Tra parentesi
Didascalie della vitaL'auto nuova
Ho deciso di cambiare auto. E non è una decisione facile da prendere. Da quando ho la patente ho cambiato la mia macchina solo una volta, passando da una Small Innocenti ad una Seicento, tra infiniti dubbi e perplessità.
Ma andiamo con ordine, innanzitutto perchè cambiare l'automobile? Be' se non consideriamo il fatto che la mia scatoletta ha già sette anni e da tempo ha problemi all'impianto di raffreddamento per cui giro con una bottiglia d'acqua nel bagagliaio, non si può non notare i considerevoli danni alla carrozzeria. Devo dire che non sono stati tutti dovuti a mia imperizia... solo la maggior parte.
Si inzia di solito con qualche riga che il cretino di turno ti fa vedendo un'auto nuova: che sia una Mercedes o una Seicento c'è sempre un minorato cerebrale che prova gusto nel farti uno sfregio sulla portiera, purtroppo quando non hai un garage e tieni l'auto fuori lo devi mettere in preventivo. Poi però quando te ne accorgi, dopo aver espresso qualche imprecazione lieve, tutto sommato ti fa persino piacere perchè così non avrai più lo scrupolo di stare attenta a non rigare la macchina. In realtà sai benissimo che i colpi e colpetti alla carrozzeria da lì in poi si susseguiranno e avrai sempre l'attenuante che "tanto ormai era già rigata"!
Devo ammettere che dopo il battesimo del cretino ho spesso scaricato la colpa dei miei borli su ignoti, anche l'ultima volta che ho "leggermente sfiorato" un muretto di cemento mentre parcheggiavo ( non è colpa mia se mi è rientrato copriruota anteriore sinistro e cofano... è la Fiat che fa carrozzerie di latta!).
"L'ho parcheggiata e al mio ritorno me la sono trovata così... quei disgraziati... cosa gli costava mettere un bigliettino per l'assicurazione!" ...nessuno ha messo in dubbio.
Quindi sostanzialmente la povera "bestia" ora è proprio mal ridotta e credo sia ora di provvedere alla sua sostituzione. Come sempre prima di fare qualcosa io amo documentarmi e quindi ho prima di tutto provveduto a fornirmi della Bibbia dell'auto, ovvero ho comprato Quattroruote per vedere che cosa mi proponeva il mercato.
Premesso che io cerco un'auto simile a quella che ho già e quindi non penso di passare da una Seicento a una Jaguar X-Type 2.2D Cambio sequenziale ( ...saperlo cos'è un cambio sequenziale...), la scelta si è ben presto ridotta a poche possibilità: Citroen C1, Toyota Aygo, Hyuday I10, Cinquecento o Panda.
Operazione n°2 : andare nelle concessionarie a vedere gli oggetti del desiderio. Dandomi il contegno di quella che non solo vuole cambiare macchina, ma che sa anche che differenza c'è tra diesel e benzina, entrai nella concessionaria della Citroen.
"Buongiorno... vorrei vedere una C1!" dissi con atteggiamento sicuro.
"Ce n'è una lì fuori..." mi sentii rispondere con una certa noia e in due secondi capii che non era una gran giornata per quel signore a cui probabilmente era morto il gatto oppure aveva buttato nella spazzatura un Gratta e vinci da 500.000 euro.
Decisa a non farmi influenzare nella mia scelta da venditori poco o per nulla motivati, me ne andai a vedere la macchina e poi tornai dentro per chiedere un preventivo. Con maggiore vivacità il tipo mi parlò dei consumi, mi fece i conti e mi stampò i prezzi... forse il gatto era solo in coma.
La C1 non è male a dire il vero, anche se ha un contagiri che spunta dal quadro di controllo come un'antenna di una lumaca. Ora direte se mi faccio influenzare nella scelta di una macchina dalla posizione del contagiri?! Eccome! Mi dà fastidio lì!
Continuai comunque il mio giro e andai alla Fiat per vedere la Cinquecento. Questa è ormai l'auto trendy per eccellenza, quella più cool, più fashion... più italiana. La Cinquecento mi ha colpito subito, al di là della moda, è pandorina ( ndr: tondeggiante ) quel che basta per piacermi, ma come tutti ben sanno ha due enormi difetti: il costo esagerato e... i suoi venditori!
In confronto al tizio della Fiat che mi mostrò l'auto, quello della Citroen poteva essere eletto Mr. Simpatia 2008! L'atteggiamento del Fiatman fu subito della serie "Chi sei tu o comune mortale che vorresti comprare una Cinquecento? Ti rendi conto vero di quale immenso favore ti sto facendo?!" .
Infatti appena entrata, dopo il buongiorno, mi disse subito che per una Cinquecento si doveva aspettare cinque o sei mesi.
Alla faccia della crisi dico io! E subito dopo per completare il knock down spara un prezzo superiore ai 13000 euro. La cosa divertente del prezzo della Cinquecento è il costo della vernice: la Fiat dà come standard solo tre colori... orrendi! Credo siano un blu, un verde e un arancione. Tutti gli altri colori si pagano a parte 400 euro! E se osi chiedere di un particolare bianco perlato che avevo visto... 1000 euro in più!
Gli ho riso in faccia perchè pensavo scherzasse, ma i Fiatman non scherzano mai... ai confini della realtà!
Ennesima prova della sua simpatia il Fiatman me la diede nella valutazione della mia vecchia carretta... una Seicento.... del 2001.... si possono scontare 1000 euro. Tanto per essere venali, alla Citroen me la valutavano 2000 euro e qui dove cambio una Fiat con una Fiat solo 1000?! Mah!
Sostanzialmente con queste due prime esperienze mi sono demoralizzata e mi sono fermata lì.
Chissà se qualcuno di voi conosce un bravo meccanico e carrozziere?!
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Non so come mai, sarà l'età che avanza, ma ultimamente nel mio blog non faccio che parlare di acciacchi e di salute! Almeno se le mie traversie mi facessero conoscere qualche bel medico tipo il famoso Dottor Kildare oppure mi andrebbe bene anche uno meno bello ma ironico e intelligente come il Dottor House e invece mi ritrovo nelle grinfie di un Pinco Pallino qualsiasi che magari ha preso la laurea al Cepu.
Allora la storia incominciò ben 39 anni fa, cioè quando sono nata... essendo io nata anemica. E' così, sono anemica da sempre, anzi probabilmente sono nata anemica, è ed è assolutamente inutile che quando vado dal medico a portargli i referti degli esami del sangue mi guardi e mi dica:" Lei è anemica. Ma come mai è anemica?"
Ma accidenti dico io... sei tu il dottore, me lo devi dire tu perchè sono anemica, cosa vuoi che ne sappia io! Fatto sta che da tempo immemorabile la scena si ripete ciclicamente:
"Dottore mi sento stanca"
"Facciamo un po' due esami del sangue" (chissà perchè poi sono sempre due e riempiono almeno 4 provette!)
e poi "Ah è normale che lei sia stanca, è anemica : ha l'emoglobina a 10,6 e la ferritina a 6! Ma come mai è così anemica! (vedi sopra)"
"Ehm... non saprei dottore, e allora che devo fare?"
"Le do del ferro da prendere per bocca"
"No, lo sa dottore che non lo digerisco e ho dei problemi"
"Be' allora deve andare in ospedale a fare delle flebo"
"Ah va bene. Grazie." ...e figuriamoci se mi vado a far bucare in ospedale e rischiare di avere uno choc anafilattico per reazione al ferro o magari mi dà degli effetti collaterali o si sbagliano e mi fanno un'altra medicina o.... una infermiera inciampa e mi buca con l'ago infetto di un altro malato!!
Mh... si sono un poco pessimista e ipocondriaca è vero.
Ma venne il giorno che l'emoglobina scese a 10 e la ferritina a 4 e allora... ahimè...
"Prego si accomodi lì su quella poltrona... allora vediamo gli esami... si ci vuole del ferro.... facendo un rapido calcolo almeno una settimana di flebo... dobbiamo riportare l'emoglobina a 14. "
Risi in faccia al povero dottore.
"Guardi dottore che io l'emoglobina così alta non l'ho mai avuta in vita mia, al massimo sono arrivata a 12 a dir tanto"
"Ma una donna adulta deve avere almeno l'emoglobina a 14!" rispose lui risoluto e punto sulla professionalità.
Uhmmm.... donna adulta...?!
Comunque mi presero contro la mia volontà (io detesto gli ospedali), mi fecero sedere sulla poltrona dei donatori e zacchete... il primo ago bucò il mio braccino bianco e smunto.... be' smunto non proprio.
L'operazione non fu così rapida a dire il vero, anche perchè ci fu una breve dissertazione su quale braccio infilzare.
Ora io dico: ho due braccia due, in uno c'è una vena grande come un'autostrada e nell'altro non si vede nemmeno. Che c'è da discutere?! Comunque alla fine l'autostrada fu imboccata e il ferro procedeva a tutta velocità, anzi era fuori dei limiti mi sa perchè ben presto io mi sentii come una specie di ottundimento, la testa pesante e una sorta di tachicardia.... insomma le mie cellule che di ferro non vedevano l'ombra da almeno cinque anni all'improvviso sono impazzite, praticamente come un alcolizzato all'October Fest!
"Scusi dottore, mi sento la testa un po' strana.... forse c'è qualcosa che non va."
Tra l'altro io ero memore di un'esperienza toccata ad una mia amica che ha subito davvero uno choc anafilattico a causa di una reazione allergica al ferro e un po' di fifetta l'avevo sul serio.
Rallentò la flebo con una smorfia e poi lo sentii parlare di me con l'infermiera definendomi "suggestionabile".
Suggestionabile un corno! La flebo era troppo veloce davvero. Vabbe' che lì in quella sala del reparto trasfusionale ci sono cinque posti-poltrona dove altrettanti tapini, in bella vista l'uno con l'altro con la loro flebo o sacca di sangue attaccata, non possono far altro che tirare ad indovinare chi finirà per primo, nel qual caso però non è che ti danno una coppa come al Gran Premio di Montecarlo!
Il tutto alla fine durò circa due ore e mezza... un'agonia!
E quando alla fine della terapia ti rialzi e te ne vai con il braccio ormai ridotto ad un colabrodo, al primo "Arrivederci" che ti dicono... tocchi ferro!
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E' passato tanto tempo dall'ultima volta che ho scritto in questo blog...
Vorrei avere del tempo per ricominciare a scrivere... a scrivere cose allegre, cose divertenti, cose sciocche e cose serie...
Vorrei avere del tempo per ricominciare a sognare...a sognare una favola, una storia, una persona e un lieto fine...
Vorrei avere del tempo per ricominciare a guardarmi... dentro, fuori e intorno...
Vorrei avere del tempo per poter dimenticare il dolore che ho sentito, le parole che mi sono state dette, la fatica che ho fatto...
Vorrei avere del tempo per giocare.
Vorrei avere del tempo per ragionare.
Vorrei avere del tempo per amare.
Vorrei avere del tempo per ascoltare la musica...
Vorrei avere del tempo per non far niente...
Vorrei avere del tempo per dedicarmi con passione al mio lavoro...
Voglio avere ancora tempo da passare con mio padre. Più tempo possibile.
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Un'esperienza metafisica
Per decidermi a ritornare a scrivere nel blog in effetti ci voleva qualcosa di forte, anzi di fortissimo: un'esperienza metafisica.
Tutto è iniziato un paio di settimane fa, quando costretta da fatti poco simpatici ho mio malgrado dovuto tirar fuori la testa dalla sabbia, salutare i miei amici struzzi che stavano lì vicino, e decidermi a ricoverarmi per fare "un piccolo intervento, cosa da nulla, che va quasi sempre bene e che generalmente non dà conseguenze nè problemi ma anzi forse si sta molto meglio dopo".
Ora chi tra i pochi lettori rimasti mi conosce un pochetto sa che la sottoscritta ci naviga nei forse, ma un "forse" legato ad un intervento chirurgico non mi andava giù.
Eppure sembrava proprio che la cosa avesse da farsi e anche al più presto. Da brava bambina quale sono seguii il consiglio del medico e il giorno stabilito mi recai in clinica per operarmi. Non vi starò ora ad annoiare sul tipo di intervento e su quali pezzi del mio corpicino sono stati mutilati, smembrati, fatti a pezzi... vi basti sapere che ho ancora tutto l'essenziale e per chi se ne preoccupasse dico subito: "Ora sto benone grazie". La cosa che invece mi preme di raccontare è l'esperienza metafisica in sè, qualora qualcuno non l'avesse mai provata...
Arrivai puntuale alle 8 del mattino, come prima cosa mi fecero accomodare in accettazione. Bisogna premettere che l'ingresso in una clinica è un'esperienza che esula completamente dall'ospedale: ti accolgono gentili signorine vestite in blu che ti fanno compilare e firmare moduli, che tu rigorosamente non leggi e solo dopo saprai che servivano a dirti: "Ehi guarda che se ci lasci le penne non è colpa nostra!". Poi ti assegnano il numero di camera e ti regalano addirittura una bella cartellina di plastica blu, con la zip e dentro un block notes, il libretto con le informazioni utili (tipo dov'è il ristorante) e una penna.
Una penna... tu sei lì che pensi che stai per morire sotto i ferri e loro ti regalano una penna... che pensiero carino!
Insomma l'accoglienza è stata degna della migliore nave da crociera, mancavano solo i giubbotti di salvataggio e il buffet di benvenuto.
Già... ero a digiuno dalla sera prima e avrei regalato qualsiasi cosa, anche la famigerata penna, per un caffè ma l'infermiere mi disse: "Ora fa la visita cardiologica e il prelievo di sangue".
Va bene, penso io, incominciamo con i buchi.
E' statisticamente provato che i medici in genere sono persone alquanto arroganti ed insensibili, è vero che ogni tanto ne trovi uno gentile, ma fa presto poi anche questo ad adeguarsi all'andazzo generale. Ovviamente il cardiologo che mi ha visitato non apparteneva alla seconda categoria: aveva la faccia di uno che aveva dormito male, anzi non aveva dormito affatto.
Mi fa l'elettrocardiogramma, mi visita e poi e mi fa la solita sequenza di domande: malattie importanti? diabete in famiglia? malattie cardiache? allergie? Io non capirò mai perchè i medici quando a queest'ultima domanda rispondi "non saprei, non ho mai preso nulla" scrivono direttamente NO sulla cartellina.
Come fai dico io a dire che non sono allergica? Magari sono allergica a qualche farmaco e non lo so, no?!
Quando glielo feci notare mi guardò con compatimento e mi disse: "Ha paura eh?!" . Io, che già da dieci minuti avrei voluto infilargli lo stetoscopio su per il naso (perchè sono una signora) gli risposi sorridendo: "No, non ho paura, è che cerco emozioni forti potevo andare a Gardaland a provare il Time Vojager ma mi era più comodo venire qui! "
Un altro guaio dei dottori è che non hanno senso dell'ironia.
A prelievi ed esame cardiologico fatti mi rivolsi ad un'infermiera chiedendo che si faceva ora e lì mi accorsi della differenza tra la nave da crociera e la clinica: nella prima ti tengono impegnata tutta la giornata, mentre nella seconda mi dissero che dovevo solo aspettare che mi venissero a prendere per portarmi in sala operatoria.
Solo aspettare? E quanto tempo?? ...Quattro ora circa.
Quattro ora circa.... significava che sarei stata operata all'una se andava bene. Fino all'una in una squallida cameretta. Niente partita di minigolf, nè Karaoke, nè buffet di mezza mattina... si decisamente non ero su una nave da crociera.
"Stia tranquilla e si rilassi... guardi la tv". Guardare la tv alle nove del mattino? Mi volevano dare il colpo di grazia?!
Furono le quattro ora più lunghe della mia vita. E non vi dico altro.
Verso le 12 e 30 il panico, che mi stava tenendo compagnia già da un bel po', prese il sopravvento e, senza accorgermene, mi ritrovai con la maniglia del trolley in mano pronta per imboccare la porta.
"Buongiorno signora... ma dove sta andando?". Beccata.
"Salve.... no.... be'... io ecco... oh è dalle otto che sono qui!"
"Lo so, dovevamo aspetttare il risultato del prelievo. Tutto a posto. Io sono l'anestesista. "
"Ed io sono..... terrorizzata."
"E perchè? Di cosa ha paura?"
"Dell'anestesia principalmente. Non mi sveglierò più."
"Ma guardi signora che è la paura di tutti... stia tranquilla l'anestesia è un'esperienza metafisica, la cosa più simile alla morte perchè c'è la totale perdita di coscienza, e quindi è normale che tutti ne abbiamo paura".
Devo capire ancora oggi se quelle parole mi agitarono ancora di più o se mi tranquillizzarono, certo è però che dire ad uno che ha una fifa matta di morire che l'anestesia è la cosa più simile alla morte forse non è esattamente una grande idea.... ma non so come funzionò ed io mi misi camiciotto e cuffiettina per entrare in sala (come dicono loro).
In fondo pensai è come andare dall'estetista... forse.
Nella cosiddetta sala c'era un via vai tremendo, una confusione tale che mi chiesi subito come avrebbero fatto a trovare il bisturi in quel casino. Vagamente vidi da lontano il mio chirurgo che mi urlò: "Ehilà come va?"
"Bene, bene, non vedo più nulla... mi hanno tolto gli occhiali".
"Anch'io sono senza occhiali e non vedo niente" rispose.
"Ehm... no scusi ma lei è meglio che se li rimetta!"
Risata. Che c'avrà avuto poi da ridere.
La preparazione preoperatoria essenzialmente si articola in tre fasi:
Prima fase: l'anestesista prova a prendere una vena e la sbaglia.
Nei casi sfigati a questo primo momento segue una fase uno-bis che consiste nel cercare per 3-4 minuti di fermare l'emorragia di sangue che scorre a fiotti lungo il tuo braccio, attraverso due nerboruti infermieri che si accaniscono sul tuo arto per fermarlo.
Non potevo non provare la uno-bis... già che c'ero!
Seconda fase: ti legano. Si, proprio così... in sala operatoria ti legano e non dipende dalle abitudini sadomasochiste dei medici, ma sembra proprio che sia di protocollo.
Terza fase: l'anestesista sbaglia la seconda vena perchè mette l'ago storto che da lì a quattro cinque ore ti farà venire una flebite, ma sul momento non se ne accorge nessuno, l'ago c'è e siamo a posto... può partire la festa!
"Signora sente un po' di stordimento?"
"No dottore sono sveglia"
Due minuti dopo.
"Ed ora si sente stordita?"
"No dottore sono sveglia davvero"
"Ma come? Me lo può giurare?"
Allora, a parte che giurare non sta bene, ma dico io dov'è finito il vecchio conto alla rovescia ...dieci ... nove ...otto....andata.
"Glielo giuro dottore" (ma non s'arrabbi pensavo)
Credo che giurandoglielo l'abbia punto sull'orgoglio vista la dose da cavalli che mi ha dato successivamente. Mi sono addormentata in un sonno così lungo e profondo che in confronto la Bella Addormentata era una che soffriva d'insonnia.
E l'esperienza metafisica? Il tunnel di luce? Gli ufo? I misteri delle piramidi?.... Boh! Non ricordo nulla se non il viso di mia madre che mi chiamava e una allegra fase lacrimogena al risveglio del tipo: "Sono viva...sono viva....!! ".
Be' d'accordo forse ho esagerato ma un'esperienza metafisica mica capita tutti i giorni... per fortuna!
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Un amore a quattro zampe Appena l’ho visto ho capito che eravamo fatti l’uno per l’altra.
Al primo sguardo, al primo contatto, al primo…miao.
Ci sono tre categorie di gatti secondo me: i gatti da salotto, che corredati da pedigree kilometrici hanno un destino fortunato, fatto di pappe di lusso e concorsi di bellezza; i gatti da cuccia, allevati in casa o in giardino in modo più spartano, sono i tipici gatti di famiglia che ti rubano la bistecca lasciata sul tavolo della cucina e si fanno le unghie sulla poltrona buona; ed infine ci sono i gatti da cassonetto. Questi sono gatti che di solito hanno un destino segnato, perché appena nati vincono una vacanza gratuita e senza ritorno in una delle discariche di zona, chiusi in un bel sacchetto nero o in una scatola di cartone.
Guarda caso a me è capitato un incontro con un gatto del terzo tipo!
Era una notte buia e tempestosa… be’ non esageriamo, forse erano solo le otto di sera, quando mi accingevo a fare un’operazione utilissima ma sgradita ai più: andare a buttare la spazzatura. Mentre mi accingo ad aprire il primo deposito, che di norma è strapieno mentre gli altri tre o quattro sono di solito semivuoti (…e qui ci sarebbe da aprire un dibattito sul perché tutti buttano i sacchetti dell’immondizia nel primo bidone, comprimendolo e facendolo strabordare, piuttosto che indirizzarsi verso gli altri… ma questa è un’altra storia), odo un flebile suono, proveniente da una scatoletta di cartone lasciata lì fuori. Mi fermo, mi metto in ascolto e distinguo un più netto "miao".
Ci voleva poco intuito a capire che dentro la scatola c’era un gatto, magari si trattava di indovinare quanto potesse essere grosso il felino, o meglio quanto potesse essere piccolo!
Era davvero piccolo infatti, non avrà avuto più di dieci giorni di vita. Con gli occhi semichiusi e la bocca spalancata mi osservò per una frazione di secondo e incominciò a miagolare incessantemente.
Chiamatelo "imprinting" o in qualsiasi altro modo, ma in quel momento ho capito di essere tra le finaliste del concorso "Mamma gatta 2006" !
Allevare un gattino di dieci giorni senza la mamma vi garantisco che è un’impresa. Prende il biberon ogni tre ore, fa i bisognini solo se stimolato, miagola, vomita, ha le pulci…insomma ti scombussola la vita, esattamente come un neonato umano.
Ora la mamme umane insorgeranno: certamente un bimbo è ancora molto più impegnativo, ma tenete conto che io non avevo nessun allenamento e quindi ho rischiato davvero di cadere in depressione …ehm…"post-partum".
Per fortuna il felino cresceva in fretta e nel giro di un mesetto, dopo una ventina di visite dal veterinario durante una delle quali scoprii che in realtà il mio leone era una leonessa, poteva dirsi fuori pericolo.
Vaccino e svezzamento. Era ora di mangiare… le pappe da gattino.
Ho scoperto che c’è un business incredibile sul cibo per animali. Di solito le persone che non hanno amici a quattro zampe in casa conoscono quelle tre o quattro marche che notano al supermercato, di cui si vede la pubblicità in giro. Invece no, c’è una miriade di prodotti e di marche specializzate.
Bustine, scatolette, croccantini, bocconcini, stick…per gatti giovani, adulti, senior, gatte in gravidanza…gatti che stanno in casa, all’aperto….prodotti olistici (…non chiedetemelo, non l’ho ancora capito), BIO, Cruelty Free, OGM free…
Non parliamo di gusti e sapori! C’è davvero di tutto: dal tonno e gamberetti, al formaggio olandese. Ci sono marche che hanno almeno quaranta gusti diversi di scatolette per gatti.
Ma la cosa che mi ha lasciata più a bocca aperta è stato trovare due scatolette, della stessa ditta, rispettivamente al "Tonno del Pacifico" e al "Tonno dell’Atlantico"!
Ora, sono passati quattro mesi da quel giorno in cui mi sono portata a casa quel residuo di cassonetto e le voglio un bene dell’anima, mi rallegra le giornate mentre mi distrugge la casa e credo di averla viziata come pochi altri felini su questo pianeta, ma….ma se c’è qualcuno qui che mi sa spiegare che differenza possa esserci per un gatto tra il tonno dell’Atlantico e quello del Pacifico e soprattutto mi sappia dare una motivazione seria per cui io debba comprare uno piuttosto che l’altro….che mi scriva.
Lo prego con tutto il cuore di scrivermi rispondendo a queste mie domande, perché sinceramente non sono riuscita a sentirmi una "mamma" degenere quando ho cambiato marca!
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A volte ritorna… A volte ritorna l’ispirazione, la voglia di scrivere. Non sai bene come mai se n’era andata. Non le avevi fatto nulla, ma un giorno aveva preso armi e bagagli e via, sbattendo la porta.
Tu eri rimasta lì impietrita a logorarti, chiedendoti il perché e il percome, domandandoti dove avevi sbagliato e soprattutto chiedendoti se mai sarebbe ritornata.
Ma si sarebbe ritornata, perché in fondo non le avevi mai fatto mancare nulla: le penne migliori per scrivere, i lettori più attenti nel leggere, le avevi persino regalato un blog, che aveva dato eco al suo egocentrismo….
Però ora se n’era andata e i giorni passavano inesorabilmente e lentamente, senza che lei ti svegliasse al mattino con una di quelle strane idee che spesso ti facevano sorridere: "Ma dai…come potrei mai scrivere una cosa simile?!" .
"Devi scriverla!" ti diceva. E tu ti convincevi che aveva ragione e accendevi il computer. Erano passati i mesi e di lei nessuna traccia. Nemmeno due righe, come si è soliti fare tanto per dare notizie…niente, il silenzio, il vuoto.
Ma come spesso accade quando si sono ormai abbandonate le speranze, un giorno ricomparve.
Mesta, un po’ scalcinata me la ritrovai lì dove l’avevo lasciata l’ultima volta.
"Che ci fai qui?"
"Sono tornata"
"Lo vedo…e allora?!"
"Voglio scrivere"
Io risi sardonicamente, tanto per darmi un contegno.
"Che vuoi tu?! Credi che ora io abbia ancora il tempo da dedicare a te?! Scrivere?! Ma figuriamoci…io in questi mesi ho riposto la penna, ho perso i miei lettori ed ora tu torni e mi dici che sei qui perché vuoi scrivere?! E scrivere di cosa poi…povera illusa!".
"Non so di cosa, ma non ha importanza non l’ha mai avuta, ma so che voglio scrivere, ho bisogno di scrivere ancora e solo tu mi puoi aiutare".
Forte del vantaggio che mi aveva rivelato, risposi: " E tu credi sia facile ritornare qui dopo tre mesi e rimettersi a scrivere?! Chi mai ci leggerà di nuovo? E poi non ne ho più voglia!".
Ebbe a quelle parole un momento di ribellione.
"Eh no eh! Puoi dirmi tutto ma non che non ne hai più voglia! So benissimo che ti sono mancata e che mi hai cercata, aspettata, pensata. Tu hai tanta voglia di scrivere quanta ne ho io, solo che non vuoi farlo per dispetto…però ne hai voglia… e tanta".
Forse aveva ragione. Così accesi il computer.
Tra parentesi ne avevo voglia…e tanta.
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Esaminando Ieri sera al telegiornale hanno trasmesso il solito servizio sugli esami di Stato: il termine delle prove scritte, le statistiche, i commenti dei ragazzi… tutto come da copione. Credo che a molti adulti in questi giorni torni in mente la propria "notte prima degli esami".
Quando ho fatto io l’esame di Stato si chiamava ancora con l’altisonante nome di Maturità. Preferivo quel termine, perché innanzitutto ti riempiva la bocca "MATURITA’" e poi dava proprio l’impressione che fosse un passaggio obbligato per crescere, per diventare grandi ed entrare a pieno diritto nel mondo degli adulti, insomma tra quelli che fanno colazione al bar e non prendono il caffellatte coi biscotti a casa, quelli che guidano la macchina e non il motorino, quelli che se sbagliano qualcosa è perché le circostanze non erano favorevoli…forse.
Ogni generazione sostiene che la sua Maturità "sì che era una cosa seria", sottintendendo che tutte le altre forme successive d’esame sono state solo delle banalità. Questo era quanto mi incominciò a ripetere mia madre a ottobre del mio V° anno di liceo, subdolamente insinuando che quindi avrei dovuto superare benissimo e senza drammi quella "bagatella" che mi aspettava a giugno.
Ma la Maturità dei miei tempi era una cosa seria.
Innanzitutto c’era una Commissione completamente esterna, ad esclusione di un membro interno scelto dal Consiglio di classe, poi si veniva interrogati in due materie di cui la prima era scelta del Candidato e la seconda dai professori in un ventaglio di altre tre.
Praticamente il Membro interno doveva essere un po’ l’avvocato difensore dell’alunno, colui o colei che con le unghie e con i denti avrebbe tirato fuori quel povero cristo da quell’inferno, insomma noi in Liguria diciamo un professore con la faccia di "tolla" che fosse in grado di mentire, spergiurare, barare, arrampicarsi sugli specchi per i suoi alunni.
Nel caso della mia classe non fu esattamente così. Ricordo che il membro interno assegnatoci fu una simpatica professoressa di storia e filosofia, modello Mary Poppins, che a tratti soffriva di amnesie sui nostri nomi e qualche volta diciamo confondeva anche i nostri voti, ma giusto per movimentare la monotonia della vita scolastica.
Sorridente e spensierata, non si preoccupò di darci una dritta né per il tema d’italiano né per il compito di matematica… ma che cosa volete che ne sappia una filosofa di algebra e trigonometria. Comunque pensammo subito che ci sarebbe stata utile se il Ministero tra le quattro materie scelte per l’orale avesse inserito storia o filosofia: uscirono quell’anno scienze e fisica!
Il mio liceo era un’istituzione, una scuola seria, insomma una di quelle dove i professori cominciano a terrorizzarti da settembre del terzo anno per l’esame di maturità, quindi non si poteva certo arrivare tranquilli a quell’appuntamento e se niente niente uno riusciva a mantenere un certo equilibrio psicofisico fino a maggio, gli ultimi giorni lì dentro avrebbero fatto venire un herpes da stress persino a Giobbe.
Nell’ultimo mese ricordo che le notizie più convulse si accavallavano: sui professori esterni che avrebbero dovuto venire a giudicarci, sulle materie che avrebbero richiesto in orale ad ognuno di noi, sulle prove scritte ministeriali. Si organizzavano mega-ripassi pomeridiani, serali e talvolta notturni, individuali o di gruppo; si cercavano alleanze per eventuali scopiazzature ed informazioni; si setacciavano le librerie in cerca di bignami e sunti ed infine si progettavano astuti nascondigli per bigliettini e affini.
La guerra era cominciata. Ricordo che tutto sommato il giorno prima degli esami fui fino a mezzogiorno abbastanza calma e serena; mentre nel pomeriggio stavo accuratamente leggendomi quei due-trecento temi fatti su quei tre-quattrocento argomenti che avrebbero potuto uscire, sentii mia madre che mi chiamava perché alla porta c’era un mio compagno di classe. Pensai che il tipo fosse venuto per stringere una delle suddette alleanze o magari per qualche informazione dell’ultimo minuto, invece notai subito che non aveva intenzione di parlar di scuola e che stava tergiversando sul motivo della sua visita.
Cercando di stringere la conversazione, scoprii che il tizio era venuto praticamente per dichiararsi alla sottoscritta, con tanto di regalino affettuoso, ma sul momento la cosa mi sembrò talmente assurda e inconcepibile, che la cosa più gentile che gli riuscii a dire prima di spingerlo fuori dalla porta fu: "Ma lo sai che domani c’è l’esame di Maturità?!"
Ora, premesso che oggi a distanza di quasi vent’anni mi dispiace ancora per quel poveraccio, mi chiedo come si può essere così idioti da dichiararsi ad una ragazza proprio il giorno prima dell’esame! Statisticamente quante possibilità di successo poteva avere un simile tentativo?! Nessuna!
Ero brava nei temi d’italiano e svolsi un lavoro decente alla Maturità, forse caddi nella banalità e nella retorica ma tutto sommato era quello che volevano. D’altronde l’esame era ed è un terno al lotto, nessuno può sapere che passa per la mente di coloro che scelgono i titoli delle prove.
Se potessi esprimere un desiderio ( be’ se ne avessi un bel po’ da esprimere diciamo…) vorrei per una volta vedere la faccia di uno di quelli che scelgono le prove dell’esame di Stato… solo uno! Io non so come ve li immaginate voi, alcuni dicono che sono professoroni topi da biblioteca (…per questo riescono a proporre titoli così astrusi), altri invece pensano a psico-socio-pedagogisti esperti dei traumi e delle ansie giovanili (…per questo riescono a proporre titoli così ansiogeni), io ho una mia teoria invece: secondo me chi progetta la prima prova di italiano, dai tempi dei tempi, è una mente geniale e scientifica che adotta un metodo infallibile per la scelta dell’argomento, una sorta di sudoku dell’esame, che chiamerei "Metodo fiori-frutta-qualità-panorama di città".
Lo riconoscete? Chi non ci ha giocato da bambini! Si tracciano tre, quattro o più colonnine poi si estrae la letterina e….in un minuto bisogna scrivere la prima parola che ti viene in mente che inizi con quella lettera.
Stessa cosa fa il team dei Cervelloni del Ministero: nella prima colonnina mettono gli autori della letteratura, nella seconda l’argomento storico, nella terza quello scientifico e così via…
Tutti pronti? Letteraaaaa….F !…Fenoglio, Fascismo, Fecondazione assistita….fatto!
D’altronde nella vita bisogna avere metodo!
La seconda prova che mi toccò fu matematica. Non ero Einstein, ma me la cavicchiavo benino di solito, tuttavia quando vidi il testo pensai che avrei avuto dei seri problemi… e li ebbi. Dagli sguardi allucinati dei miei compagni capii che non era il caso di mettere in atto la politica delle alleanze ma era meglio combattere da soli la propria battaglia e così feci.
Fui fatta prigioniera di un sei politico ma sopravvissi…. mica bisogna vincerle tutte le battaglie per vincere una guerra , no?!
L’orale si avvicinava e, nonostante cercassi di contenere l’ansia, ad ogni angolo di strada, ad ogni bancone di negozio incontravo persone "gentili" disposte a darmi consigli.
Credo di aver imparato tutto in quei giorni sulle tisane rilassanti e sui cibi iperenergetici!
Ma il mio principale problema non era né l’ansia né lo studio…l’ansia c’era da praticamente sempre, essendo io una timida ed ansiosa di natura, lo studio anche quello c’era perché ero un’alunna abbastanza affidabile e diligente… il vero problema che attanagliava me e tante altre mie amiche era come vestirsi il giorno degli orali!
Anche su questo argomento i professori ci avevano fatto il lavaggio del cervello sin da ottobre: "Vestitevi bene, ordinatamente, non siate vistosi ma non siate nemmeno sciatti, proponetevi con eleganza ma senza eccedere, siate classici e sobri ma giovanili, ecc." Come si poteva non farsi prendere dall’ansia?!
Dopo varie consultazioni tra mamme, nonne, zie, cugine più grandi, medici di famiglia, ecc. optai per il seguente look: camicetta rosa con fantasia di stelline azzurre, modello hollywood pigiama party, gonnellona blu a mezzo polpaccio, modello Suore della neve, e scarpe rigorosamente basse, modello bibliotecaria cozza.
Mi vergogno ancora oggi di come mi sono presentata agli orali della mia Maturità e spesso mi chiedo se quel 52/60 che mi hanno dato sia stato per la mia accurata preparazione, la mia diligenza, il mio costante impegno in cinque anni di scuola oppure se perché qualcuno dei Commissari guardandomi così conciata ha pensato a voce alta: "…E diamoglielo in fondo non avrà molto altro nella vita!"
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Stupida mente Questa mia riflessione vorrebbe essere una continuazione di ciò che ho scritto in precedenza, ma in effetti pensandoci bene questo post può anche essere letto e interpretato a prescindere.
Quante cose stupide facciamo ogni giorno? Tante. Poche cose nella vita sono certe, ma questa è una di quelle.
Solo oggi io ne ho fatte almeno tre.
Stamattina ho avuto una discussione col mio datore di lavoro e mi sono arrabbiata molto; non ho fatto altro che ripensarci per tutto il pomeriggio, guastandomi completamente la giornata. Parlare con lui in un momento non adatto per chiedergli qualcosa è stata una cosa stupida e l’ho fatta sapendo di farla, questo è il bello.
La seconda cosa stupida l’ho fatta oggi pomeriggio. Mi sono comprata per un’occasione speciale, spendendo un bel po’ di euro, dei pantaloni marroni esattamente identici a quelli che poteva prestarmi mia madre gratis.
La terza cosa stupida infine l’ho fatta stasera, ma non la racconterò perchè in fondo non sono poi così certa che fosse tanto stupida.
Qual è il contrario della stupidità? L’intelligenza?! E come si misura veramente l’intelligenza di una persona? Non di certo con quegli stupidi test sul Q.I. alla Sharon Stone ( …che per chi non lo sapesse sembra avere un Q.I. altissimo). Difficile a definirsi la stupidità quanto l’intelligenza, quest’ultima sembrerebbe determinata dalla capacità di comprendere, di rielaborare, di interpretare la realtà… ma non sono sicura che sia così semplice essere intelligenti. Forse ci vuole anche una buona dose di ironia, una manciata di sogni, un po’ di intuito e tanta fantasia… forse.
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Complicata mente Da quando ero piccola ho sempre avuto la tendenza a complicarmi la vita ed ancora oggi non ci sono limiti spazio–temporali che frenano la mia tendenza a complicare le cose apparentemente semplici. Ho notato però nel corso degli anni che è un atteggiamento diffuso, soprattutto nell’universo femminile: insomma le donne amano i sistemi complessi e hanno menti complesse.
Una donna che va a comprare un regalo per qualcuno ha una vera e propria crisi esistenziale se il nastrino del pacchetto non è in tono con la carta che lo avvolge, questo quando un uomo, alla richiesta di una gentile commessa che gli chiede se deve incartarglielo, risponde:" Ma no, va bene così, mi dia solo un sacchetto per mettercelo dentro".
Se un uomo è capace di farsi trovare dalla suocera stravaccato sul divano in canottiera e mutande, una donna può alzarsi alle 5 per farsi la messa in piega sapendo che avrà ospiti in mattinata… e questo attenzione non è perfezionismo secondo me, è semplicemente la tendenza a complicarsi la vita.
Non parliamo delle relazioni umane. Una donna non è mai soddisfatta se non ha un "perché", una spiegazione, a ciò che gli altri fanno in special modo a ciò che gli uomini le fanno, senza contare che il più delle volte l’uomo in questione dall’alto della sua beatitudine di fronte alla spasmodica e ansiogena richiesta: "Perché mi ha fatto questo? Perché ti sei comportato così? Perché non hai pensato a che cosa potevo pensare io? Perché?" risponde con un semplice, istintivo, sincero (forse) :"Non lo so".
Da madre a figlia, da sistema complesso a sistema complesso, generazione dopo generazione le donne amano complicarsi la vita, scegliendo sempre la relazione più stramba e difficile, ponendosi domande a cui non riusciranno mai a dare risposta, martirizzandosi in tentativi di omologazione a modelli irragiungibili, nell’estrema quanto vana speranza di essere qualche volta soddisfatte di se stesse.
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Il leone e la gazzella
La gazzella alzò il capo, si girò e lo guardò incuriosita, poi tornò a bere. Il re della foresta non poteva crederci: non si era spaventata?! Cos’era sorda e cieca?!
"Ehi tu" disse il leone "Non mi hai sentito?!"
"Certo che ti ho sentito" rispose la gazzella.
"Io sono un leone!" non poteva credere che la gazzella non fosse scappata.
"E allora?!" rispose tranquilla lei.
"Come allora?…non ti faccio paura?! Non vuoi provare a scappare?! Lo sai che ti farò del male"
"Vuoi farmi del male?!E perché? "
"E’ ovvio, io ti devo mangiare".
La gazzella lo guardò nuovamente con grandi occhi curiosi e si avvicinò a lui. "Hai fame leone?"
Perplesso lui le rispose "Be’…veramente ora no, ma…". Mentre lo diceva non poteva credere a quello che vedeva: lei si stava avvicinando sempre di più e gli girava intorno, osservandolo con attenzione.
Doveva essere una pazza suicida quella gazzella…quante ne aveva rincorso, quante ne aveva sbranato! Certo, a volte gli era anche dispiaciuto ma…era il suo istinto, non poteva cambiare la natura.
Ed ora c’era quella piccola cosa che non aveva paura di lui, anzi sembrava piacerle…in effetti osservandola bene anche a lui piaceva abbastanza, aveva uno sguardo dolce e vivace, sembrava diversa da tutte le altre.
"Che brutte ferite hai sul dorso leone" disse la gazzella inclinando un po’ il muso.
"Si, sono vecchie cicatrici…molto profonde, me le sono fatte cacciando"
"Ti fanno male?"
"A volte, ancora un pochino…" rispose triste il leone.
Ma poi si scosse "Io sono un leone comunque, non sento il dolore!"
"Ah no?! Peccato…" rispose la gazzella.
"Come peccato?"
"Come puoi conoscere la felicità se non conosci il dolore leone?!".
Era sempre più perplesso di fronte a quello strano animale, lo confondeva, decise quindi di tagliar corto:"Adesso basta gazzella, tu sei la mia preda quindi…". La gazzella sorrise e si accucciò sull’erba.
"Che cosa vuoi fare?" disse stupito il leone.
"Parliamo" rispose lei guardandolo negli occhi.
"Parliamo?!" incredulo disse" Ma che dici?! Un leone non parla con una gazzella!" .
"E chi lo dice?! Secondo me hai tante cose da dirmi stanco leone".
Il piccolo animale continuava a fissarlo serenamente negli occhi e gli trasmetteva una composta dolcezza, così il leone senza accorgersene si sedette e nella frescura incominciarono a parlare.
Parlarono del sole e della luna, del vento e dell’erba, risero delle banalità e condivisero i propri sbagli.
Il sole stava per tramontare e da lì a poco sarebbe giunta la sera.
La gazzella si alzò "Devo andare". Il leone annuì. "Va bene".
Mentre lei si allontanava il leone pensava a quanto era stato strano quell’incontro e quanto era stata tranquilla quella giornata. Ad un tratto la gazzella si voltò e gli gridò:"Se mi rincontrerai, mi vorrai ancora mangiare leone?"
Lui le rispose:" Non so…forse non avrò fame".
La gazzella sorrise, il leone fiero ruggì sparendo nella vegetazione. Era tardi, il suo cucciolo probabilmente lo stava aspettando.
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