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Università: il peggio deve ancora venire.

Post n°383 pubblicato il 27 Maggio 2011 da VoceProletaria

Le proposte di Ichino & co. sull’Università

Di Roberto Ciccarelli
Il Manifesto,  20.05.2011

 Vogliono contrastare la crisi che affligge l'università e stringeranno il cappio al collo del condannato. Mercoledì 18 maggio un gruppo di senatori bipartisan (Pd, Udc, Fli e Api) ha presentato un'interrogazione al governo in cui chiede di aumentare le tasse universitarie sul modello britannico che dal 1998 ad oggi ha sfondato il tetto delle 9 mila sterline all'anno (10.324 euro) provocando l'insurrezione degli studenti.
La lista dei firmatari è lunga, ma vale la pena scorrerla per capire chi sono i «riformatori» che vogliono spingere gli studenti a indebitarsi per tutta la vita e ritengono che questo sia l'unico modo per accedere all'istruzione pubblica universitaria venendo meno a tutti i principi costituzionali.
La squadra del PD, partito anarchico per eccellenza quando si parla di università, mette in campo nomi del calibro di Pietro Ichino, Stefano Ceccanti, Ignazio Marino, Nicola Rossi e Tiziano Treu. C'è l'indomito finiano Giuseppe Valditara. Chiude il plotone Adriana Poli Bortone di «Io Sud», insieme a Francesco Rutelli dell'Api.
I senatori elencati sono quasi tutti professori ordinari e non hanno mai mancato di lodare le virtù della riforma Gelmini. La loro intemerata nasce sotto l'ombrello dell'osservatorio Università «oltre la Gelmini» del gruppo 2003, un'associazione che auspica la competizione fra gli atenei e vuole premiare il merito «senza penalizzare i più poveri». Tra i soci fondatori e quelli ordinari di questa piccola lobby ci sono alcuni scienziati le cui ricerche registrano un alto numero di citazioni nel data base dell'Isi. Tra gli oltre 50 nomi presenti nel board dell'associazione spuntano quelli del presidente dell'Inaf Tommaso Maccacaro, del chimico Luigi Nicolais (PD) e del fisico Giorgio Parisi. Grande è stato lo sconcerto tra gli osservatori, molti dei quali oggi si domandano se anche questi scienziati condividano lo spirito, e i contenuti, del progetto.
Il testo dell'interrogazione è ideologico anche quando confessa di cercare una possibile mediazione tra il «polo Alfa» rappresentato dall'università italiana (tasse basse, irresponsabilità degli studenti e bassa qualità media degli atenei) e il «polo Omega» dell'università britannica (tasse alte, sbarramento monetario all'accesso, divisione e competizione tra atenei ricchi e poveri).
Non è nuova questa ricetta sulla quale insistono da tempo Gianfelice Rocca, vice presidente Confindustria, i consiglieri del ministro Gelmini, oltre che uno stuolo irrequieto di parlamentari Pd che difendono le tesi del riformismo neo-liberista elaborato sui quotidiani del gruppo Rcs dagli editorialisti della Bocconi.
Il principio è: governare gli atenei pubblici secondo le regole della governance aziendale e imporre agli studenti il peso di un debito che non riusciranno a ripagare.
Chi, nell'Italia con il 30 per cento di disoccupazione giovanile, riuscirà a raggiungere un reddito di 30 mila euro per ripagare il suo debito formativo? Barack Obama è riuscito a farlo solo dopo avere pubblicato la sua auto-biografia da presidente degli Stati Uniti.   In questo paese negli ultimi 33 anni le tasse sono aumentate di oltre il 900 per cento e il 96% degli studenti si accolla un prestito che dopo quindici anni il 40% non è ancora riuscito a estinguere.
I senatori bipartisan chiedono infine di trasformare il «Fondo per il merito» in una «Fondazione per il merito» con una dotazione iniziale di 9 milioni. A questo carrozzone verrebbero concessi in comodato beni immobili facenti parte del demanio e del patrimonio statale.


Università: il peggio deve ancora venire

di Francesca Coin,  Rete 29 Aprile

Si prova un senso di orrore nel leggere l'interrogazione ai ministri dell'Economia e dell'Istruzione presentata il 18 maggio 2011 dai Senatori Ichino, Ceccanti, D’Alia, Germontani, Leddi, Marino, Morando, Poli Bortone, Rossi, Rusconi, Rutelli, Tonini, Treu, Valditara.
Ispirato al Rapporto Browne dell’Inghilterra, il testo appare come un tentativo nemmeno troppo pudico di pianificare l’indebitamento di massa di un’intera generazione in età pre-lavorativa al fine di esternalizzare su studenti e famiglie il finanziamento dell’università pubblica.
 “L’interrogazione che abbiamo presentato si ispira essenzialmente a questa idea”, recita il documento: “Il sistema universitario Italiano è al collasso finanziario per gli effetti combinati delle politiche sovente sconsiderate di assunzione da parte degli atenei […] e dei recenti tagli indiscriminati effettuati dal Governo” (premessa, peraltro, già tutta da dimostrare, visto che la politica di assunzione italiana è stata tanto sconsiderata da portare ad uno dei livelli più bassi nel numero di docenti per studente).
Dato tale collasso ¬ al quale i proponenti sono certamente estranei ¬ i suddetti propongono al Ministero di sperimentare in Italia il modello Browne, lo stesso che lo scorso autunno in Inghilterra ha scatenato un’insurrezione studentesca. Com’è noto, il Rapporto Browne, elaborato tra il 9 Novembre 2009 e il 12 ottobre 2010, alza a 9.000 sterline la retta universitaria annua per studente e propone agli studenti meno abbienti di pagarne i costi avvalendosi di mutui bancari con interessi al 2,2%.
 Sino al 1 settembre 2004, era possibile per gli studenti inglesi inadempienti dichiarare bancarotta, e cancellare il debito: così prevedevano le linee guida dell’Insolvency Service secondo il quale i debiti studenteschi contratti per godere di un diritto potevano essere cancellati in caso di bancarotta. Quando i casi di bancarotta sono aumentati, passando da 276 nel 2002 sino a 899 nel 2004 come effetto della crisi occupazionale, l’allora ministro dell’istruzione Alan Johnson ha proposto e ottenuto che i debiti studenteschi rimanessero responsabilità del contraente. E’ così che da qualche anno l’esternalizzazione dei costi statali sugli studenti e le loro famiglie è sfociata in un indebitamento di massa.
 Il debito studentesco in Inghilterra, Giappone, Stati Uniti e Canada è in costante crescita. In Giappone, scrive Norihito Nakata, la maggioranza degli studenti è costretta ad avvalersi di prestiti con interesse: minori sono i mezzi, infatti, e maggiore è il tasso di interesse che la banca impone ai giovani contraenti. Spesso, prima ancora di trovare un lavoro, molti studenti giapponesi hanno così accumulato un debito di circa 10 milioni di yen (circa 86 mila euro).
In riferimento a questa inevitabile deriva, i sopracitati senatori del Pd (da cui Meloni ieri si è dissociato) fanno al Governo alcune squisite proposte, ovvero chiedono letteralmente se il governo consentirebbe “la sperimentazione anche in Italia di una soluzione simile a quella adottata oltre Manica”. Nel tentativo di pianificare un modello di indebitamento programmato degli studenti, propongono così una visione interessante: poiché il rischio congiunto di indebitamento e disoccupazione porterà “gli studenti a scegliere le università migliori, ossia quelle la cui qualità consentirà di ripagare il costo dell’investimento effettuato”, la corsa all’investimento educativo come prerequisito per un lavoro redditizio stimolerà “una competizione tra gli atenei per migliorare la qualità della loro offerta formativa”.
 Se da un lato questo consentirebbe il totale disimpegno statale nel finanziamento pubblico all’università riversandolo sulle tasse, dall’altro la necessità di scegliere le università migliori acuirebbe la competizione tra atenei virtuosi e atenei di secondo livello, e comporterebbe l’obbligo di massimo impegno per chi vi lavora: assegnisti, docenti, ricercatori precari e non. Anche gli studenti sarebbero chiamati alla responsabilità: non è detto, infatti, che tutti debbano studiare: “al fine di stimolare gli atenei alla migliore selezione degli studenti”, è bene introdurre “una disposizione che autorizzi lo Stato a rivalersi sugli atenei che facessero registrare una frazione troppo elevata di studenti inadempienti rispetto all’obbligo di restituzione del mutuo”.
 In altre parole, gli studenti privi di mezzi, in quanto contraenti a rischio, dovranno essere selezionati con la massima cautela affinché il loro desiderio di formazione non vada a detrimento dello stato. Ecco che questo documento (della peggior specie nella sua candida deriva classista) è non solo illuminante nel suo intento di esternalizzare debiti antichi sui ventenni, ma è potenzialmente incostituzionale nel trasformare l’istruzione in un diritto selettivo: gli atenei, tant’è, non dovranno istruire tutti, ma solamente gli studenti meno esposti al rischio di insolvenza, pena una disposizione punitiva nei  loro confronti. E non è finita qui.
 Lo scorso 13 maggio, infatti, il governo ha approvato il decreto Sviluppo (DL 70) che prevede, all’art. 9, l’istituzione di una Fondazione che attribuisce al Ministero dell’Economia la gestione del Fondo per il Merito istituito dalla Legge Gelmini. La riduzione del fondo per le borse di studio di più del 90% non era sufficiente: il diritto allo studio viene ora governato dalle disponibilità contingenti di una Fondazione a vigilanza stretta del Ministero dell’Economia, con il pregio oramai noto di introdurre spazi d’autonomia nella gestione del denaro pubblico.
 Un recente articolo di Malcolm Harris<http://www.internazionale.it/la-bolla-universitaria> osserva scrupolosamente le conseguenze di tali meccanismi negli Stati Uniti. Ora che i prestiti agli studenti hanno superato le carte di credito come maggiore fonte di debito del paese, più del 30% dei debiti sono convertiti in titoli negoziabili garantiti dal Governo Federale chiamati Slabs. E “poiché gli studenti non possono dichiarare bancarotta, i creditori possono reclamare stipendi, contributi previdenziali e perfino indennità di disoccupazione. Se uno studente non paga, l’agenzia di garanzia, anche se è stata rimborsata dal Governo Federale […] è incoraggiata a perseguitare gli ex studenti fino alla tomba”. Insomma, stando alle proposte dei senatori, per meritarsi un’istruzione gli studenti dovranno ipotecarsi la vita. Torna in mente quello che è avvenuto in Inghilterra in autunno. E una domanda: cui prodest?

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
lavoratore il 01/06/11 alle 17:40 via WEB
Piantatela di rompere i coglioni. Andate a lavorare pezzi di merda.
 
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