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Padre

Post n°130 pubblicato il 04 Luglio 2012 da cpeinfo

Angoscia e punizione nel regno del capriccio. L’appello al padre.


“ Dalla tua poltrona dominavi il mondo. Solo il tuo punto di vista era giusto.

Tu eri per me misura delle cose.

Ai miei occhi assumevi l’aspetto enigmatico dei tiranni, la cui

Legge si fonda sulla loro persona, non sul pensiero ”

Franz Kafka, Lettera al padre



L’epilogo de “ Il Verdetto ” è tale da rendere questo racconto un’ eccezione nell’opera letteraria kafkiana, che ha nell’angoscia il proprio asse portante. In tutta la sua produzione un elemento compare con regolare costanza, tanto da costituire il tratto distintivo del suo narrare: l’incombere di un destino segnato, una condizione di ostaggio non riscattabile che si traduce, nei romanzi più celebri, in una condanna enigmatica che il protagonista deve subire obtorto collo . L’Altro è sempre lontano, intangibile, enigmatico. Senza mai manifestarsi direttamente, manda a dire ai protagonisti, tramite emissari, che si vuole qualcosa da loro, senza mai specificare cosa.

L’angoscia nasce dal non sapere mai cosa l’Altro voglia, dal non capire mai quale maschera si indossi ai suoi occhi. Kafka racconta storie nelle quali i protagonisti non trovano mai un posto definito, condannati come sono ad oscillare in balia degli umori dell’Altro. Mentre il protagonista di “ America ” accetta un difficile compromesso, il signor K. de “ Il Processo ” soggiace alla condanna inflitta dall’Altro senza che questa venga mai motivata. Egli sa sin dall’inizio sa che deve essere processato; gli viene infatti contestato un reato che però non viene mai chiarificato. E’ colpevole di un qualche crimine, ma non è dato sapere quale. Il racconto procede in maniera angosciante ,mai il protagonista saprà quale capo di imputazione penda sopra di lui. L’enigma opaco del desiderio dell’Altro resiste sino alla fine, finché egli accetta di modellarsi al ruolo per lui ritagliato: colpevole.

Lo sventurato agrimensore de “ Il castello” avanza , e al suo procedere la questione se il castello sia abitato o meno, se il Conte davvero esista, perde vieppiù di importanza. Egli è costretto di volta in volta a confrontarsi con un emissario , emanazione di chi abita il Castello, che cerca di conferirgli una qualifica ogni volta diversa.

Non ci è dato sapere se l’agrimensore fosse destinato a trovare un posto, essendo l’opera incompiuta. E’ certo che, come ci lascia scritto Max Brod ( l’amico di sempre) il finale immaginato da Kafka vede il protagonista che : “ muore. Intorno al suo letto si raccoglie la comunità, e in quel momento giunge dal castello la decisione che concede a K di viverci e lavorarci” [1] .

Tutti questi personaggi, dopo un percorso segnato dall’angoscia, si consegnano alla volontà dell’Altro e rinunciano a lottare, soggiacendo inermi ad un destino enigmatico che li ha accompagnati sin dalle prime righe.

Solo ne “ Il Verdetto ” c’è una soluzione possibile ancorché tragica: togliersi la vita . Da dove nasce la certezza di un destino umano non emendabile?

Ne la “ Lettera al Padre” è descritto l’evolversi di quel rapporto doloroso e mai ben elaborato che egli ebbe col padre. E’ in questo “ j’accuse” che prende corpo l’Altro onnisciente, mutevole e detentore di una Verità che vive in tutta la sua opera.

E’ un Altro che non obbedisce alla legge, ma vive di capriccio:

“ Per me bambino, tutto quello che mi ingiungevi era un comandamento dal cielo, il metro determinante per giudicare il mondo (…) Non era permesso rosicchiare le ossa, ma tu lo facevi. Non era permesso assaggiar l’aceto, ma tu lo facevi” (…) A tavola si doveva solo mangiare, ma tu ti pulivi e ti tagliavi le unghie, facevi la punta alle matite (…) tu, l’uomo che ai miei occhi rappresentava la massima autorità non ti attenevi alle ingiunzioni che mi avevi imposto.” ( 2)

Ecco l’origine della regola personalizzata, il fondamento del capriccio, [3] che come dice J. A. Miller “ Non si discute ”[4] .Il lettore attento troverà in queste righe il nucleo essenziale dei canovacci delle sue opere maggiori.

La punizione irragionevole ed arbitraria che i vari signori K. devono subire, è spiegata da un ricordo di infanzia dell’autore. Egli racconta di una serata durante la quale chiese acqua per dissetarsi con una insistenza tale da far scattare la punizione paterna che si tradusse nell’essere chiuso fuori casa, in camicia da notte.

“ Quella punizione mi fece tornare obbediente(…) ma ne riportai un danno interiore. L’assurda insistenza nel chiedere acqua (…) e lo spavento smisurato nell’essere chiuso fuori, non sono mai riuscito a porli nella giusta relazione. [5] ”

Una punizione sproporzionata, inattesa, non decifrabile in rapporto alla colpa commessa. Il giovane si chiuse così in “ un totale mutismo , osando muoversi solo quando era “ talmente lontano da te che il tuo potere non poteva più raggiungermi. Ma tu incombevi [6] ”.

Questo è il punto centrale del rapporto di K. con l’autorità . Il mondo descritto nei sui romanzi è permeato di quell’atmosfera per la quale “ si veniva punti ancor prima di sapere cosa si fosse fatto di male ”, un universo piramidale nel quale l’assenza di legge affligge i protagonisti, certi che un pretesto per “ scatenare la violenza ” si “ sarebbe trovato [7] ”. E’ il goffo e triste uomo esposto al capriccio di cui parla Primo Levi: “ Considerate se questo è un uomo (…) che muore per un si o per un no” [8] .

Come è riuscito Kafka a sopravvivere a questo spaventoso Altro?

Non riuscirà mai a fuggire dal padre, tantomeno ad abbandonare Praga ( eccezion fatta per alcuni viaggi ) , e non convolerà mai a nozze mandando a monte due matrimoni: dedicherà invece la sua vita alla scrittura. Bataille, nella sua post fazione alla “ lettera”, è convinto che “( nonostante) K volesse intitolare tutta la sua opera “ tentativi di evasione dalla sfera paterna”, egli non volle mai evadere veramente.” Volendo piuttosto “ vivere nella sfera come un escluso [9] ”. La scrittura quindi, strumento irriducibile, non negativizzato dal significante paterno. Oggetto al di fuori di tutte le attività che il padre aveva preparato per lui ( il commercio, il matrimonio), baluardo contro l’angoscia.
Questo sarà il suo punto di tenuta, fungendo la scrittura da oggetto separatore rispetto all’Altro. Nella sua breve vita egli passerà da una condizione di “ vacillazione dell’essere [10] ” ad uno stato in cui , col reperimento della scrittura oggetto separatore, la sua realtà troverà un quadro.
Kafka Pro e contro”: questo testo ha portato alla ribalta una querelle tra Gunther Anders e Max Brod, amico di Kafka sino alla fine, impegnato a difenderlo dall’accusa di essere stato un anticipatore del fascismo. Ciò che abbiamo sopra descritto mostra un uomo che, ben lungi dal ricercare la dittatura, anelava alla Legge legge, quella legge che metta al riparo dal capriccio. Il Capriccio discrezionale che è l’elemento essenziale e costitutivo di ogni dittatura.Il cruccio del giovane Franz fu quello di essere cresciuto in una famiglia ove l’autorità paterna si esprimeva , appunto, a capriccio. Si vede bene che l’autorità non è salda. Non è stabile, ma capricciosa. Non c’è la legge paterna, bensì un suo simulacro. Le leggi sono prerogativa del padre, quell’ Altro che detiene i codici, e li infrange quando gli aggrada, punendo chi non li osserva.Non siamo quindi, per usare una metafora storica, all’estensione di uno statuto albertino.

Ma siamo più vicini agli umori del Re Sole.

Alle satrapie orientali. Agli umori di Pol Pot.

Ci sono delle assonanze molto forti tra questa descrizione della legge “ umorale” e quindi non mai trasmessa del tutto e quella che ne fa Orwell quando parla del Grande Fratello.

Anche il Grande Fratello si comporta così. Mette in opera una strepitosa piramide di potere , nei meandri della quale ogni soggetto è controllato nella sua adempienza alla regola.

La devianza è definita lo “ psicoreato.”

Ma quando il protagonista si trova faccia a faccia col potere, scopre che i quadri intermedi , e via via a scalare verso l’altro ( il grande fratello innominabile ed invisibile), potevano violare tale legge.

Potevano tenere spento il televisore con il viso del G.F.

Potevano avere ciccolata e caffè , alimenti proibiti alle masse.

E’ pertanto fuorviante intendere Kakfa come un pre – cursore dei regimi totalitari. Poichè è in questo tipo di regime che si annida ciò che egli ha combattuto per tutta la vita, nella sua Praga e nelle sue opere, cioè il capriccio che non obbedisce alle regole. Kafka fu un gentile uomo isolato ed insicuro,in perenne ricerca di quel viatico che gli permettesse di accedere ad una regolare vita ordinata tra simili. Quello che lui non riuscì mai ad ottenere.
[1] Franz Kafka, “ Il Castello ”, Oscar Mondadori, Milano 1991, commento in retrocopertina.
[2] Franz Kafka, “ Lettera al Padre ”, cit., pp. 19 – 20.
[3] “ Ma che è stato condannato, almeno questo lo sa?” “Neanche questo” disse l’ufficiale (..) “ Qui nella colonia penale, io ho le funzioni di giudice (..)Il principio in base al quale decido è:la colpa è sempre indubbia ”. Franz Kafka, “ Nella colonia penale ”, in “ La metamorfosi e tutti i racconti pubblicati in vita ”, Universale Economica Feltrinelli, Milano 2000, p. 129
[4] J. A . Miller, “ Teoria del capriccio” , in “ L’osso di un’analisi ”, cit., p. 71.
[5] Franz Kafka, “ Lettera al Padre ”, cit., p. 14
[6] ivi, p. 23
[7] ivi, p. 25
[8] Primo Levi, “ Se questo è un uomo ”, Einaudi, Torino 1976.
[9] Cfr il commento di Bataille in Franz Kafka, “ Lettera al Padre ”, cit.
[10] Jacques Lacan, Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psiconalisi , Einaudi, Torino
1999,p. 253

Tratto da 'Il Posto del panico, il tempo dell'angoscia'. Di M Montanari

http://haecceitasweb.com/2011/12/25/angoscia-e-punizione-nel-regno-del-capriccio-lappello-al-padre/

 

Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
M.Luisa il 23/07/12 alle 15:02 via WEB
Ogni tanto penso se il terribile e troneggiante padre di Kafka si sia mai reso conto di ciò che ha determinato nel figlio, di quanto sia stato ingombrante... ho letto Lettera al padre e le mie sono impressioni "a sentimento", non vogliono essere critica letteraria o psicanalitica... sono anche impressioni interessate, nel senso che, come genitore, a volte mi chiedo come si ripercuotano sui figli le nostre imposizioi, dritte, anche errori. E mai vorrei leggere parole del genere a me indirizzate! Per l'epoca e l'ambiente in cui crebbe Kafka, sono certa che il padre abbia ritenuto, per carattere ed educazione, che quello fosse il modo giusto e indiscutibile di tirare su un figlio, il figlio maschio per giunta. E certo il lavoro, il matrimonio e i figli erano i gradini obbligati della vita ordinata e socialmente accettabile. Accettabile dal padre. Ho sempre pensato che la tristezza, la solitudine di Kafka si legassero, più che al non sapere cosa volesse da lui l'autorità, al rendersi conto di volere Altro, un qualcosa d'altro che non era codificato e accettato. Non so se riesco a spiegarmi; Franz voleva ciò che vogliamo tutti: amore, credo anche una vita di coppia, certamente ne aveva una visione precisa che si è realizzata nei brevissimi e felici ultimi mesi di vita; voleva scrivere, ma tutto ciò in modi e tempi che non avevano nulla a che fare con ciò che per il genitore era "giusto". Scrivere, certo, non rientrava nelle attività maschili e decorose per guadagnarsi da vivere... Ha provato a seguire il solco paterno, ma qualcosa lo ha sempre trattenuto - mi viene da pensare che ci voglia una grande onestà e anche del coraggio per fare sfumare due matrimoni, dopo fidanzamenti ufficiali, in un'epoca in cui questo cerimoniale era comunque pesante e vincolante agli occhi altrui;voglio dire che può essere stato un modo per mantenersi fedeli a se stessi e non sottomettersi ad una volontà paterna sentita come estranea... Un modo per tracciare la propria via, la propria regola, se vuole...
 
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