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Wonderfulchet - jazz

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Massimo Urbani "like a Bird...

Post n°13 pubblicato il 05 Settembre 2005 da WONDERFULCHET
Foto di WONDERFULCHET

Insomma, il consiglio é quello di frequentare le bancarelle che vendono cd della festa dell'Unità o di Rinascita...come é successo a me due sere fa agli ex-mercati generali. Dopo una ventina di minuti che me ne stavo a scartabellare le lunghe fila di cd...ho incontrato Massimo Urbani, malamente seduto ed aggrappato al suo sax nella copertina di un cd...con lui suonava il Maestro Vannucchi (ricordate il favoloso quintetto di Lucca?)...un concerto live ad Isernia nel 1992.
Dicono che sia stata la cosa più vicina a Charlie Parker che l'Europa abbia prodotto...se non altro ne ha seguito le sciagurate tracce...morendo a 36 anni (Parker a 35!!!), bevendosi l'intero mondo ed anche la sua anima...si favoileggia di sue jam session nei live club romani con Chet Baker, a metà degli anni '70...come tante icone tragiche del jazz, ci si accanisce sui particolari tragici dell'esistenza, sottostimando la grandezza musicale dell'artista maledetto.
Questo qui ci sapeva fare...scatenandosi in assoli struggenti, ruggenti, disperati e dispari...insomma, se vi capita, ascoltatelo!

Lascio qui stralci di notizie su Massimo Urbani trovate su Internet...

"I JAZZ CLUB DI ROMA. Permeata di swing e passione, la musica di Urbani nasce a notte fonda nei club fumosi della capitale. I locali dove suona più volentieri sono gli stessi nei quali si reca da spettatore ad ascoltare i jazzisti americani. A Roma ascolta con interesse Johnny Griffin, Dexter Gordon, Lee Konitz e Sonny Stitt, che vi si esibiscono di frequente. Tra i club cittadini il più celebre è il Music Inn di largo dei Fiorentini, diretto dall'esperto batterista Pepito Pignatelli. Sulla scorta del successo di questo locale nascono poi il St. Louis in via del Cardello, il Murales a Trastevere e il Mississipi Jazz Club nella zona di Prati. Con l'ausilio di una sezione ritmica, talvolta messa insieme all'ultimo momento, Massimo Urbani vi si lancia in assoli vorticosi, rivitalizzando ballate struggenti e coinvolgendo il pubblico in un viaggio nel mondo delle emozioni. Gli capita anche di essere coinvolto in jam session impreviste e tanti appassionati ricordano ancora con piacere i suoi incontri con Chet Baker, Art Farmer, Lester Bowie e Red Rodney. Purtroppo nessuna di queste serate viene incisa, anche se forse ne resta traccia in alcune registrazioni amatoriali custodite negli archivi dei suoi ammiratori più fedeli."

"UNA NOTTE AL CENTRAL PARK. Nell'estate del 1974 Urbani partecipa alla seconda edizione di Umbria Jazz. Tra il pubblico che lo ascolta suonare al bar St. Andrews di Perugia c'è anche il grande sassofonista americano Sonny Stitt, che altermine della sua esibizione si complimenta lungamente con lui. In questo periodo cominciano a manifestarsi i primi sintomi di quel disagio esistenziale che lo avrebbe lentamente condotto all'autodistruzione. In novembre non si presenta al festiva[ deljazz di Bologna, dov'è atteso con il suo trio. Diventa inaffidabile e irascibile. Se n'era già accorto anche Rava, che poco tempo prima lo aveva invitato a suonare con lui negli Stati Uniti. Un giorno, Massimo - che era ospite in casa sua - aveva danneggiato involontariamente un prezioso registratore che era stato prestato a Rava da un amico e subito dopo era sparito. "Quando si rifece vivo", avrebbe in seguito raccontato il trombettista, -sembrava un barbone, gli abiti a pezzi, una tosse tremenda, la febbre alta, dolori dappertutto. Aveva dormito due notti al gelo su una panchina al Central Park. Questo era Massimo a diciassette anni, e non sarebbe mai cambiato." Rava avrebbe tuttavia ricordato con orgoglio gli esiti musicali di quel viaggio newyorkese di Urbani, che aveva folgorato con il suo talento i migliori sassofonisti dell'epoca, da David Schnitter a Bob Mover."

"Nel giugno del 1993 moriva a Roma nel quartiere di Primavalle uno dei sassofonisti più rappresentativi del jazz italiano: Massimo Urbani. Messo a i margini dalla solita faciloneria italiana, Urbani è considerato fra i pochi sax alti che hanno l'onore di essere paragonati a Charlie Parker (morto alla stessa età di Parker 33 anni, per le stesse complicazioni). Un paragone non solo dal punto di vista musicale ma anche, e sfortunatamente, dal punto di vista umano. Nato l'8 maggio del 1957 da una famiglia numerosa, iniziò a suonare il clarinetto a 11 anni passando subito, o quasi, al sax alto. A quindici anni il suo nome era già sulla bocca di tutti. Il merito di aver lanciato Urbani, spetta per intero a Mario Schiano. Era il 1972 e Schiano, si lasciava alle spalle la fase di rottura del Gruppo Romano Free Jazz. Così, costituì una nuova formazione, nella quale militavano Urbani e Tommaso Vittorini (definiti enfants prodige), Bruno Tommaso e Marcello Melis ed ancora Mandrake e Afonso Vieira. La critica di un concerto ascoltato al Folkstudio di Roma da Enrico Cogno per Musica Jazz fu entusiasmante: "Segnatevi un nome: Massimo Urbani, diventerà un elemento di punta del jazz italiano". Il passo successivo fu il corso straordinario di jazz al Santa Cecilia istituito da Giorgio Gaslini. Urbani fu accolto come uditore, senza obbligo di frequenza. Con Gaslini, Urbani lavorò anche nel quartetto del pianista in numerosi concerti. Queste le sue prime mosse nello scacchiere del jazz. Che passa attraverso registrazioni di grande impatto sonoro dove i suoi soli, vengono definiti: Travolgenti, irruenti, dilaganti, tumultuosi, e così via. Le prime tracce sonore e, parte di questi aggettivi, nascono dall'ascolto di album come SUD, MESSAGE o in quelli di JAZZ A CONFRONTO. L'ultimo vero bopper italiano? Secondo chi vi scrive si. Il jazz di Massimo Urbani era vissuto ai limiti. Un attento musicista, dedito allo studio e alla pratica costante dello strumento, ma anche nel solco della filosofia della beat generation, di quella cultura che cercava un riscatto sociale, che sorvolava le regole dell'estabiliscment e che filtrava la musica semplicemente attraverso i suoi sentimenti. In questo senso, il valore delle cose suonate da Urbani, va oltre il significato tecnico, oltre quella ricerca nella quale, critici ed esperti di jazz, sono sempre impegnati per poter poi, attribuire voti e valori alle cose ascoltate. Insomma, un jazz bohemienne, di bukowskiana memoria, tutto genio e sregolatezza ma che a mio avviso aveva anche una logica. Quale? Quella del jazz. Quella che non appartiene alle multinazionali, ai festivals blasonati, alle corporazioni associative, alle baronie geografiche, ai conservatori e a quant'altro minaccia il valore assoluto dell'improvvisazione. Così senza aggiungere null'altro, come la sonda voyager in viaggio verso la scoperta di nuovi mondi, questa pagina si incammina nella "rete delle reti" alla ricerca di messaggi, i vostri, da aggiungere in un wolking progress costante, irrazionale e anarchico."

(mi scuso con l'autore del pezzo...ma non ricordo il suo nome...ne caso, ne reclami la peternità!!!)

empre per chi vuol sapere di iù, segnalo questo libro: Carola De Scipio: "Vita, morte, musica di Massimo Urbani", ed. Stampa alternativa, 16 euro circa (alleato ance cd con brani inediti)...

 
 
 
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