2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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Post n°19 pubblicato il 13 Settembre 2013 da Vilma66
 

Perdono di esistere. Perdono di avere una madre vecchia e invadente, perdono di essere un poveraccio, una pancia affamata con le mani da elemosina. In un mondo civile ed efficiente, quelli come noi dovrebbero affogare, morire ammazzati, nessun diritto alla vita per chi sta sotto un certo reddito. Perdono di non saper badare a te stesso, di non avere una casa, di aver fatto finta che tutto andasse bene solo per non ritrovarti in mezzo a una strada. 

Appoggi sopra il letto le scatole, gli album, i raccoglitori gonfi di carte. Basta un'occhiata per capire che di valige non ne basterebbero cinque e ti domandi perchè si finisca per accumulare tante scartoffie. Se ricordare significa richiamare alla mente quel che abbiamo dimenticato, allora accatastare souvenir è un attentato contro la memoria. E' come mandare a mente una poesia e scordarne il significato a forza di rimasticarla. Conservi una fotografia per non dimenticare un volto e dopo tanti anni ti accorgi che non ti dice più nulla, perchè nel frattempo ti sei scordato la didascalia. Nei musei del mondo, gli uomini si affannano a restaurare gli oggetti, ma il vero danno è quando si perdono le etichette.

Non puoi  sfogliare decine di foto e mettere da parte una  per ogni faccia, una per ogni luogo da ricordare. Non puoi controllare le agende degli ultimi trent'anni e strappare le pagine più importanti, per colmare i vuoti della tua cronologia personale. Come Noè prima del diluvio: non puoi salvare ogni essere vivente sulla terra, l'arca è una sola e non c'è spazio abbastanza. Devi preoccuparti della sopravvivenza della specie, fare in modo che l'avvenire non sia deserto o abitato da mostri. Devi prendere con te i ricordi più fecondi, quelli che con poco sforzo possono rigenerare la memoria. Non le strofe più orecchiabili di un lungo concerto, ma gli accordi bordone nella sinfonia del passato.

La signora Marisa se ne sta sempre di fianco alla finestra, seduta sull'unica poltrona della stanza a sorvegliare i rami di un abete. Non sai perchè lo faccia, ma quando l'occhio ti cade su di lei, pensi che anche tu non vedi l'ora di uscire da queste quattro mura,  ripiene di letti e cattivi odori, di pittura lavabile grigio chiaro, di solitudine e verdure bollite. Eppure una volta fuori non saprai dove andare, e ti ripeti che almeno in Somalia una casa ce l'avevvi, e che sessantacinque anni, lggiù, sono già una bella età per dare l'addio al mondo. Con pochi farmaci e assistenza medica, non sono molti quelli che piegano gli stracci dopo i settanta. Non a caso sei la più giovane della stanza e hai più acciacchi di un'ottantenne. Fin dalla prima sera ti hanno riempito di medicine: una per l'asma, una per l'artrite, una per la diuresi, due per i reumatismi, una per il cuore, una per l'osteoporosi. Ma è l'osteoporosi del tempo la tua malattia peggiore.

Mio zio mi diceva che a forza di leggere gli consumavo tutto il petrolio della lampada, allora io prendevo i miei libri e me ne andavo di fronte al palazzo del governatore, dove c'erano lampioni che stavano accesi per molte ore, mi sedevo lì sotto e finivo di preparare la lezione. Poi tornavo a casa e pensavo a mio padre, in viaggio con i cammelli tra i pozzi della boscaglia. Proprio in una notte come quella, in un viaggio come quello, lui e mia madre mi dissero che io no, non avrei pascolato il bestiame per una vita intera, ma mi sarei fatto onore studiando, perchè il nostro paese aveva bisogno di tutta l'intelligenza dei suoi figli.

Per pagarmi la malinconia del piroscafo dovetti rompere il salvadanaio, vendere tutto l'oro e anche un paio di busti che mi aveva regalato non so più quale scultore. Il porto, promessa di civiltà mille volte rinnovata dai ministri italiani, non era ancora sbarcato dal mondo delle idee, ciò che rese il mio , di sbarco, l'avventura degna di un cosmonauta sovietico. Scala traballante giù dalla murata, chiatta a motore, mare agitato, pontile malfermo e attracco in corsa. La bambola Timira, chiusa nella valigia, credo indovinò lo stesso di essere tornata a Mogadiscio. 

 

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