a me no? Ma mentre pensavi questo il giro era ormai finito, la giostra si stava fermando e il bimbo seduto sull’astronave accanto a te, felice, mostrava alla mamma il suo trofeo e decideva dove fare il prossimo giro.
Qualche piccolino piangeva quando si fermava la giostra, non voleva scendere e si disperava. Ma le regole del gioco erano quelle, si doveva scendere finito il giro anche se non si sapeva bene se e quando ce ne sarebbe stato un altro.  

 
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