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L'incontro

Post n°7 pubblicato il 13 Dicembre 2005 da Welch

"Il campo di grano con cipressi" di Van Gogh, che è appeso alla parete da quando sono in questo ufficio, mi sembra di vederlo oggi per la prima volta. Forse è la prima volta che, invece, mi fermo a guardarlo con occhi diversi. Studio i suoi colori a tratti così netti e a tratti così sfumati, quasi si confondessero tra di loro. L'aria sembra mossa da un vento forte; se il cielo fosse solo più grigio penserei ad una tempesta. Chissà cosa ci vedresti tu, amore, in questo quadro. Da quando ti ho incontrato guardo tutto, a pensarci bene, con occhi diversi e anche ciò che mi sembrava impossibile da realizzare mi sembra ora meno irraggiungibile. Mi sento immersa in sensazioni che credevo appartenessero ad un passato lontano e che non sarebbero più tornate. Mi sento, come una ragazzina alle prese con il primo grande amore. Sarà anche colpa di questa segretezza, dell'esigenza di nascondere al mondo ciò che provo per te, come quando alle prime cotte lo si nasconde con vergogna e timore ai propri genitori. Soprattutto, però, dipende da come mi fai sentire. Da come ogni volta che squilla il telefono  mi batte il cuore ed ogni volta che la tua voce, così calda e dolce, pronuncia il mio nome sento frullarmi dentro un misto di desiderio ed emozione. Ogni tua parola suona come poesia alle mie orecchie e mi sento sempre, in ogni momento della giornata, al centro dei tuoi pensieri. Da quanto non mi sentivo così? Da troppo tempo credo, da troppo tempo. Il telefono squilla e mi riporta nel mio ufficio. Mi ero allontanata, almeno col pensiero, che era ancora una volta ritornato su di te. So che sei tu al telefono e ho quasi paura di rispondere. All'improvviso ho la sensazione forte, come mai prima d'ora, che tutto questo sia una pazzia. In questi pochi mesi abbiamo percorso entrambi tanta strada. Abbiamo messo facilmente da parte tutte le nostre remore, i falsi pudori; abbiamo scavalcato i luoghi comuni e le nostre paure e così dai due estranei che eravamo abbiamo cominciato ad amarci, senza capire come  o da quando. Una sola volta ci siamo chiesti come sia stato possibile condividere sentimenti talmente forti e talmente avvolgenti per un'altra persona che non avevamo mai visto se non in una fotografia. Una sola volta in cui sono riuscita a pensare solo che questo era l'incontro, quello che capita una sola volta nella vita di una persona. Pensieri e immagini, di quello che già considero il nostro piccolo passato, mi tornano in mente come lampi improvvisi che ti annunciano la pioggia che viene da lontano. La tua voce passa per la mia mente e scivola sulla mia pelle donandomi un brivido. Quella voce capace di risvegliare passione, desiderio, tenerezza, che nel mio compagno ormai non trovavo più e che ora rallegrano, grazie a te, nuovamente le mie giornate. Quante pazzie! Quante fughe in strada solo per raggiungere un telefono, per sentirti parlare, per sentire la tua voce chiamarmi amore. Ed ora il telefona squilla, tu sei qui da qualche parte e per la prima volta ho paura. Ho paura che tutto questo possa scomparire appena i nostri occhi s'incroceranno; ho paura che il sogno possa spezzarsi; ho paura di deluderti, di non riuscire ad essere la stessa amante di questi mesi. O forse ho paura che tu divenga vero, paura di vederti acquistare un corpo, una fisionomia. Allo stesso tempo, però, mi brucia dentro la voglia di incontrarti e dimenticare, per una serata, tutto e tutti. Mi brucia dentro il desiderio di baciarti e stringerti a me. Non più solo sogno, non più solo voce, ma finalmente il tuo profumo, la tua pelle, il tuo essere uomo. Alzo la cornetta. La tua voce mi sussura la tua presenza. Aspettami dove sei, ti raggiungo io tra qualche minuti. Dammi solo il tempo di sistemarmi, chiudere l'ufficio e sarò da te.

 Aspetto di vederti spuntare da un qualunque angolo di questa strada avvolta, dolcemente, nella penombra mentre l'attesa, inquilina dispettosa della mia vita, incomincia a tessermi dentro un po' d'inquetudine. Al telefono mi sei sembrata un po' strana, ma del resto lo ritengo normale. Per la prima volta ci troveremo faccia a faccia. Ho dovuto insistere molto perchè accadesse e forse ho sbagliato. Spero, tuttavia, che avrai capito i miei motivi, quel bisogno incessante di certezze che attanaglia la mia anima. Non potevo più restare un fantasma; non potevo di certo accettare di essere un'amante telefonico. Più di una volta le tue parole mi hanno sorpreso, mi hanno donato una gioia senza pari ed ora non posso più solo immaginare di baciarti, di stringerti. Ho bisogno di conferme e solo questo incontro potrà darmele, anzi potrà darcele. Continuo a rigirare il  cappello tra le mani come se fosse un segno, un modo per dirti sono io, mi riconosci? I miei occhi, invece, cercano con lo sguardo i tuoi tra quelli di mille passanti, tra questo infinito corteo di sconosciute che mi passano accanto ma non si fermano a scrutare nessun volto. Nella mia mente s'agitano mille interrogativi, ma non riesco a fare altro che ruotare i miei occhi da destra a sinistra e da sinistra a destra in cerca di una somiglianza da identificare in te. Quanta strada abbiamo percorso in questi pochi mesi. Quante lunghe chiacchierate al telefono, cariche talvolta della voglia di incuriosire, di stupire. Quante prima di capire cosa ci stava succedendo, prima di dare un nome ai nostri sentimenti, prima di chiamarli amore! Amore! Ancora mi fermo a chiedermi se tutto ciò è possibile o non sia solo il frutto di una nostra esigenza di sentirci vicini. Mi chiedo se tutto questo non nasca dalla nostra comune esigenza di sentirci amati o di amare, di condividere o di sognare. Ho molti timori, amore mio, e cercare risposte mi spaventa. Dopo tutte le nostre parole, le notti passate in casa nella speranza di una tua telefonata, nella speranza che tu riuscissi a liberarti di lui per correre ad un telefono, per correre da me. Dopo tutte le nostre lettere, le nostre confidenze, le confessioni, cosa sarà di noi, amore, se la realtà arriverà a distruggere questo sogno? Ma eccoti, finalmente! Non ho alcun dubbio, sei tu! I tuoi occhi, il tuo viso. Come sono cresciuti i tuoi capelli dall'immagine di quella vecchia fotografia. Mi sorridi ed io quasi non riesco a guardarti, non riesco a lasciare che i miei occhi si fermino nei tuoi. Sei qui, non sei più solo un'immagine, sei vera! Certo hai ragione tu, dobbiamo andar via da questa strada, ma non chiedere a me dove andare, questa è la tua città.

Mi sembra che tutti mi guardino. E' come se avessi scritto sul viso che quest'uomo che mi è accanto in questo momento non è il mio compagno ma il mio amante. Come se tutti potessero leggere nella mia mente, leggere nella mia anima che mi sento turbata, impaurita. Come se tutti sapessero e mi giudicassero con i loro sguardi severi. Hai ragione anche tu, devo sapere io dove andare. Ma dove portarti? Dove riuscirò a sentirmi più tranquilla. Mi sembra, improvvisamente, di sentirmi estranea anch'io in questa città, come se non la conoscessi, non conoscessi alcun luogo. Forse è il semplice pensiero che nessun luogo mi sembra sicuro. Mi infilo nella metropolitana, forse mi verrà qualche idea. Intanto mi cammini di fianco ma per il momento non riesco neanche a pensare che sei tu. Sono impegnata nel guardarmi intorno nella speranza di non riconoscere visi familiari. Tu mi segui e sei silenzioso anche più di me. Il tuo viso è diverso da come lo conoscevo. Improvvisamente mi accorgo che hai un viso da uomo e non ti riconosco. La tua voce però è la stessa di sempre. Cerchi di infondermi un po' di calma ma non mi sento ancora tranquilla. Scendiamo alla stazione. Forse ho un'idea. Potremmo raggiungere col treno, l'aereoporto. Non dovremmo avere possibilità di incontrare persone che conosco e poi è un posto che ho frequentato per lavoro e che ci offrirà la possibilità di stare un po' da soli in tranquillità. Insisti per pagare i biglietti, ma voglio farlo io. Ci vorranno una trentina di minuti o poco di più. Non abbiamo fretta del resto e tu sembri d'accordo. Non sei mai stato tanto silenzioso e finora ho pensato che fosse a causa di questi momenti di fuga, ma ora che siamo seduti qui in treno mi sembra strano tutto questo silenzio e quasi mi imbarazza. D'improvviso ti alzi e posi le labbra sulle mie gote affermando che non avevamo avuto il tempo neanche per salutarci ed hai ragione, ma nella mia agitazione non avevo considerato la possibilità di questo piccolo gesto. Ecco, però, che in questa movenza ti riconosco in tutta la tua dolcezza. Non impeto, non trasgressione, ma incontrallabile delicatezza...tu sei così. Sei sempre stato così. Quasi timido, ma di una timidezza rassicurante. Ecco perchè non ho mai avuto timore di te, del tuo essere uno sconosciuto, perchè con la tua pacatezza non mi sei mai sembrato tale. Ripensando alle nostre chiacchierate mi passano per la mente tutti i discorsi che abbiamo preferito rimandare ad oggi, al giorno di questo incontro. Spesso mi hai chiesto se non avessi più bisogno di un confidente che di un amante ed io, nella mia caparbietà ed ostinazione, ho sempre difeso il tuo ruolo. Un confidente, ti ho sempre detto, l'avrei potuto trovare ovunque. Tu eri altro, eri ben altro. Ora, tuttavia, sento l'esigenza di parlare di sfogarmi con te; ora sento l'esigenza che tu sia il mio confidende.  Voglio raccontarti del mio ex-marito, l'uomo-bambino, di cui pensai di essere innamorata e che sposai, perchè incinta, pensando solo di anticipare un passo del futuro. Oggi, ripensando a quella scelta, mi rendo conto che fu dettata soprattutto dalla mia voglia di emancipazione, come se il matrimonio ne avesse il sapore. Ti parlerò della negazione della continuità primordiale, della morte dell'amore assoluto, di come oggi riesco in qualche modo a giustificare, ma non perdonare, l'abbandono di mia madre che ha lasciato per sempre nella mia anima un buco infinitamente profondo. Ti parlerò dei profumi dei miei viaggi: dell'incenso, dell'Africa e di Cuba. Ti parlerò della gioia più grande della mia vita, mia figlia, e di come distrugge ogni mio dolore quando appena alzata viene ad accarezzarmi dicendomi che sono bella e che mi ama. E ti parlerò di questo aereoporto, di un'estate assolata e di un uomo dalla bocca morbida per cui, folle al richiamo dei sensi, mi catapultai in Sicilia. Ti parlerò delle scalette di un molo e di una notte stellata, delle onde che lambivano i nostri piedi e del profumo degli agrumi  che si mescolava prepotente al suo e di come mi persi, infinite volte, nel suo essere uomo.

Ti ascolto. Ascolto la tua voce che saltella di ricordo in ricordo e continua senza tregua, senza stancarsi mai, vagando oltre il tempo ed oltre lo spazio in una agitazione di sensazioni, di odori e suoni. Ti ascolto e mi inebrio delle tue parole, mi lascio sedurre e trasportare, ovunque senza freno, senza resistenza. E ti sono accanto in ogni momento. E vedo l'acqua lambire i tuoi piedi, ti vedo baciare un uomo senza volto e senza nome. Ti seguo nel cuore dell'Africa e nel suo caldo secco e desolato e nella Cuba poetica che mi ricorda le poesie di Neruda. Poso la mia testa su di te, la rialzo per cercare i tuoi occhi e poi prenderti la mano, stringertela e sentirla sulla mia pelle.  E non mi accorgo del tempo che passa, di dove siamo e dove siamo stati, se c'è qualche presenza accanto a noi o se per incanto il nostro vagone si è svuotato. Mi desti tu dicendomi che siamo giunti all'aereoporto ed io, come di nuovo sveglio da un lungo sonno, fatico a mettere a fuoco i contorni del nuovo giorno. Comincio a seguirti fra corridoi e scale mobili, seguo la tua voce come scia luminosa. Finalmente anche tu ti senti libera e ti lasci andare cercando conforto dal freddo tra le mie braccia.  Vorrei donarti tutti i miei pensieri, renderti partecipe di questo orgasmo di emozioni che mi fanno girar la testa, ma non riesco a parlare, non riesco che a seguire la tua vita attraverso i percorsi della tua memoria. Dimentico ogni altra cosa e forse lo fai anche tu, che ormai ti guardi in giro con sicurezza e spavalderia,  non nascondi il tuo viso alla notte nè mi sottrai qualche tenerezza che ho tanto atteso si realizzassero in una sera proprio come questa. Mi chiedi di parlare un po'. Vorrei, vorrei farlo ti giuro ma riesco solo a confessarti il mio desiderio di trovare un angolo in cui possa stringerti forte. Ti guardi intorno e mi trascini nel buio dove, aperto il tuo cappotto, mi tendi le braccia e mi stringi e ti stringo. I tuoi capelli mi solleticano il viso. Li odoro come se emanassero un'essenza rara. E sento il tepore del tuo corpo e le mie labbra passano sul tuo collo e sulle tue gote. Le tue labbra, invece, sono così vicine eppure le sento così distanti. E' la prima volta questa sera che sento un baratro tra noi. Ecco, tutto il nostro amore sembra consumarsi in questo abbraccio. Non ci sarà nient'altro? Che importa, mi dico, se anche fosse non m'importerebbe nulla. T'ho fra le braccia e già questo ieri mi sembrava irrealizzabile. O forse, forse non è così. Ecco il tuo abbraccio mi ammanetta. Non posso muovermi. Riesco a toccare con le labbra solo il tuo collo e solo le tue gote. E quello che vuoi? Vuoi che tutto si consumi solo in questo? E perchè? Ti frena la paura? O non hai trovato in me l'uomo che alimentava i tuoi sogni e le tue fantasie? Come al solito lascio questi interrogativi vagare nelle mia mente senza che possano formarsi in domanda. Non cercherò risposte da te, almeno non ora. La pioggia ci sorprende e ci costringe a ripararci all'interno, così ne approfitti per chiamare tua figlia. Si direbbe che si lamenta della tua assenza ma le prometti che vi vedrete domani. Già, la tua vita continua domani, così come continua la mia e ognuna di loro riprenderà come prima. Le nostre voci ritorneranno ad amarsi per telefono e chissà quando e dove i nostri volti si ritroveranno, quando i nostri corpi riusciranno ancora a stringersi in un forte abbraccio. S'è fatto tardi e forse ci conviene riprendere la nostra strada. La mia soprattutto sarà lunga questa notte.  Posi la cornetta e mano nella mano ci avviamo verso la biglietteria. Questa volta pagherò io e non voglio essere contraddetto. Il treno s'appresta a partire e ci riporta sui nostri passi e sui vecchi discorsi.

Mi sento in colpa. Mi sento in colpa verso il mio compagno per la verità di questa serata che lui non saprà mai. Mi sento in colpa verso di te, perchè ho volutamente evitato che le nostre labbra potessero sfiorarsi e mi sento in colpa verso me stessa per non esser riuscita ad essere la persona spavalda che vorrei essere. In più, non rendendomi conto dell'orario, ti obbligherò a passare la notte qui, perchè non ci sono altri treni fino a domattina. Come farai? Dove andrai a dormire? Insisti perchè io vada a casa perchè non vuoi che abbia discussioni col mio compagno. Vorresti accompagnarmi con un taxi, ma preferisco prendere l'autobus. L'autista non attende troppo per mettersi alla guida. Mi guardi e per la prima volta durante questa notte non vorrei che tu andassi via. Non vorrei vederti scomparire, piano piano, ma non c'è altra opportunità per noi due che quella di salutarci. Ti avvicini piano e mi sfiori le labbra. Perchè non mi hai baciato? Perchè non ti ho permesso io di farlo prima? L'autobus si mette in moto.  Ti guardo dal finistrino e ti mando un bacio poggiando l'indice alle labbra. I tuoi occhi, color caffè, mi sorridono. Il mio cuore si intenerisce. Perdonami! Perdonami per quei baci negati. Io non potevo, anche se ne avevo voglia, io non potevo.

 

 
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E' stato niente, l'orlo d'una stella, soltanto.
Ma tornati i miei piedi sulla terra,
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Juan Ramon Jimenez

 

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Debolezze.

Tu non ne avevi.

Io ne avevo una:

Io amavo.

Bertold Brecht

 

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Devo imparare a voler bene allo stupido che è in me:
quello che è troppo sensibile, che parla troppo, corre troppi rischi, qualche volta vince e troppo spesso perde, che non ha autocontrollo, che ama e odia, fa male e si fa male, promette e non mantiene le promesse, ride e piange.
Solo lui mi protegge da quel tiranno autoritario e sempre troppo equilibrato che vive in me e che, se non fosse per il mio lato stupido, mi ruberebbe la vitalità, l’umiltà e la dignità.

Theodore Rubin

 

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[...] Non è facile fare amicizia. Anche se coloro con cui cerchi di fare amicizia non sono struzzirana o gorillopardi o pitospini o assassini o pazzi. La gente è complicata, sola, arrabbiata o ansiosa: è così e basta. Ma devi provarci lo stesso. Per quanto la gente ti possa spaventare, devi decisamente cercare di conoscerla. Perchè i fifoni non piacciono a nessuno.

(da "Gli incubi di Hazel")

 Leander Deeny

 

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Quando Dio ha fatto l'uomo e la donna, non li ha brevettati. Così da allora qualsiasi imbecille può fare altrettanto.


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