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Un blog creato da kaori_chan il 27/01/2011

Yume no Hime

So run, run, run and hate me, if it feels good I can't hear your screams anymore...

 
 

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Le pietre di cinque colori

Post n°53 pubblicato il 17 Maggio 2012 da kaori_chan


Tantissimo tempo fa viveva una grandissima imperatrice cinese che era succeduta al fratello, l’imperatore Fuki. Era L’Età dei Giganti, e l’imperatrice Jokwa, questo era il suo nome, ascoltava volentieri i racconti che riguardavano la vita di suo fratello. Era una donna splendida, e un’abile donna di governo. Si narra una curiosa storia sul modo in cui riparò una parte del cielo che si era spezzata e una delle colonne sulla terra che reggono il cielo, entrambe danneggiati nel corso di una ribellione sollevata da uno dei sudditi dell’imperatore Fuki.
Il ribelle si chiamava Kokai. Era alto ventisei piedi. Aveva il corpo completamente ricoperto di peli e la faccia nera come il carbone. Era un mago e, come se non bastasse, aveva un pessimo carattere. Quando morì l’Imperatore Fuki, Kokai fu invaso dall’ambizione di diventare imperatore della Cina, ma il suo piano andò in fumo, e Jokwa, la sorella dell’imperatore morto, ascese al trono.
Kokai era così furioso che il suo desiderio fosse stato frustrato, che sollevò una ribellione. Il suo primo atto fu quello di servirsi del Demone delle Acque il quale provocò una grande inondazione che si rovesciò sul paese e fece affogare la gente sventurata trascinandola fuori dalle case. Quando l’imperatrice Jokwa vide la tragica situazione dei suoi sudditi e seppe che era colpa di Kokai, gli dichiarò guerra.
Ora Jokwa aveva al suo servizio due giovani guerrieri di nome Hako ed Eiko e nominò il primo generale delle forze armate. Hako fu lusingato del fatto che la scelta dell’imperatrice fosse caduta su di lui e si preparò alla battaglia. Prese la lancia più lunga che poté trovare e saltò in groppa a un cavallo rosso. Stava per dare di sprone quando udì qualcuno galoppare furiosamente verso di lui gridando:
«Fermati, Hako! Il generale delle forze armate devo essere io».
Guardò dietro di sé e vide il suo compagno Eiko in groppa a un cavallo bianco nell’atto di sguainare una grande spada per gettarsi su di lui. L’ira di Hako esplose e girandosi verso il rivale gridò:
«Miserabile insolente! È l’imperatrice che mi ha scelto per guidare le forze armate in battaglia! Come osi fermarmi?»
«Ebbene» rispose Eiko «sarebbe toccato a me guidare l’esercito. Sei tu che devi seguirmi».
A questa risposta sfrontata l’ira di Hako divampò come una fiamma.
«Osi rispondermi così? Prendi questo!» e spinse la lancia verso di lui.
Ma Eiko si spostò repentinamente di lato e nello stesso tempo, sollevando la spada, ferì alla testa il cavallo del generale. Hako, costretto a scendere, stava per scagliarsi contro l’avversario, quando Eiko, veloce come un lampo, strappò dal suo petto l’insegna del comando e galoppò via. L’azione era stata così improvvisa e rapida che Hako rimase sbalordito senza sapere che fare.
L’imperatrice aveva assistito alla scena e non aveva potuto che ammirare la rapidità dell’ambizioso Eiko, e per riportare la pace fra i due rivali, decise nominarli entrambi generali del suo esercito.
E così Hako fu nominato comandante dell’ala sinistra ed Eiko di quella destra. Centomila soldati li seguivano e marciavano per abbattere il ribelle Kokai.
In breve tempo i due generali raggiunsero la roccaforte in cui Kokai si era asserragliato. Quando si accorse che si stavano avvicinando, il mago disse:
«Spazzerò via quei due ragazzini con un soffio solo». Non aveva la più pallida idea di che dura battaglia lo aspettava.
Con queste parole Kokai afferrò un bastone di ferro, montò in sella a un cavallo nero e si slanciò avanti come una tigre inferocita per incontrare i suoi due nemici.
Non appena i due giovani guerrieri lo videro scagliarsi contro di loro, si dissero l’uno con l’altro: «Non dobbiamo permettere che ne esca vivo», e lo assalirono da destra e da sinistra con la spada e con la lancia. Ma non era così facile sconfiggere il potentissimo Kokai, che prese a roteare vorticosamente il suo bastone di ferro come una grande ruota di mulino, cosicché per un bel po’ di tempo non ci furono né vinti né vincitori. Alla fine, per evitare il bastone di ferro del mago, Hako fece voltare il cavallo troppo in fretta. L’animale urtò con lo zoccolo in una grossa pietra e terrorizzato si drizzò come un paravento sulle zampe posteriori, gettando a terra il suo cavaliere.
Allora Kokai sollevò la sua spada a tre tagli e stava per uccidere l’indifeso Hako, ma prima che potesse portare a termine la sua infame azione, il valoroso Eiko girò il cavallo fino a trovarsi di fronte a Kokai e lo sfidò a mettere alla prova la sua forza con lui invece di uccidere un uomo caduto. Ma Kokai era stanco e non se la sentiva di affrontare quel soldato riposato e coraggioso, cosicché fece voltare il suo cavallo e fuggì dalla mischia.
Intanto Hako, che era solo leggermente stordito, si era alzato in piedi, e lui e il suo compagno inseguirono il nemico in fuga uno a piedi e l’altro a cavallo.
Kokai, vedendosi inseguito, si voltò verso il suo assalitore più vicino, che naturalmente era Eiko, ed estratta una freccia dalla faretra che gli pendeva sulla schiena, la incoccò e la scoccò contro Eiko.
Veloce come un lampo l’attento Eiko evitò la saetta che colpì soltanto le cinghie del suo elmo, fu deviata e arrivò innocua contro l’armatura di Hako.
Il mago vide che entrambi i suoi nemici erano rimasti illesi. Si rese anche conto che non c’era tempo di scagliare un’altra freccia prima che piombassero su di lui, e così per salvarsi ricorse alla magia. Stese la bacchetta magica, e subito si levò una grande ondata che trascinò via come foglie d’autunno cadute l’esercito di Jokwa e i suoi valorosi generali.
Hako ed Eiko si trovarono a dibattersi immersi nell’acqua fino al collo e, guardandosi intorno, videro il feroce Kokai che veniva verso di loro tenendo in alto il suo bastone di ferro. Pensarono per un attimo che stavano per essere abbattuti, ma coraggiosamente nuotarono con forza per portarsi il più lontano possibile da Kokai. All’improvviso si trovarono davanti a qualcosa che sembrava essere un’isola che si levava diritta sulle acque. Alzarono gli occhi e videro un vecchio con i capelli bianchi come la neve che sorrideva nella loro direzione. Gli gridarono di aiutarli. Il vecchio annuì e scese fino al bordo dell’acqua. Non appena i suoi piedi la toccarono, le onde si divisero e tra lo sbalordimento degli uomini che stavano affogando apparve una strada che permise loro di portarsi in salvo.
Nel frattempo Kokai aveva raggiunto l’isola che era uscita dall’acqua come per incanto e, vedendo che i suoi nemici erano salvi, divenne furibondo. Si slanciò attraverso l’acqua contro il vecchio, e sembrò certo che lo avrebbe ucciso. Ma il vecchio non sembrò minimamente spaventato e aspettò con calma l’assalto del mago.
Quando Kokai si avvicinò, il vecchio rise forte e allegramente, poi, tramutatosi in una grande e bella gru, sbatté le ali e volò alto nel cielo.
A quella vista Hako ed Eiko capirono che il loro salvatore non era un semplice essere umano, ma forse era un dio travestito, e sperarono di scoprire prima o poi dove abitava quel venerabile vecchio.
Intanto si erano ritirati, e poiché il sole stava tramontando ed era quasi notte, sia Kokai che i giovani guerrieri desistettero dall’idea di combattere ancora per quel giorno.
Durante quella notte Hako ed Eiko decisero che era inutile combattere contro il mago Kokai, dato che questi era dotato di poteri soprannaturali, mentre loro due erano dei semplici esseri umani. E così si presentarono all’imperatrice Jokwa. Dopo un lungo consulto l’imperatrice decise di chiedere al Re del Fuoco, Shikuyu, di aiutarla contro il mago ribelle e di guidare il suo esercito contro di lui.
Ora Shikuyu, il Re del Fuoco, viveva al Polo Sud. Per lui era l’unico posto sicuro dove abitare, dal momento che bruciava ogni cosa intorno a lui, ma era impossibile bruciare la neve e il ghiaccio. Aveva l’aspetto di un gigante ed era alto trenta piedi. Il suo viso era simile al marmo e la barba era lunga e bianca come neve. Aveva una forza prodigiosa e comandava il fuoco proprio come Kokai comandava l’acqua.
«Di certo» pensò la principessa «Shikuyu è in grado di sconfiggere Kokai». E così mandò Eiko al Polo Sud per supplicare Shikuyu di condurre personalmente la guerra contro Kokai e di sconfiggerlo una volta per tutte.
Il Re del Fuoco, all’udire la richiesta dell’imperatrice, sorrise e disse:
«Niente di più facile, puoi starne certo! Sappi che ero proprio io quello che è venuto a salvare te e i tuoi compagni mentre stavate per affogare tra le onde scatenate da Kokai!».
Eiko fu stupito quando apprese ciò. Ringraziò il Re del Fuoco per essere venuto a salvarli in quel terribile frangente e lo supplicò di far ritorno con lui per condurre la guerra e sconfiggere il malvagio Kokai.
Shikuyu esaudì la preghiera e fece ritorno con Eiko dall’imperatrice. Questa lo accolse con cordialità e gli spiegò a sua volta perché lo aveva mandato a chiamare, cioè per chiedergli di essere il comandante supremo del suo esercito. La risposta del Re del Fuoco fu quanto di più rassicurante:
«Non avere il minimo timore. Non desidero altro che uccidere Kokai».
Shikuyu quindi si pose alla testa di trentamila soldati e, con Hako ed Eiko che gli mostravano la strada, marciò alla volta della roccaforte del nemico. Il Re del Fuoco conosceva il segreto della potenza di Kokai e disse a tutti i soldati di raccogliere un certo tipo di cespuglio. Poi ne bruciarono una grande quantità, e il Re del Fuoco ordinò a ciascuno di riempire un sacchetto con la cenere ottenuta.
Kokai dal canto suo riteneva che Shikuyu avesse dei poteri inferiori ai suoi e mormorava irosamente:
«Anche se sei il Re del Fuoco, ben presto ti spegnerò».
Poi recitò una formula magica, e le onde sorsero e si levarono alte come montagne. Shikuyu, per nulla spaventato, ordinò ai soldati di spargere la cenere che aveva fatto preparare. Ciascuno fece quanto era stato ordinato, e tale era il potere di quella pianta che avevano bruciato che, non appena la cenere si mescolò con l’acqua, si formò un fango compatto che li salvò dall’annegamento.
A questo punto Kokai il mago si spaventò vedendo che il Re del Fuoco gli era superiore per conoscenze, e la sua collera fu così grande che si gettò avventatamente contro il nemico.
Eiko corse verso di lui e i due lottarono insieme per un certo tempo. Erano perfettamente alla pari nel combattimento corpo a corpo. Ma Hako, che stava sorvegliando attentamente la lotta, si accorse che Eiko cominciava a essere stanco e, temendo che il compagno fosse ucciso, prese il suo posto.
Ma Kokai era altrettanto stanco e sentendo che non era in grado di resistere contro Hako, disse astutamente:
«Sei molto generoso a combattere al posto del tuo amico e a correre il rischio di essere ucciso. Non voglio far del male a un uomo che dimostra un animo così grande».
E fece voltare il cavallo fingendo di ritirarsi. La sua intenzione era di fare abbassare la guardia ad Hako per poi tornare indietro e prenderlo di sorpresa.
Ma Shikuyu capì l’astuzia del mago e disse a sua volta:
«Sei un codardo! Non credere di ingannarmi!»
Dicendo questo, il Re del Fuoco fece segno ad Hako di attaccare. Allora Kokai si girò furioso verso Shikuyu, ma era stanco e incapace di combattere bene, tanto che presto fu ferito a una spalla. Allora desistette dalla lotta e tentò di scappare sul serio.
Durante la lotta fra i loro capi, i due eserciti erano stati fermi aspettando di vedere l’esito. A questo punto Shikuyu si girò e ordinò ai soldati di Jokwa di attaccare le forze nemiche. Essi obbedirono e le sconfissero infliggendo loro grandi perdite, e il mago stesso riuscì a malapena a salvarsi la vita con la fuga
Invano Kokai chiamò in suo aiuto il Demone delle Acque, dal momento che Shikuyu conosceva il controincantesimo. Il mago si rese conto che la battaglia volgeva a suo sfavore. Pazzo di dolore perché la ferita cominciava a tormentarlo e delirante per il dispiacere e la paura, batté la testa contro le rocce del Monte Shu e morì sul colpo.
Questa fu la fine del malvagio Kokai, ma non dei guai per il regno dell’imperatrice Jokwa, come vedrete. La forza con cui il mago era caduto contro le rocce era stata così grande che la montagna esplose, il fuoco si precipitò fuori dalla terra e una delle colonne che sorreggono il cielo si spezzo, cosicché uno degli angoli del cielo si abbassò fino a toccare terra.
Shikuyu raccolse il corpo del mago e lo portò all’imperatrice Jokwa, che si rallegrò moltissimo che il suo nemico fosse stato sconfitto e i suoi generali fossero usciti vittoriosi. Poi ricoprì Shikuyu con ogni sorta di doni e di onori.
Ma per tutto questo tempo il fuoco stava esplodendo dalla montagna spaccata dalla caduta di Kokai. Interi villaggi venivano distrutti, risaie bruciate, letti di fiumi riempiti di lava incandescente, e la gente rimasta senza tetto viveva tra le più grandi sofferenze. Allora l’imperatrice, non appena ebbe ricompensato il vittorioso Shikuyu, lasciò la capitale e si recò alla massima velocità sulla scena del disastro. Vide che il cielo e la terra avevano subito danni, e il luogo era così buio che dovette accendere la propria lampada per rendersi conto di quanto grande fosse la devastazione che si era prodotta.
Accertato tutto ciò, si mise al lavoro per rimediare al disastro. A questo scopo ordinò ai propri sudditi di raccogliere pietre di cinque colori: blu, giallo, rosso, bianco e nero. Quando le ebbe, le fece bollire in un enorme calderone insieme a un certo tipo di porcellana finché il miscuglio divenne un impasto di gradevole aspetto, e lei capì che con esso avrebbe potuto riparare il cielo. A questo punto era tutto pronto.
Radunò le nuvole che veleggiavano in alto sopra di lei, montò su di esse e salì verso il cielo portando tra le mani il vaso che conteneva l’impasto fatto con le pietre di cinque colori. Presto raggiunse quell’angolo del cielo che si era rotto, applicò l’impasto e lo aggiustò. Ciò fatto, rivolse l’attenzione alla colonna spezzata e la riparò con le zampe di un enorme tartaruga. Terminato ciò, risalì sulle nuvole e scese sulla terra con la speranza che tutto fosse tornato alla normalità, ma con sgomento trovò che l’oscurità era ancora fitta. Di giorno non splendeva il sole e di notte non brillava la luna.
Molto perplessa, decise di chiamare a consiglio tutti i saggi del regno e chiese il loro parere su cosa fare in quella situazione misteriosa.
Due dei più saggi dissero:
«Le strade del cielo sono state danneggiate dal recente disastro, cosicché il Sole e la Luna sono stati costretti a rimanere a casa. Per colpa delle strade accidentate il Sole non può fare il suo viaggio durante il giorno e la Luna non può farlo durante la notte. Il Sole e la Luna non sanno ancora che vostra maestà ha riparato tutto ciò che aveva subito danni, per cui andremo loro e recheremo la notizia che vostra maestà ha rimediato e che le loro strade ora sono sicure».
L’imperatrice approvò il suggerimento dei due saggi e ordinò loro di partire per la missione. Ma non era facile, poiché il palazzo del Sole e della Luna si trovava a una distanza di centinaia di migliaia di miglia a est. Se avessero viaggiato a piedi, non sarebbero mai arrivati, sarebbero morti di vecchiaia lungo la strada. Ma Jokwa ricorse alla magia. Diede ai due ambasciatori dei carri incantati in grado di percorrere nell’aria mille miglia al minuto. I due vi sedettero contenti cavalcando sopra le nuvole e dopo parecchi giorni raggiunsero il paese dove il Sole e la Luna vivevano felici insieme. I due ambasciatori ottennero di essere ricevuti dalle Maestà di Luce e chiesero loro per quale motivo erano stati tanti giorni segregati dall’universo. Non sapevano forse che così facendo avevano precipitato il mondo e tutti i suoi abitanti nella più grande oscurità sia di giorno che di notte?
Il Sole e la Luna risposero:
«Certo saprete che il Monte Shu è improvvisamente esploso eruttando fuoco e che le strade del cielo hanno subito gravissimi danni. Io, il Sole, ho trovato impossibile fare il mio viaggio durante il giorno lungo strade così accidentate, e sono certo che anche la Luna non è in grado di uscire di notte. E così ci siamo ritirati per un po’ a vita privata».
Allora i due saggi si inchinarono fino a terra e dissero:
«La nostra imperatrice Jokwa ha già riparato le strade con le prodigiose pietre di cinque colori, per cui abbiamo l’onore di garantire alle vostre maestà che le strade sono di nuovo come erano prima che si verificasse l’eruzione».
Ma il Sole e la Luna esitavano ancora e dissero di aver udito che anche una delle colonne del cielo si era spezzata e quindi avevano temevano che, anche se le strade erano state rifatte, sarebbe stato ancora pericoloso per loro uscire a compiere i loro viaggi abituali.
«Non dovete preoccuparvi per la colonna spezzata» dissero i due ambasciatori. «La nostra imperatrice l’ha aggiustata con le zampe di una grande tartaruga e ora è salda come non mai».
Allora il Sole e la Luna sembrarono essere soddisfatti, uscirono entrambi per provare le strade e riconobbero che quanto avevano detto loro gli inviati dell’imperatrice rispondeva a verità.
Dopo aver esaminato le strade del cielo, il Sole e la Luna donarono di nuovo luce alla terra. Tutta la gente se ne rallegrò moltissimo, e pace e prosperità furono assicurate per lungo tempo alla Cina sotto il regno della saggia imperatrice Jokwa.

 
 
 
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