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La socialità ai tempi di internet

Post n°5 pubblicato il 27 Febbraio 2009 da propilei0

è evidente che mi irrita.
La socialità avanza, invade, si infila tra le pieghe delle nostre ore. Tutto quello che facciamo è in vista, quello che pensiamo lo pubblichiamo. Se stai bene, se stai male, se non sai come stare.
Ecco, io sono stata una blogger e quando ho iniziato l'idea era "finalmente posso sfogarmi, una signorina nessuno tra un numero indefinito di signori nessuno con un nomignolo che nessuno riporterà a me perché nessuno sa chi sono". Aveva un che di liberatorio ed è durato poco. Per molto tempo però ho continuato raccontarmi più o meno liberamente - man mano sempre meno. Quando dicevi blog, ti dicevano e che è, la trasmissione su raitre? E tu rispondevi più o meno, alla fin fine è un guazzabuglio di idee messe su giorno per giorno come viene. E se mi sentivo di raccontare qualcosa di estremamente personale, avevo comunque l'illusione di essere protetta dall'identità virtuale. Che potessi scrollarmela di dosso quando lo ritenevo opportuno, che potessi rifugiarmici quando ne sentivo il bisogno, che potessi avere l'impressione di essermi già parzialmente spiegata a persone vicine che leggevano, che potessi intimare l'alt a chi pretendeva di sapere tutto di me solo perché mi leggeva.

Poi ti rendi conto che non è così che funziona, che si diventa personaggi di se stessi, che spiattellare nel modo più pubblico che ci sia il proprio privato ha delle conseguenze che possono essere fastidiose e più. A me tutto sommato è andata bene, sono stati pochi gli episodi in cui mi sono esposta soffrendone. Però poi cominci a farti domande e darti risposte, e le risposte sono di porre il freno alle parole e di raccontare un po' meno, e in modo meno chiaro. Specie se del blog, una volta "svuotatasche mentale", come lo definivo, diventa uno strumento di rappresentanza, di pubbliche relazioni, di immagine del sé.
E per una insicura e ansiosa come me, ha significato trovare a farmi un milione di problemi per ogni volta che ho cliccato sul pulsantino "Pubblica il post".
Ergo più controllo, più autocensura, più morsi alla lingua. Ergo alla fine, ho chiuso.

Poi sono arrivati, tutti gli altri aggeggini di socializzazione virtuale. All'inizio, virtualmente attiva come sono, mi sono guardata in giro.

Epperò, epperò.
Epperò non tollero la superficialità di Myspace e c'è poco altro da dire a riguardo: infatti ho aperto il profilo solo per ascoltare la musica e rispolvero il login tipo sei volte all'anno.
Epperò Twitter permette di scoprire nuovi inventori di aformismi, senz'altro, rischia di essere un'accozzaglia di micropensieri dozzinali "Tizia si è lavata i denti", "Tizia pensa che nemmeno lavarsi i denti con la soda caustica potrà qualcosa contro due chili di bruschetta", "Tizia pensa che il suo dentista non sarà felice, oggi".

E poi c'è lui. Facciadilibro. L'ultima ossessione collettiva. Che diciamolo: sarà una moda, come al solito, ma al momento sta rovinando il web. Catalizza l'attenzione di tutti. Ci avete fatto caso? Meno post sui blog preferiti, meno commenti e meno visite, da voi e dagli altri.
Ci avete fatto caso, vero, tra un refresh e l'altro del vostro profilo su FB?

A me, francamente, FB ha stracciato gli attributi che non ho. E li ha stracciati proprio perché oltre a non piacermi, il non essere iscritta fa di me una appestata.
A me questo ritrovare redivivi personaggi di una, due, tre vite fa, infastidisce. Mi ricordano una me che non esiste più, e che in molti casi ringrazio non esista più. Il passato si chiama passato per una ragione. Basta con questa ossessione di scardinare porte chiuse e rispolverare anticaglie emotive. E' un tempo concluso: c'è troppo passato prossimo nel nostro presente, per favore torniamo all'uso del passato remoto.

Ho un’amica che ha colleghi, mioddio colleghi, non dell'ufficio ma dell'azienda, che l’hanno aggiunta  e che però se la vedono per strada non la salutano nemmeno. L’hanno aggiunta per il solo gusto di fare numero: perché poi il punto diventa collezionare amici come se fossero figurine.
E io dovrei rendere tutti partecipi dei fatti miei? Per il gusto di fare pettegolezzo, di saperne di più degli altri, di rendere noto agli altri di quanto lavoro, di dove vado, di che bisogno di affetto, o cazzo, ho? Perché a me dovrebbe interessare sapere che tu ti sei appena alzato o di quanto era buono il risotto con le pere?
Il punto è che ci vuole leggerezza e insieme lungimiranza per usare questi strumenti. Leggerezza nel divertirsi a leggere monti di stronzate, e lungimiranza nello scriverle.

Io ho capito, dopo tutto questo tempo, che il web non è uno svuotatasche mentale, non è l'immondezzaio dove sfogare le proprie frustrazioni, perché te le rilancia come una fionda.
Qualche sera fa, alla fine di uno srotolarsi di riflessioni tutte più o meno col peso specifico del piombo, mi sono ritrovata inferocita con me stessa e con una serie di persone e situazioni. Ho messo tutto nel calderone della mia psiche e ne ho tirato fuori un consommè di rabbia livida e verace. Ero così nera e avrei voluto chiamare una per una le persone con cui ce l'avevo per dire loro tutto quello che pensavo di loro. Scrivendo su FB mi sarei trovata a dover rendere conto del perché e del percome a gente che non sa più nulla di me da prima che arrivasse l'euro e a gente che potrebbe solo usarlo per ricamarci sopra nella noia delle pause caffè.

Sarà forse perché ho passato anni a raccontarmi su web e per cui sono ben lontana dalla fase in cui la pubblica attestazione del sé mi sembrava una novità bella e gratificante.
Sarà perché ci vedo solo più tutti i rischi di una cosa del genere e mai come adesso do ragione a mia madre quando diceva che i panni sporchi si lavano in casa.
Sarà perché sto passando una fase in cui sono assolutamente asociale e ipercritica, con una voglia di raccontarmi atomizzata, con una serie di giudizi personali tanto caustici da bruciarmi sulla punta della lingua ma zero voglia di dover rendere conto dei miei stati d'animo e delle mie opinioni.
Sarà che ho poco tempo, e poco così non ne ho avuto mai, prima d'ora, e il resto del tempo mi consuma quel po' di energia positiva e vitalità e buonumore e ottimismo.

Ma quello che mi chiedo, continuamente è: cui prodest? Non a me.
E mi dichiaro asociale e malmostosa fino a nuovo ordine.

 
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