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"Ditelo con i fiori" - Capitolo primo.

Post n°23 pubblicato il 11 Aprile 2008 da Welch
Foto di Welch

Molto spesso regalando dei fiori ci lasciamo condizionare dal nostro gusto personale o dalle “comunicazioni” che questi ci consegnano a livello sensoriale attraverso i loro colori e profumi oppure, ancora, demandiamo la scelta al fiorista perché, infondo, è mestiere suo. Quest’ultimo, bisogna ammetterlo, è atteggiamento tipico di noi maschietti.

 

La valenza galante e romantica del gesto viene difficilmente sminuita dal significato che il fiore ha acquisito attraverso i secoli. Questo dipende dal fatto che, pur sapendo che ad ogni fiore è associato un significato, ad eccezione di alcuni questi significati ci sono in gran parte oscuri.

 

Tutto quello che le tradizioni ci hanno insegnato è la buona usanza di non regalare “crisantemi” a chi gode ottima salute, essendo in Italia questo fiore deputato al culto dei defunti. Nelle nostre conoscenze possiamo annoverare la valenza della “rosa rossa” come simbolo d’amore, o del “giglio” come simbolo di purezza. Qualcuno è anche ben attento a non regalare “rose gialle” simbolo di gelosia, spingendosi anche ad offrire “orchidee” perché consapevole della valenza sensuale che queste richiamano alla mente.

 

Vediamo allora di stilare un piccolo vademecum, per imparare a scegliere un fiore anche attraverso il messaggio che questo può offrire.

 

Volendo corteggiare una donna, ad esempio, potrebbe essere una mossa sbagliata donare delle “bocche di leone”. La tradizione fa di questo fiore simbolo del capriccio. Usanze medievali ce ne tramandano l’uso, come ornamento per capelli, delle fanciulle che volevano respingere i pretendenti. Da questo un riconosciuto significato della “bocca di leone” per comunicare indifferenza e disinteresse.

 

Di un certo effetto potrebbero essere delle “camelie”. La “camelia” è stata introdotta in Europa nella seconda metà del XVIII secolo. La fortuna di questo fiore, tuttavia, è da ricercare in due specifici avvenimenti del secolo successivo. Il primo fu la pubblicazione nel 1848 del romanzo, di Alexandre Dumas figlio, “La signora delle camelie”. Il secondo avvenimento, fu l’uso del fiore come ornamento di orli e scollature proposto dalla matrone di un atelier francese; si trattava di una certa “Madame Chanel”. La “camelia” indica “perfetta bellezza” ed anche “superiorità non esibita”.

 

Per opposto sarebbe bene non regalare “ciclamini”. Se è pur vero che al “ciclamino” è sempre stata legata una valenza magica ed una capacità di allontanare i malefici, le sue radici contengono una piccola quantità di veleno. Sarà forse per questo o per il fatto che predilige l’ombra, che nel linguaggio dei fiori esprime “diffidenza”. Ha anche il significato di “amore non ricambiato”; chi lo regala, per spiegarsi meglio, indica di capire di non essere ricambiato.

 

Più ambiguo potrebbe essere il gesto di regalare una “dalia”. La dalia ha origini messicane ed il suo nome deriva dal botanico che per primo la classificò: Anders Dahl. Come per molti fiori dal suo nome deriva quello proprio di persona come augurio di bellezza. A questo fiore è associato il significato positivo di “riconoscenza” ma anche quello meno felice di “precarietà”.

 

Antichissimo, si ritiene nel Neolitico, l’origine del “fiordaliso”. Il nome scientifico “centaurea cyanus” sembra derivare dalla mitologia. In particolare si fa riferimento alla trasformazione, da parte di una ninfa, del centauro Chitone in un fiordaliso. Tradizioni orientali raccontano che gli innamorati lo regalano all’amata come speranza di felicità. “Felicità” è infatti uno dei significati attribuiti a questo fiore. La delicatezza dei suoi petali sembrano invece alla base del significato di “leggerezza”.

 

Per contro sembrano mancare tracce nella storia della “fresia”. Originaria del Sud Africa, la fresia è stata a lungo trascurata pur essendo un fiore di una certa bellezza, di profumo gradevole e colori molto vari. Nel linguaggio dei fiori è simbolo di “mistero” e di “fascino per l’arcano”.

 
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Io amavo.

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Solo lui mi protegge da quel tiranno autoritario e sempre troppo equilibrato che vive in me e che, se non fosse per il mio lato stupido, mi ruberebbe la vitalità, l’umiltà e la dignità.

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