Nomi. Foglie nel vento… così leggeri, e privi di sostanza… sospinti dal vento gelido e inarrestabile del tempo, sempre più lontani, remoti, indistinti…
Questo sono i nomi nella mia memoria. E, più passa il tempo, più si fanno sfocati e distorti, sino a venire cancellati del tutto.
Così è per il nome della città in cui sono nata… non una ma due volte. Non lo rammento… è troppo lontano, separato dall’abisso incolmabile di tempo composto da dieci lunghi anni… neppure un’enormità, eppure sembrano un baratro profondo che divide inesorabilmente la mia vita passata e quella presente… la vita dolce e innocente, della mia lontana infanzia, e quella attuale… una cruda realtà di carne e sangue…
L’unica cosa che ricordo è che la mia città natale dovrebbe trovarsi negli Stati Uniti… nelle vicinanze di Washington. O almeno credo… Perché il sangue che mi è servito da sostentamento in questi dieci lunghi anni sembra una coltre compatta e pesante, che copre il mio passato come un velo purpureo…?
Una piccola città di provincia come tante… villette piccole e grandi, piscine private, palizzate bianche che cintano verdi giardini tagliati all’inglese…
Nient’altro. Ricordi sfocati... sensazioni… colori… rumori... ed odori. Ricordo ancora il profumo intenso e dolce delle rose che crescevano sul retro di casa mia… un piccolo roseto che s’inerpicava sul muro proprio sotto la mia finestra. L’aveva coltivato mia madre, e durante le serate estive il profumo delicato delle rose s’insinuava nella mia stanza come un velo profumato…
Curioso… non ricordo il nome di mia madre, ma rammento alla perfezione il profumo dolce delle rose… e la sua passione, mai estinta, per i fiori in generale.
Che cosa sono ora? Non una ragazza… ho perso quello stato dieci anni fa, insieme alla mia umanità. Una donna? Neppure… il mio corpo è ancora quello di una sedicenne, nulla di più…
Questo rivangare nel passato mi turba. Non mi ero mai posta simili domande prima d’ora… lui direbbe che è inutile, ed anche dannoso per me. Quante volte mi ha messa in guardia contro la pazzia che divora quelli della nostra razza che cedono alla malinconia dolce e remota dei ricordi…
Forse è per questo che ha esitato parecchio prima di rivelarmi il suo passato. Lui aveva paura… solo ora me ne rendo conto. Era terrorizzato… all’idea di impazzire, di perdere la ragione nel labirinto oscuro ed inquietante del suo passato… e come posso biasimarlo? Un intero secolo dietro di sé… e io, che dopo soli dieci anni mi tormento con futili domande senza risposta…
Mi lecco piano le labbra aride. Sangue… ho bisogno di sangue… questa caccia si sta prolungando troppo. Posso sentire la mia pelle, serica e delicata, raffreddarsi per la mancanza del sangue caldo che scorre nelle vene… Così fredda dopo un giorno di sonno, di digiuno… e così calda, quasi febbricitante, dopo che le mie labbra hanno sorbito la vita di un soffice essere umano… così morbido e caldo… un brivido d’eccitazione mi scorre lungo la spina dorsale, al pensiero. Il sangue è come una droga ormai… ogni notte ne cerco, per provare di nuovo quell’estasi che mi coglie ogni volta che lo sento scorrere sulle mie labbra pallide…
Prima non era così. I primi anni della mia vita immortale, intendo. Potevo resistere interi giorni, persino una settimana a volte, prima che il desiderio spasmodico di sangue mi cogliesse come una pugnalata alle spalle. Sangue… ferroso, salato, afrodisiaco… sangue…
***
Rimasi in quella stanza per un giorno intero, sentendo la luce calda del sole scivolarmi sulla pelle fredda, raggelata dalla notte invernale. Dopo un istante d’attonito stupore, mi affrettai a scivolare sul letto ed a rannicchiarmi in una posizione più comoda; impresa piuttosto difficile a causa delle manette che mi legavano alla testata di legno massiccio. Tentai più volte di tirare le manette verso di me, nella folle speranza di svellerle o di sfilare la mano da esse. Inutilmente; l’unico risultato furono lividi violacei sul polso delicato.
Il sole scivolò piano nel cielo e la sua luce lasciò il mio corpo dopo poco tempo, mentre il grande e luminoso disco dorato si alzava oltre i grandi palazzi, nascondendosi dietro gli imponenti edifici di metallo.
Ristetti immobile a lungo sul letto, sentendo la polvere levarsi piano dal materasso di piume ed irritarmi le narici, ascoltando i rumori dapprima lievi e poi sempre più intensi della città che si risvegliava, mischiati a quello soffocato del mio respiro. I miei pensieri correvano… s’inseguivano, senza giungere ad una conclusione ma continuando nella loro folle corsa come un cane che si morde la coda, mentre riparavo il viso tra le braccia.
Avevo paura.
Era ovvio, infondo… ma non per questo più semplice da accettare.
Nonostante tutto, ero una ragazza caparbia; il sentirmi così inerme, priva di qualsiasi controllo sulla mia vita m’infastidiva enormemente… e la paura non faceva che aumentare la mia irritazione. Neppure su quel sentimento, inutile e dannoso, avevo un qualsiasi controllo; la cosa m’indispettiva, e passai diverso tempo nel futile tentativo di eliminare il terrore sconvolgente che mi serrava l’anima in una morsa.
Ovviamente, ero perfettamente conscia del fatto che sarei rimasta da sola nella stanza fino al seguente crepuscolo… la fuga stessa del vampiro dinanzi alla luce intensa del sole era un’ulteriore prova della sua antica natura.
Mi chiesi se qualcuno sarebbe entrato, prima o poi, nella stanza… chissà, forse era fuggito; oppure il padrone dell’appartamento sarebbe entrato per controllare… Speranze vane, a cui mi aggrappai disperatamente. Sapevo che lui non era fuggito… e che non mi aveva neppure abbandonato. Mi aveva soltanto lasciato sola per qualche tempo… nell’attesa della sera seguente. E poi sarebbe tornato da me…
Colsi un’attesa eccitata nella caotica ed esplosiva miscela di sensazioni che si agitavano nella mia anima. Con furia, tentai di negare l’evidenza prima di rassegnarmi. Desideravo rivederlo… ed il pericolo, la letale grazia ferina che traspariva della sua intera figura non faceva che accrescere la mia attrazione per lui. Volevo risentire le sue labbra sfiorarmi la pelle, in quella maniera eccitante e sensuale che solo lui riusciva a dare vita…
Me ne vergognai profondamente; era un vampiro… poche ore prima avrei riso dinanzi all’idea. Ora al contrario anelavo spasmodicamente il suo tocco… la sua presenza…
Solo dopo diverse ore sentii il morso della fame; mi tesi verso il piccolo tavolo di legno scuro accanto al letto, trangugiando famelica il cibo che mi aveva lasciato. Non pensai a controllare le etichette, accertandomi della data di scadenza; divorai gli spuntini velocemente, mentre cercavo di trovare una soluzione a quello stato di cose per nulla rassicurante. Aggrottai la fronte, piluccando lentamente le briciole di una piccola torta al cioccolato. Per quanto tempo mi avrebbe tenuto in vita? La risposta era ovvia. Finché fossi riuscita a tenere vivo il suo interesse… e dovevo tentare di stuzzicarlo il più a lungo possibile. Dopo di ché… mi avrebbe ucciso, sicuramente. Le speranze di un’eventuale liberazione erano molto esigue.
Trangugiai in fretta una bibita, appoggiando il capo sul letto, i morbidi capelli castani disposti a raggiera intorno al mio viso. Il sole stava scendendo lentamente… potevo vedere chiaramente il cielo perdere la luminosa tonalità azzurra del giorno per acquistare quella pallida e purpurea del crepuscolo. Tra poco si sarebbe destato…e sarebbe tornato da me. Strinsi le labbra, nell’avvertire l’eccitazione causata da quell’idea, unita ad un bizzarro calore al ventre. Volevo rivederlo… Sorrisi amaramente all’idea. Ero caduta nella sua trappola come una sciocca… in quell’istante, capii il metodo di caccia dei vampiri con una chiarezza che lo avrebbe lasciato sorpreso, se fosse stato presente. L’attrazione… utilizzavano la loro ammaliante e seducente bellezza per stregare le vittime, rendendole inermi e pronte a tutto per un solo, eccitante bacio… ero disgustata dalla facilità con cui lui era riuscito ad ammaliare anche me.
Scivolai a terra, un braccio grottescamente alzato verso l’alto, legato al letto dalle manette. Sfilai un vecchio pitale da sotto il letto, svuotando la vescica; aveva superato il mio frettoloso esame, che l’aveva trovato impolverato ma sufficientemente pulito, e non avevo esitato ad utilizzarlo. L’idea di urinare sul pavimento o sul letto non mi attraeva affatto.
Il sole scese sull’orizzonte, ed il cielo perse persino la tonalità purpurea del crepuscolo acquistandone una più cupa e scura. Nella sottile striscia di tenebre che riuscivo a scorgere dalla stanza, brillarono le prime stelle.
E lui venne. A notte inoltrata; avevo appena udito i lenti rintocchi del campanile. Uno… due… cupi battiti ridondanti. Come sono chiari e definiti nella mia mente… è bizzarro; ricordo particolari insignificanti mentre cose ben più importanti sono sepolte sotto strati di sangue carminio…
Non riuscivo a dormire; mi ero assopita durante il giorno, il viso bagnato dalla luce dorata del sole.
Sentii il lieve cigolio della porta che si apriva… inquietante quasi, mentre lui si avvicinava piano a me nel silenzio cupo della notte… senza produrre il minimo rumore sul pavimento impolverato.
Mi fissò, i grandi occhi azzurri che sembravano neri alla luce pallida e fioca dei lampioni.
Un lieve clangore lontano; un miagolio furioso, seguito da un latrare secco e fastidioso. Poi di nuovo silenzio. Cupo, opprimente silenzio che mi schiacciò sotto le sue fitte maglie.
Non lo vidi avvicinarsi a me; sentii soltanto il suo respiro lieve sul viso, mentre mi prendeva il mento tra le mani e mi costringeva a fissarlo negli occhi, scure pozze di tenebra nella fitta penombra. Sentivo le sue mani sulla pelle del mento… erano morbide, incredibilmente morbide, e calde. Con un improvviso lampo d’intuizione, capii che si era già cibato a sufficienza…
Mi parve di distinguere una lieve nota di rammarico nei suoi occhi; quanto a me, il respiro era accelerato dall’eccitazione, ed il cuore batteva furiosamente mentre agognavo disperatamente un contatto più intimo, più profondo… mentre desideravo, coscientemente e con un’intensità tale da spaventarmi, lui…
Mi fissò per diverso tempo, ma la staticità fatata di quel momento m’impedì, allora ed oggi, di capire esattamente quanto a lungo rimanemmo immobili.
Poi sospirò lievemente; un refolo caldo, che mi sfiorò la pelle causandomi un intenso ed inaspettato brivido. Tremavo quasi, per l’intensità con cui bramavo il suo tocco…
Tentennò un istante; successivamente, mi confessò di essere stato quasi sul punto di baciarmi… ma non lo fece. Allora non potevo saperlo, ma lui considera un bacio, dolce e gentile, una promessa; un patto di vita eterna…
Si chinò lentamente sul mio collo; sentii chiaramente il suo fiato caldo solleticarmi la pelle della gola con rinnovata eccitazione, facendo forza su me stessa per non cingergli il collo con le braccia, affondando le dita tra i suoi capelli neri come pece, simili a seta.
Sentii le sue labbra sfiorarmi la pelle, e rabbrividii a quel contatto, gemendo piano nel buio della stanza. Ed all’improvviso la consapevolezza, amara e pungente, di ciò che intendeva fare mi scosse a fondo.
"No!" esclamai, sospingendolo con forza sufficiente a farlo allontanare da me.
Sentii il suo sguardo su di me, incredibilmente ipnotico e magnetico, ma mi sfuggì la sorpresa che sicuramente arse nei suoi occhi.
Avevo già intuito che i vampiri fondano il loro metodo di caccia sull’attrazione… ciò che ignoravo, era che succede molto raramente che una vittima abbia sufficiente volontà da sfuggire alla schiacciante seduzione che emanano, dall’alone di sensualità che sembra avvolgerli. Che un umano si liberi dalla stretta ferrea del desiderio che desta in lui un vampiro è raro, ma che si ribelli ad esso per ben tre volte… Posso capire l’esitazione che lo colse in quell’istante, e che si rivelò provvidenziale per me.
"Perché?!" chiesi sommessamente, fissandolo con ira negli occhi. Il desiderio pulsava ancora prepotente in me, ma ero riuscita ad eludere una parte dell’ammaliante magnetismo che m’imprigionava, impedendomi di reagire.
Lui sorrise incerto, avvicinandosi di nuovo a me.
"Perché mi resisti?" mi chiese, sinceramente perplesso.
M’infuriai ancor più, sfogando la collera rivolta verso il mio corpo ribelle, che reagiva ancora verso di lui con un’intensità tale da spaventarmi.
"Hai già bevuto del sangue! Lo vedo… sei caldo. Ieri mattina la tua pelle non era così tiepida… quasi febbricitante, come ora. Perché ti ostini a volermi morta?" sibilai con rabbia, nata in buona parte dalla disperazione.
Lui sospirò, sinceramente combattuto, sedendosi accanto a me e distogliendo lo sguardo. Serrai i denti con forza, resistendo al desiderio schiacciante di stringermi a lui, facendo aderire il mio corpo al suo…
Infine si volse di nuovo con un lieve sorriso amaro sul viso, lasciando i canini scoperti e luminosi di un fioco e sinistro candore.
"Sono stato… disattento" mormorò piano, stringendo i pugni mentre un’ira inconsueta gli ardeva nello sguardo. Mi ritrassi inconsapevolmente, senza la forza necessaria per distogliere lo sguardo da lui. "Mi hanno trovato… - continuò, aggrottando la fronte - ed ora stanno venendo qui. Se ti troveranno… - sorrise piano; una smorfia da predatore, ferina e sottile – rimpiangerai il mio bacio… Ti crederanno una vampira, e cercheranno di farti confessare dove sono fuggito… e, quando l’alba sorgerà e tu non sarai polvere, si accorgeranno del loro errore. Se sarai fortunata, per l’alba sarai ancora viva… ma difficilmente integra, nel corpo o nello spirito." Sorrise beffardo, dinanzi alla mia espressione inorridita. "Capisci, vero? E inoltre… tu sai troppo di me. Non mi piace…"
Lo fissai con astio, stringendo i denti: compresi all’istante il vero motivo che si celava dietro a quest’ultima frase… era enormemente irritato dalla resistenza che gli offrivo, ed anche stuzzicato all’idea di infrangerla.
"E se invece ci fosse una terza possibilità?" chiesi, sorridendo appena, mentre mi arrovellavo per trovare una via d’uscita.
"E quale? Vuoi diventare anche tu… - mormorò, avvicinando il suo viso al mio al punto da sentire il calore emanato dalla sua pelle - … come me…?"
Mi ritrassi appena, stringendo gli occhi.
"No. Potresti… portarmi con te" risposi, fissandolo con decisione negli occhi. Mi fissò per un istante, sorpreso, prima di scoppiare in una roca e profonda risata.
"E perché dovrei? Mi rallenteresti… e tu lo sai" bisbigliò, tornando serio in un istante, fissandomi ancora con la sua magnetica intensità che tanto mi ammaliava. Mi sfiorò il volto con una mano, lentamente, scivolando sulla guancia fino a raggiungere le labbra. Sentii la pelle serica delle sue dita sulla bocca, leggere e sottili, e chiusi piano gli occhi per assaporare meglio il contatto. Quanto… lo desideravo…
Sorrise. Non lo vidi, ma seppi comunque che le sue labbra si erano aperte in un sorriso divertito e compiaciuto, ferino, da cacciatore che ha imprigionato la sua preda.
Sentii le dita scivolare lungo il collo, sfiorandomi piano la gola e soffermandosi per un istante sulla giugulare… un istante di troppo, che mi riscosse dal torpore sonnolento e ricolmo di desiderio in cui ero immersa. Aprii le palpebre, fissandolo con astio, mentre la sua mano scivolava piano verso il seno.
"Potrei esserti d’aiuto… - mormorai in tono supplichevole, cercando di non gemere alle sue carezze - potrei essere i tuoi occhi durante il giorno…"
Sogghignò piano, i lunghi canini affilati rilucenti alla luce della luna, mentre la mano si allargava a ventaglio su un seno. Sussultai, mordendomi un labbro e reprimendo un gemito.
"Prospettiva interessante…" bisbigliò, chinandosi ancora su di me e baciando la pelle appena al di sopra della scollatura della camicetta, risalendo poi verso il collo.
Digrignai i denti, strappandomi alla sua stretta con la forza nata dalla disperazione.
"Smettila!" ringhiai con rabbia, sospingendolo lontano da me.
Mi fissò a lungo, con un’espressione quasi sconvolta. Potevo quasi sentirlo… perché riuscivo ad oppormi a lui con tale determinazione?
"Posso aiutarti!" insistetti, suadente. "Posso controllare l’arrivo dei tuoi inseguitori durante il giorno… tenere lontano qualche curioso inopportuno…" continuai, freneticamente, cercando qualche motivazione plausibile per la quale lui potesse tenermi con sé.
Crollò poco dopo, annuendo appena. Un movimento rapidissimo, alle soglie della mia percezione; con un secco clic, le manette si aprirono cadendo nelle sue mani.
Mi sentivo così goffa in confronto a lui, al suo passo silenzioso e felino mentre procedeva rapidamente lungo il corridoio dinanzi a noi, scendendo lungo le scale, ed uscendo in strada. La luna splendeva luminosa nel cielo terso, ma soltanto un lieve chiarore opalino si intravedeva nella sottile striscia di tenebra tra gli edifici; l’astro notturno era nascosto dalla mole poderosa delle abitazioni, e la strada era buia e scura, immersa nel buio. Inciampai più volte, ammiccando nelle tenebre nel frenetico tentativo di distinguere la strada sotto i piedi; quando lui si fermò di scatto, dinanzi ad un’auto sportiva blu scuro, lo urtai infastidendolo ulteriormente. Si volse a guardarmi; nel buio, i suoi occhi sembravano nere pozze oscure, perdendo il chiarore cristallino che acquistavano alla luce fredda delle lampade. Mi indicò di salire in macchina con un cenno deciso del capo, prima di aprire una portiera e richiuderla silenziosamente alle sue spalle. Infilò le chiavi nella toppa, dando un colpo secco. Mi affrettai a salire a bordo; avevo il forte sospetto che sarebbe partito senza di me, se non mi fossi sbrigata.
Ingranò la retromarcia, uscendo dal parcheggio e imboccando alcune stradine secondarie, immerse nel buio, dimenticate persino dalla luce dei lampioni. Lo fissai a lungo, cercando di decifrare l’espressione del volto nella penombra fitta in cui era immerso, apparentemente rilassato contro il sedile. Un lieve profumo di menta mi solleticò le narici, e colsi l’ombra scura di un deodorante appeso allo specchietto retrovisore. Lanciai l’ennesima occhiata dietro di noi, rassicurandomi che nessuno ci seguiva. Mi rilassai piano contro il sedile, sentendo sotto le dita la morbidezza sottile del velluto scuro.
"Maledizione…"
L’accelerazione giunse inaspettata. Venni schiacciata contro il sedile dall’aumento improvviso di velocità, mentre lui si chinava appena sul volante, un sorriso ferino sul volto, alternando rapide occhiate alla strada dinanzi a noi ad altre allo specchietto retrovisore. Mi volsi; una macchina scura ci seguiva, appena visibile nel buio assoluto della stradina periferica.
Sbucammo in un’ampia via illuminata, affiancata da negozi, con lampioni che rimandavano una pallida luce soffusa sulla strada. Lo fissai con timore; un’espressione tesa, da predatore, gli solcava il volto. Era evidentemente eccitato dalla caccia… in quell’istante iniziai a comprendere un’ombra della sua complessa e contorta natura, una personalità che ancora oggi non riesco a decifrare del tutto.
La macchina scura tentò di affiancarsi a noi; alla luce dei lampioni, colsi chiaramente la sfumatura verde scuro della vettura, nonostante i finestrini a specchio impedissero una visione chiara degli occupanti. Un colpo secco del muso della macchina scura contro la nostra auto; sussultai, sentendo il metallo delle lamiere delle due vetture che strideva a quel contatto.
Il vampiro accelerò ancora, dando inizio ad un’autentica gara di velocità sulla strada parzialmente illuminata che portava fuori città. Intuii che mancava ancora poco all’uscita del centro abitato… tra la città ed il prossimo centro urbano si stendeva una vasta pianura coltivata, punteggiata da silos e fienili, da fattorie e pascoli erbosi.
Una stretta svolta della strada; la nostra macchina sbandò, e per un istante temetti che fosse sbalzata fuori strada. Con un secco giro del volante, lui la riportò in carreggiata, mentre sorpassavamo un cartello scuro che indicava l’uscita dalla città. Ancora poco…
La strada si ampliò in un istante; dopo qualche minuto di corsa sfrenata, ci trovammo fuori del centro urbano, la macchina scura ancora alle calcagna. Mi volsi verso di lui; non riuscivo a decifrare la sua espressione, ma compresi che il sogghigno cupo era ancora disegnato sul suo volto perfetto…
Un’ennesima sbandata, mentre la vettura scura si portava di fianco a noi, tentando di gettarci fuori strada. Era più massiccia della nostra, e con un altro colpo secco ci catapultò fuori strada. Cademmo in un fossato con un tonfo secco, e per un istante lui perse il controllo sull’auto. Intontita dal colpo, serrai il capo tra le mani mentre un ringhio furioso, basso ed irato, risuonava alle mie orecchie. In un istante, compresi che era lui ad emettere quel suono, così istintivo e primordiale…
Accelerò con furia sul terreno dissestato, imprimendo all’auto maggiore velocità e sfruttando al massimo le sospensioni a causa del sussultare frenetico della macchina. Un colpo secco del volante; tornò sulla strada, imprimendo una brusca virata alla macchina e puntando verso la vettura dei nostri inseguitori, che avevano rallentato per capire cosa ne fosse stato della nostra auto. Ci videro in un istante; accelerarono, venendoci incontro e tentando di speronarci con la loro auto, più grossa e poderosa. Ricordo bene quell’istante; la luce dei fari aveva illuminato il suo viso, e io ebbi paura di lui… Non dello schianto imminente, ma della gioia primordiale e letale che imperversava in quell’istante sul suo viso… demoniaca, cruda, intensa… I fari della nostra auto illuminarono il viso del conducente della vettura scura; un volto slavato ed anonimo, che scordai l’istante dopo che colpì i miei occhi. Ma la paura… quella è marchiata a fuoco nella mia mente. Il terrore che lessi chiaramente sul volto dell’uomo quando scorse il viso del vampiro non lo dimenticherò mai…
Il vampiro accese gli abbaglianti all’ultimo istante, accecando l’uomo, e deviando sulla strada quel che bastava per evitare di essere travolto dalla vettura scura, imprimendo alla macchina degli inseguitori una brusca spinta. Sbandò sulla strada, capovolgendosi e cadendo nel fosso accanto con uno schianto immane. Lui frenò bruscamente, facendomi quasi sbattere contro il parabrezza dell’auto. Volse la macchina, accelerando sulla strada e sorpassando l’auto scura. Ricordo di aver sbirciato fuori dal finestrino; alla luce dei fari distinsi soltanto le ruote che giravano lentamente, rivolte verso il cielo.
Guidò a lungo sulla strada, in silenzio, il volto rilassato fisso sulla strada dinanzi a lui. Non si volse neppure una volta a guardarmi; pensai che si fosse dimenticato della mia presenza, e mi rannicchiai sul sedile morbido a riflettere.
Avevo deciso di seguirlo… di seguire un assassino, un mostro, un aborto della natura capace soltanto di sopravvivere causando morte e disperazione agli esseri viventi… ed in cambio... cosa avevo ottenuto? La vita… finché lui non si fosse stancato di me, chiaro. Lo incuriosivo, lo stuzzicavo… e, quando questo interesse nei miei confronti fosse scemato… sarei morta. Avevo soltanto procrastinato un evento inevitabile? Avevo guadagnato… tempo. Nulla di più. Non la vita, non una morte piacevole. Soltanto… tempo.
I miei pensieri scivolarono nuovamente sui miei genitori. Erano in pensiero per me? Ormai era da più di un giorno che mancavo da casa. Non li avevo neppure avvisati… mia madre sarebbe stata fuori di sé dalla preoccupazione. Sospirai. Avrebbe avuto pienamente ragione a preoccuparsi per me… in fondo ero in bilico dinanzi ad un baratro. Il minimo, minuscolo passo falso avrebbe potuto farmi precipitare nel vuoto… e da esso non sarei mai più uscita.
Si volse a guardarmi. Doveva aver udito il mio piccolo sospiro… ed esso gli aveva rammentato la mia presenza sul sedile a fianco al suo.
"Dove stiamo andando?" gli chiesi esitante, fissandolo con gli occhi scuri resi enormi dal timore che provavo. Il suo viso, euforico e letale nel procurare la morte a quegli uomini era ancora marchiato a fuoco nella mia mente… ed il terrore provocato da quell’immagine avrebbe impiegato anni a sparire del tutto. Avevo visto il demone nascosto in lui… e non avrei più dubitato, neppure un istante, nel piacere che provava ad uccidere. Non era un semplice animale, che causava la morte per nutrirsi senza trarne alcun piacere. Amava uccidere… e questo lo rendeva un demone…? O soltanto… umano?
Sorrise piano, storcendo le labbra in una smorfia che era più un sogghigno che un sorriso.
"Lontano" rispose semplicemente, senza prestarmi particolare attenzione. Rimase a lungo in silenzio, rilassato contro il sedile, mentre io cercavo di scorgere il panorama attraverso gli spessi vetri dell’auto. Un’uniforme piatta pianura erbosa… coperta di brina, a causa del gelo intenso che permeava la strada notturna. Illuminata appena dalla luce della luna… che dava alla brina una sfumatura opalescente, rendendo quasi luminosi i campi disseminati di frammenti candidi.
"Hai paura?" la sua voce, calma e pacata, mi riscosse. Strinsi i denti; avevo colto un sottile divertimento nel suo tono di voce…
"Sì" non potei fare altro che rispondere. Sentivo che lui avrebbe distinto una menzogna dalla verità…
Frenò bruscamente la macchina, con uno stridio di pneumatici sull’asfalto. Si volse verso di me, avvicinandosi, e schiacciandomi contro il vetro gelido con il peso del suo corpo. Sorrise appena, mostrando i lunghi canini ad appena pochi centimetri dal mio viso. Potevo sentire il suo respiro caldo sfiorarmi gli occhi socchiusi… e lui di certo poteva udire i battiti furiosi del mio cuore.
"Hai accettato il bacio di sangue di un demone… ora non puoi tirarti indietro" mi bisbigliò all’orecchio in tono suadente, sfiorandomi il lobo dell’orecchio con le labbra. Rabbrividii involontariamente, mentre lui tirava indietro il capo fissandomi negli occhi con le iridi nere come tenebra nella penombra.
"Io non ho accettato niente da te!" ritorsi con rabbia, cercando di mantenere salda la voce. Sorrise di nuovo, sfiorandomi la punta del naso con le labbra.
"Non ancora…" bisbigliò, prima di ritrarsi e di rimettere in moto l’auto come se niente fosse, i fari pallidi che illuminavano la strada e si riflettevano sinistri nei suoi occhi.
L’alba iniziava a tingere di rosa pallido il cielo quando lui fermò l’auto accanto ad un fienile, scendendo dalla vettura ed esaminando l’interno della costruzione di muratura. Solitario, l’ampio edificio svettava nella pianura con incredibile chiarezza; di pietra grigia, solido ed apparentemente indistruttibile, e, a giudicare dalle erbacce che lo circondavano alte e fitte era in disuso da anni.
Tornò poco dopo, spolverandosi le mani sui pantaloni di pelle nera e sedendosi nuovamente al volante. Aveva spalancato le porte del vecchio silos; guidò lentamente all’interno la macchina, parcheggiandola tra vecchie balle di fieno muffite e grandi ammassi d’erba stopposa e marcia. Non avevo visto le porte aprirsi poco prima: dall’angolazione in cui aveva parcheggiato la macchina non riuscivo ad intravedere le grandi porte di legno massiccio, incrostate di muschio e di rampicanti, sbeccate e ricolme di fessure nei punti in cui il legno era marcito. Erano davvero enormi; eppure lui le chiuse senza sforzo apparente, producendo solo un lieve cigolio ed un colpo secco. Si avvicinò a me; potevo vedere il suo passo, solitamente sicuro e felpato, vacillare per la letale stanchezza che sembrava sorgere nel suo corpo assieme al grande disco dorato del sole. Prima che le porte venissero chiuse, ero riuscita a scorgere soltanto una striscia di cielo color porpora… il sole stava sorgendo. La terribile aurora…
Vacillando pesantemente, il viso teso e gli occhi azzurri socchiusi, si avvicinò a me. Con uno scatto secco, chiuse le manette di ferro intorno ai miei polsi, legandomi alla portiera della macchina.
Rimasi in silenzio, studiando con una punta di sgomento il viso attraente di lui vacillare a causa della sonnolenza che lo sommergeva lentamente, come una cupa marea.
"Là dietro c’è… acqua… e qualcosa da mangiare…" mormorò lentamente, esitando, e aggiungendo alle sue parole un lieve gesto vago e stanco in direzione dei sedili posteriori dell’auto. Tirai leggermente le manette, in modo riflessivo. Non avrei avuto particolari difficoltà ad arrivarvi. Annuii piano nella sua direzione, ricevendo in cambio uno stanco e tentennante cenno del capo; si avviò barcollante verso le balle di fieno, sprofondando in una di esse senza più muoversi per diverso tempo. Sospirai, rientrando in macchina e chiudendo la portiera dietro di me. Rabbrividii; indossavo ancora i vestiti che avevo preso da casa un paio di giorni prima, ed iniziavo a sentire l’impellente bisogno di fare un bagno. Ed il sentore di vecchio e di polvere che si era attaccato ai vestiti ed alla pelle non migliorava certo la situazione… Mi strinsi meglio nel cappotto di lana, accendendo il riscaldamento della macchina e sprofondando nel sedile. Avevo tanto su cui riflettere… ma il sonno mi colse prima che riuscissi a formulare un pensiero coerente.
Dormii a lungo, e quando mi destai il sole che filtrava dalle porte massicce era di una calda sfumatura dorata. Caldo… era stata la temperatura troppo elevata dell’auto a destarmi dal sonno profondo in cui ero immersa. Mi ero assopita in pochi istanti, scordando il riscaldamento acceso. Mi stiracchiai piano, spegnendo il riscaldamento con un gesto deciso della mano ed aprendo la portiera per espletare impellenti bisogni fisiologici. Mi disgustava un poco urinare sul terreno sotto la macchina… mi faceva sentire un cane… ma no |