2 passi tra le righe

Frasi rubate qua e là... di VILMA REMONDETTO

Creato da Vilma66 il 16/09/2012

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"Il profumo del caffè" di Antony Capella

Post n°36 pubblicato il 28 Aprile 2016 da Vilma66
 
Foto di Vilma66

Se il dolore fosse un caffè, si dice Emily a volte, riuscirebbe a elencarne i molti sentori. Il crepacuore naturalmente, che però è solo una delle emozioni che prova in questo momento. C'è l'umiliazione, la consapevolezza di aver fatto la figura della stupida per la seconda volta in vita sua. Suo padre e Ada le vogliono troppo bene per ribadire "te l'avevo detto", ma gliel'avevano detto davvero, e lei li aveva ignorati: adesso capisce che avevano sempre avuto ragione riguardo a Robert. Fallimento: si sente sciocca, inutile, incompetente. Come può pensare di cambiare il mondo quando non è neanche capace di scegliersi un marito? Collera. Come ha osato? Tradirla in quel modo, scrivendole due righe, come se stesse cancellando l'abbonamento a un giornale. Ma la brevità elegante e glaciale della lettera, si rende conto, faceva parte del messaggio. Solitudine: sente la sua mancanza, farebbe di tutto per farlo tornare da lei. Ricorda i pomeriggi ad assaggiare caffè nell'ufficio di suo padre, gli aggettivi che rimbalzavano tra loro come frasi musicali, un duetto, un linguaggio privato sensuale che comunicava molto più del sapore del caffè. E poi c'è un emozione per la quale non ci sono parole, o almeno lei non le conosce: la terribile privazione di un desiderio fisico che ora resterà inespresso per sempre. Si sente un personaggio grottesco, deforme, menomato, una vecchia zitella in potenza. 

Era come se l'assenza stessa del caffè fosse racchiusa in quel  goccio di liquido.Ceneri ardenti, fumo di legna e braci annerite dal fuoco mi danzarono sulla lingua, mi si trattennero in gola prima di arrivarmi direttamente al cervello. Eppure non era acre. Aveva una consistenza di miele o melassa, con una sorta di dolcezza rbiscottata che indugiava a lungo in bocca, come il cioccolato più nero, o il tabacco. Finii la tazzina in due sorsate, ma il sapore sembrò accrescersi e farsi più intenso anche dopo.

Eppure, eppure... Ogni sera, al calar delle tenebre - in quelle notti equatoriali assurdamante anticipate, col buio che avviluppava la giungla come una coperta - i martin pescatori e i pappagalli attraversavano fulminei il tramonto, le scimmie colobo si dondolavano pigre dai rami degli alberi sopra di noi, e le lucciole cadevano dal cielo come per magia. Io e Fikre mangiavamo insieme, con la lampada a kerosene per compagnia. Era difficile non avvertire un senso di soddisfazione in quei momenti. Qualunque cosa avessi previsto quando ero stato cacciato da Oxford, mai, neppure nei sogni più folli, avrei immaginato qualcosa del genere.

Ora che eravamo finalmente insieme, pareva quasi che nessuno dei due volesse fare il primo passo. Mi preparò il caffè - il caffè delicato e fragrante dellle zone rurali - come aveva fatto nel deserto, puntando su di me uno sguardo solenne mentre bevevo la prima tazza... Profumava di caffè: quel sapore era in ogni bacio, il profumo dei forni di torrefazione le si annidava nei capelli. Le sue mani erano caffè; le sue labbra erano caffè; era nell'aroma della sua pelle e dell'umore acqueo che le si raccoglieva agli angoli degli occhi. E anche tra le cosce scure, dove la carne le si apriva come una successione di petali per rivelare l'interno roseo profumato di caprifoglio, trovai un chicco minuscolo, un bottoncino di carne dura che sapeva di caffè. Me lo misi in bocca e cominciai a mordicchiarlo; come per magia, anche dopo che avevo finito di divorarlo lo ritrovavo lì.

"La foresta può ricrescere, ma non si può difendere dal prossimo uomo bianco che verrà con l'intenzione di raderla al suolo per piantare semi in file ordinate. Possiamo dirgli che le sue piante moriranno, che i facoceri mangeranno i semi e il sole brucerà i loro germogli, ma l'uomo bianco non ci ascolterà, perchè è quella la sua natura". 

Un estraneo potrebbe pensare che mi stanno onorando: sono lì seduto sulla mia sedia da campo come un re sul trono, e loro mi sfilano davanti rendendomi omaggio. Sono io invece a sentirmi umiliato, a chinare il capo davanti a ciascuno, con le mani giunte, le lacrime agli occhi, e ripeto senza stancarmi: "Galatoomi, galatoomi". Grazie.

Il movimento militante per il suffragio femminile - la Causa, come la chiamavano loro - stava ormai crescendo rapidamente... Emily e le sue compagne di lotta trascorrevano lunghe ore nella stanza sul retro a discutere di tutto: la costituzione, questioni etiche, la distinzione tra azioni legittime e quelle che non lo erano, proposte su come procedere... Certe volte mi veniva da pensare che il loro fosse un entusiasmo vuoto, un'avventura da ragazzine. Poi, però, alla fine delle interminabili riunioni, si infilavano il cappello, allacciavano gli stivali e, invece di salire sull'omnibus che le avrebbe portate a casa, andavano da sole o in coppia a scrivere slogan con secchi di vernice bianca su edifici del governo, o a tappezzare i muri con i loro manifesti. Molly, Geraldine e le altre non erano più "angeli del folcolare", ma angeli vendicatori. Quelle spedizioni serali, lo ammetto, mi lasciavano molto perplesso. Mi era stato inculcato fin dalla tenera età che le donne erano creature fragili,ed era un'idea che non riuscivo a scrollarmi di dosso.

 

 
 
 
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