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Post N° 131

Post n°131 pubblicato il 05 Febbraio 2008 da VegaLyrae

Legge 194...

Un aborto terapeutico è una di quelle decisioni che una coppia non vorrebbe mai trovarsi a dover prendere; una di quelle disgrazie che si spera di non dover mai vivere. Desiderare un figlio, aspettare che si sviluppi all’interno del grembo materno,  sorprendersi a fare sogni e progetti sul suo futuro e poi scoprire che tutti quei progetti non potranno mai realizzarsi e che nella migliore delle ipotesi quel figlio avrà una vita da disabile fisico o psichico.
Un aborto terapeutico non rientra certo (e giustamente) né nella casistica né nella normativa dell’aborto volontario. Non ci sarebbe stata alcuna intenzione da parte di quei genitori di abortire se non fossero emerse evidenze diagnostiche con anomalie nel nascituro, anzi probabilmente il leggere quel referto ha trasformato quell’attesa felice un incubo, con la necessità di prendere una delle decisioni più difficili e drammatiche della loro vita. Benché per legge non esista (ancora) un limite di tempo per effettuare un aborto terapeutico, il limite consigliato, sia per l’impatto psicologico che fisico è entro la 24^ settimana. Questo anche per evitare che il bambino sia talmente sviluppato da poter in qualche modo sopravvivere. Già dai primi di gennaio però la Regione Lombardia ha abbassato questo limite alla 21esima settimana, adducendo quale motivazione proprio il miglioramento sia delle tecniche diagnostiche che di quelle terapeutiche, le quali permettono oggi di far sopravvivere anche bambini molto prematuri. Sentendo la notizia su radio3, ricordo che pensai all’ennesimo tentativo di ostacolare la pratica dell’aborto e minare la legge 194 fin dalle sue fondamenta, impedendo in questo caso non solo quello volontario ma addirittura limitando anche l’aborto terapeutico. E infatti l’intervistatore non ha tardato di fare quest’osservazione ad un primario del San Paolo, il quale ha assicurato che no, nessun nesso con la legge sull’aborto, semplicemente un decreto di autoregolamentazione in modo da evitare proprio di incorrere in problemi etici, conseguenti alla sopravvivenza del feto.

Non sono passate che un paio di settimane ed ecco il seguito della vicenda: la proposta da parte di un gruppo di ginecologi romani di rianimare un feto, anche se abortito in seguito ad aborto terapeutico, dopo la 22esima settimana, e anche contro il parere dei genitori.  Ovviamente sempre a causa delle aumentate probabilità di sopravvivenza e bla bla bla.  E ovviamente senza incorrere nell’accanimento terapeutico, perché non li si accusi di una simile posizione.

Ora io mi chiedo: Una coppia che già si trova colpita da una tragedia enorme come quella di dover decidere per un aborto terapeutico, una donna che già si trova a dover partorire (perché in questo consiste spesso l’aborto terapeutico) un figlio malformato, è eticamente giusto che si debba anche trovare di fronte allo stillicidio e alla tragedia che i medici tentano di rianimare contro il suo parere quel figlio verso il quale si è trovata a  dover prendere una decisione così drammatica? Non è forse un modo coatto per impedire quella che ancora è la libera decisione di abortire?

 
 
 
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