2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"La regina scalza" di Ildefonso Falcones

Post n°37 pubblicato il 26 Settembre 2016 da Vilma66

Quando si allontanò dal ponte, cominciò a sentirsi osservata. Non aveva soldi per raggiungere Siviglia. Cosa poteva fare? L'uomo del ponte non le aveva detto come procurarseli. A venticinque anni, Caridad non aveva mai guadagnato neanche un soldo. Al massimo, a parte il cibo, i vestiti e un posto in cui dormire, le avevano dato la "fuma", il tabacco che i padroni regalavano agli schiavi per il consumo personale. Come avrebbe potuto guadagnare qualche soldo se, a parte lavorare il tabacco,non sapeva fare altro?

Si mise seduta sulla sponda, lasciando i piedi in acqua. Faceva freddo, ma in quel momento non ci fece caso: non sentiva niente. Avrebbe dovuto provare piacere, forse? Uno dei due uomini gliel'aveva chiesto. Quante volte le avevano fatto la stessa cosa? Anche il padrone l'aveva fatto, quando era solo una "bozal", una bambina appena strappata dalla sua terra. Allora non aveva nemmeno capito cosa le stesse chiedendo quell'uomo viscido, che l'aveva toccata ovunque prima di deflorarla... "Ti piace?" le chiedevano la domenica, durante i balli, quando uno schiavo la prendeva per un braccio e la portava fuori dalla baracca, dove altre coppie stavano fornicando. Poi riprendevano a cantare e a ballare, in attesa di essere posseduti dai loro dei.  A volte lo rifacevano. No, non le piaceva, in realtà non provava niente: il cuore glielo avevano strappato, un pezzo dopo l'altro,quella prima notte, quando il padrone l'aveva violentata. 

Melchor socchiuse gli occhi. Una delle nuvole che si erano accanite a oscurare Siviglia per l'intera giornata aprì un varco a un debole raggio di luna. Fu allora che per terra, a qualche passo di distanza, scorse una macchia grigiastra. Avanzò e si accovacciò, fino a distinguere una donna vestita di grigio, nera come la notte. Era seduta con la schiena contro un albero, come in cerca di un riparo. Aveva lo sguardo fisso, indifferente alla sua presenza, e continuava a canticchiare a bassa voce quella nenia, ripetendo lo stesso ritornello... Le si sedette accanto. Non capiva ciò che diceva, ma la voce stanca, rassegnata e monotona  lasciava trapelare un dolore immenso...La tristezza e la malinconia  di quel canto lo avevano riportato, per l'ennesima volta, ai remi della galea. Acqua. Quante volte anche lui aveva implorato la stessa cosa? Gli sembrò di sentire i muscoli delle gambe, delle braccia e della schiena che si tendevano, come quando l'aguzzino aumentava il ritmo della voga durante l'inseguimento  di una nave corsara. Il suo fischio lacerante gli spaccava i timpani mentre la frusta gli strappava la pelle dalla schiena nuda per spingerlo a remare con sempre maggior forza, in uno strazio che poteva durare per ore. Alla fine, con i muscoli sul punto di scoppiare e la bocca secca,  dalle file di banchi saliva una sola supplica: acqua!

Gli invitati dei conti, francesi o inglesi che fossero, rimasero a bocca aperta quando Ana , accogliendo la sfida della figlia, agitò voluttuosamente i fianchi. Milagros, ridendo, la imitò. Nel buio, sulle acque del Guadalquivir tremolanti d'argento, alla luce delle fiaccole sparse nel giardino, tra caprifogli e belle di notte, aranci e limoni,  le chitarre cercarono di tenere il ritmo frenetico imposto dalle donne; mentre i palmi picchiavano con forza, i "bailaores" vennero travolti dall'audace sensualità con cui madre e figlia danzavano la sarabanda. Alla fine, madide di sudore, Ana e Milagros si strinsero in un abbraccio silenzioso. Sapevano che era solo una tregua, che il ballo e la musica spalancavano un altro mondo, un universo dove i gitani scappavano dai loro problemi.

Dopo l'ultima frase sulla spiaggia, Melchor non aveva più proferito parola,e ora Caridad camminava tenendo gli ochhi fissi sulla  sua schiena. Il gitano l'aveva trattata bene, l'aveva rispettata, le aveva regalato i vestiti rossi e l'aveva anche difesa, più di una volta, ma perchè non l'aveva frustata? lo avrebbe preferito. Con la frusta, la cosa era conclusa: si tornava al lavoro fino allo sbaglio successivo, alla successiva esplosione di rabbia del sorvegliante o del padrone, così, invece... Guardò la giubba di seta celeste del gitano, e le parole della canzone che intonava le morirono in gola.

"Quello che ha fatto la piccola è solo colpa vostra". "Di tutti voi. Avete messo radici e lavorate per i payos, addirittura vi sposate in chiesa e battezzate i vostri figli per entrare nelle loro simpatie. C'è perfino chi va a messa! Ben pochi di voi, ferrai di triana, percorrono le strade e vivono nella natura come facevano i nostri avi, come fa la nostra gente, mangiando ciò che la terra produce spontaneamente, bevendo l'acqua dei pozzi e dei ruscelli, e dormendo sotto le stelle in nome di una libertà che è sempre stata la nostra unica legge. Perciò, allevate figli deboli, irresponsabili,come quelli dei payos, bambini che ignorano la legge gitana, non perchè non la conoscono, ma perchè non la vivono nè la sentono"..."E cosa dovremmo fare Maria?" la giustizia arresta nelle strade chi indossa i nostri costumi tradizionali e vive come facevano gli avi di cui parli. Sai bene che per il solo fatto di essere nati gitani siamo considerati malviventi..."

Ana non aveva mai sentito suo padre intonare il "lamento del galeotto". Melchor non l'aveva più cantato, da quand'era tornato in libertà. Perciò, non appena il primo gemito, lungo e lugubre, invase la sera,  la donna si lasciò cadere a terra come lui. Milagros si sentì accapponare la pelle: non aveva mai ascoltato niente di simile; nemmeno le toccanti deblas della Trianera reggevano il confronto. La ragazza sentì un brivido, cercò il contatto con la madre posandole le mani  sulle spalle, e un attimo dopo Ana le sfiorò le dita con le sue. Melchor cantava senza parole, intrecciando lamenti e gemiti dal timbro grave, incrinato, roco; il suono cupo della morte. Le due gitane erano immobili, chiuse in se stesse, mentre quel canto indefinibile, profondo e intenso, meraviglioso nella sua tristezza, le colpiva al cuore. Caridad, da parte sua, sorrideva. Lo sapeva: tutto ciò che Melchor  non riusciva a dire a parole lo esprimeva attraverso la musica; come lei, come gli schiavi.

Melchor si ritrovò ad avvicinarsi a lei con una delicatezza che non aveva mai usato con nessun'altra donna, come se temesse di farle del male. Caridad si abbandonò ai suoi baci e alle sue carezze, e a quel piacere a lei del tutto sconosciuto; scoprì che il suo corpo nascondeva migliaia di punti ansiosi di rispondere  al contatto delle dita di lui. Si sentì finalmente amata. Melchor l'amò con passione; le parlò con dolcezza. Lei pianse, e il gitano rimase interdetto prima di capire che quelle lacrime non erano di dolore. Le sussurrò all'orecchio frasi che la fecero sciogliere di passione, e Caridadsi ritrovò ad ansimare e a ululare come una lupa nel bosco.

Davanti alle donne e ai loro figli, Ana scoprì la schiena per il carceriere; nonostante avesse scapole, colonna vertebrale e clavicole sporgenti, i molti castighi che aveva subito a Malaga erano ben visibili. La frusta schioccò in aria e la gitana strinse i denti. Tra una frustata e l'altra, cercò con lo sguardo Salvador, che era in prima fila, come sempre. Con i pugni e la bocca serrati, il piccolo chiudeva gli occhi ogni volta che il cuoio feriva la schiena della gitana. Ana si sforzò di sorridergli per tranquillizzarlo, ma sulle sue labbra non apparve che una smorfia innaturale. Le lacrime che vide correre sulle guance del piccolo la ferirono più delle scudisciate. Salvador aveva scelto lei come sostituta della madre morta, e Ana aveva riversato su di lui quell'affetto che tutti sembravano volerle strappare.

Quante altre volte Pedro vendette sua moglie, in quell'anno scarso? Cinque , o forse sette volte. Sapendo che la situazione poteva precipitare da un momento all'altro, che i ricchi madrileni avrebbero dimenticato la Scalza quando i pettegolezzi sul suo conto si fossero estesi ai loro circoli di amici e godere del suo corpo avesse smesso di essere motivo di vanto, Pedro la vendette al miglior offerente. La gitana cercò rifugio nella figlia: Marìa era tutto quel che le restava. Abbracciava la bambina, calmandone il pianto, canticchiandole motivetti all'orecchio con voce rotta, accarezzandole i capelli finchè la piccola non si addormentava e lei restava a cullarla per ore. Imparò ad accogliere le sue risate fingendosi a sua volta allegra, e a partecipare ai suoi giochi con entusiasmo, persino quando, per tutto il giorno, continuava sentire il tocco disgustoso della mano di individuo ributtante tra le gambe, sui capezzoli... o sulle labbra.

Costretta a prostituirsi a suon di botte, privata della figlia, controllata ovunque andasse, Milagros diventò una donna vuota, sconfitta, silenziosa, indifferente a tutto; Bartola non poteva più fare niente per nascondere i suoi occhi infossati, cerchiati da occhiaie scure, quando doveva portarla a teatro.

Attaccò con un sussurro che poco a poco guadagnò forza per diventare un lamento lungo e profondo capace di rieccheggiare perfino in cielo. Caridad sentì un brivido correrle lungo la schiena e tremò tutta, l'emozione a fior di pelle. Milagros abbracciò la madre per non cadere. nessuna delle tre accompagnò il suo canto, rapite come erano dall'incantesimo di una voce rotta che si mescolava alla brezza per volare in cerca della libertà. "Cantate nonno", sussurrò Milagros. "Cantate finchè la vostra bocca non saprà di sangue."

 

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