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E' stata la madre. L'ho capito dal maglione'. Clinica de noartri sul caso stival

Post n°155 pubblicato il 12 Dicembre 2014 da cpeinfo

Leggendo vari articoli e commenti sull'omicidio di Stival, noto che si vanno pericolosamente ingrossando le fila
degli opinion-articolisti i quali, mancando quasi sempre delle minime ( e necessarie) nozioni di clinica differenziale,
producono un dire che sconfina, involontariamente, in una sorta di giustificazionismo a-critico involontario, o forse no, sparando cartucce retoriche che sono state risparmiate in tanti altri casi di cronaca ma che vedono in questo caso ( la madre in difficoltà e il sospetto omicidio) un bersaglio elettivo di esibizione, che raffazza elementi teorici presi qua e là, mescolati ad un antico e malriposto spirito di condivisione di una male interpretata idea di ' maternità condivisa', per la quale la difficile condizione di mamma dovrebbe portare chi conosce questo stato dell'essere, a condividerne anzitutto le pene, lasciando per strada quella che è la scelta unica ed irrinunciabile di ognuno di noi. ' Ah, noi che siamo madri, possiamo ben capire cosa sia successo nella mente di quella donna'.

Si propaga in rete un desiderio dell'articolessa da produrre ed esibire per innescare dibattiti generalisti ( giacchè la verità deve ancora essere acclarata), che sconfina a volte in retorica allo stato puro,
altre volte ancora in pseudo psicologismi da quattro soldi gettati li, tanto per dire che ,in fondo, ' qualcosa c'era, lo si poteva scorgere'. Questi articoli, dei quali ci si bea ( hai visto quanti applausi ho pigliato?) sovente rasentano il grottesco, altre volte ancora nascondono notti di letture affrettate di formule cliniche che sono sparate su un fatto di cronaca, così, tanto per scrivere.

In molte di queste prolusioni la donna è , tout court, 'ammalata' ( così è definita la sospetta in un editoriale dell'Huffington Post) .Ritenuta cioè aprioristicamante affetta da una qualche patologia dell'animo senza un benchè minimo appiglio di diagnosi effettuata da chichessia.
E' vittima, ancor prima che carnefice.
Più del bambino, dimenticato tra le righe,

Nessuno , dico nessuno, ancora ha abbozzato un minimo di indagine critica,
solo ci sono in giro stralci presunti della vita della suddetta, dedotti ora da una dichiarazione di un congiunto , ora da ' conversazioni telefoniche'.(!)
In questo modo frasi quali ' quella la era violenta sin da piccola, aveva sensi di persecuzione.. ' viene presa come verità oggettiva, ( 'l'hanno detta senza sapere di essere intercettati, dunque è vero') o come punto diagnostico assoluto ed indiscutibile da masanielli schierati pro o contro, sulla quale fondare la loro arringa e le loro deduzioni.

Quando l'analisi si fa più 'sofisticata' ( sic) allora entra in gioco l'onnipresente 'depressione', o altre sfumature doloroso-patologiche della psiche ( ho letto anche lo stress come primum movens dell'omocidio) , che naturalmente determinano in senso quasi diretto il far fuori il proprio figlio.
Depresso diventa automaticamante omicida.
Una aberrazione diagnostica, un non sequitur, una gran guignol di termini clinici, credenze e adagi popolari.

Ma tant'è.

Non siamo nel campo della dissertazione clinica, quanto in quello del ' trovane una grossa', sul cui piano allora è possibile dire tutto e il contrario di tutto.

Tra le righe, una sequela di cause già trovate ( per un colpa ancora da dimostrare):
' Incapacità di gestire le emozioni', ' mancanza di rete', 'padre non trovato ( e daje! mica poteva mancare il padre assente..).
'Suicidio cercato attraverso la morte del figlio', 'Infanzia difficile e dolorosa'
e altre cose così. Adagi semipopolari che assurgono a causa del crimine, determinismo de noantri.
Criminologia per tutte le tasche.
Non ho ancora sentito 'lo sradicamento territoriale', o il 'vedere la propria femminilità sfiorire nella maternità' o 'il marito troppo preso dal lavoro' tra le spiegazioni dell'agire della mano omicida. Ma so che sono in agguato di penna.
Sono stati usati in casi simili, torneranno fuori.

Ormai tutto è glamour, tutto è espertologia, tutto è baccano mediatico.
Tutto deve trovare una giustificazione clinica.
Anche quando questa o non c'è, o nessuno ancora si è dato da fare per trovarla.

Mi sento di arrogarmi silenzio di chi il mio lavoro lo fa. Nel merito di questo caso, non nel suo dilagare mediatico. Sul quale, infatti, queste cose le scrivo.

Chi si occupa della mente umana, sa bene che esistono delle barriere tra la capacità di intendere e di volere, e la non capacità di farlo.
Che gli stati dissociativi, la psicosi paranoica, il passaggio all'atto non riconosciuto esistono. Esistono eccome.
Ma stanno in luoghi ben precisi. E con altrettanto scrupolo e precisione devono essere accertati.
E, nel caso, usati non per infliggere la pena al malato. Ma per salvarlo dai questi agiti incontrollabili.

Per tutto il resto, si sceglie.
Nella difficoltà, nella tragicità di certe vite.
Nella povertà materiale morale nella quale molte donne versano, si sceglie.
Di vivere o morire.
DI dare la morte,o di non darla.

E su questo che si gioca la responsabilità del soggetto.

Tutto ciò assomiglia , dannatamente, a quel famoso ' crollo emozionale',
o 'sfasamento pulsionale', o ' difetto genetico', formule farlocche con le quali sovente vengono assolti, o quasi, i peggiori energumeni perversi che massacrano le loro donne e le loro figlie.

 

Questa roba viene dalla ia rubrica su Psychiaty on line.it.

 
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