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Un blog creato da kaori_chan il 27/01/2011

Yume no Hime

So run, run, run and hate me, if it feels good I can't hear your screams anymore...

 
 

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« Lo specchio di Matsuyama...Fear »

Lo specchio di Matsuyama (parte 1)

Post n°51 pubblicato il 23 Aprile 2012 da kaori_chan

Tantissimi anni fa,http://t1.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTZku0nc_qGs_lANXbKDTWz5LiQ2_vjP0_7wcIL7eoZyZ2WIXM3PUbpo8bIkg
nell’antico Giappone,
vivevano a
Matsuyama, nella Provincia di Echigo (una remotissima del Giappone perfino ai giorni nostri), un uomo e sua moglie. Quando questa storia ha inizio, erano già sposati da alcuni anni e la loro unione era stata benedetta dalla nascita di una bambina, che era la gioia e l’orgoglio della loro vita, e pensavano che sarebbe stata una fonte d’infinita felicità nella loro vecchiaia.
Giorni incisi a lettere d’oro nella loro memoria erano stati quelli che avevano segnato l’uscita della bambina dalla prima infanzia; la visita al tempio quando aveva appena tredici giorni, con la mamma che la portava in braccio orgogliosa, vestita con il kimono da cerimonia, per metterla sotto la protezione della divinità di famiglia; e poi la sua prima festa delle bambole, quando i genitori le avevano regalato una serie di bambole e i loro corredini da arricchire un anno dopo l’altro; e poi l’avvenimento forse più importante, al suo terzo compleanno, quando il suo primo obi, tutto oro e scarlatto, era stato legato intorno al suo vitino a simboleggiare che aveva oltrepassato la soglia della prima infanzia e l’aveva lasciata alle spalle.
Adesso aveva sette anni, e aveva imparato a parlare bene e a servire i genitori in tutte quelle piccole cose che deliziano il cuore dei genitori amorosi. La loro felicità era al colmo. Non si sarebbe potuta trovare in tutte le isole del Giappone una famigliola più felice di quella.
Arrivò un giorno in cui c’era molta agitazione in casa, poiché il padre era stato improvvisamente convocato alla capitale per affari.
In questi tempi di aerei, ferrovie, automobili e altri rapidi mezzi per viaggiare è difficile rendersi conto che razza di viaggio fosse allora andare da Matsuyama a Kyoto. Le strade erano brutte e accidentate, e la gente che viaggiava doveva percorrere tutto il tragitto a piedi, sia che la distanza fosse di un miglio o di cento miglia o di centinaia di miglia. Insomma a quei tempi per un giapponese recarsi fino alla capitale era un’impresa più difficile che andare adesso dal Giappone all’Europa.
Per questo la moglie era molto preoccupata mentre aiutava il marito a prepararsi per il lungo viaggio, poiché sapeva quale duro compito lo aspettava. Inutilmente desiderava di poterlo accompagnare, perché la distanza era troppo grande per la mamma e la bambina, e per di più la moglie aveva il dovere di prendersi cura della casa.
Finalmente tutto fu pronto, e il marito raccolse attorno a sé nel portico la sua piccola famiglia.
«Non preoccuparti» disse alla moglie «tornerò presto. Mentre sarò via, prenditi cura di tutto, e specialmente della nostra figlioletta».
«Sì, farò tutto per bene, ma tu, tu dovrai aver cura di te e non tardare neppure un giorno nel tornare da noi» rispose la moglie mentre le lacrime le scendevano copiose dagli occhi.
La bambina era l’unica che sorrideva, perché ignorava quanta pena porta con sé dover partire e non poteva sapere che andare fino alla capitale era ben diverso che fare una passeggiata fino al villaggio vicino, cosa che il padre faceva molto spesso. Corse al fianco del padre e lo prese per la lunga manica per averlo un momento tutto per sé.
«Papà, sarò buona mentre aspetterò che tu ritorni, ma per favore portami un regalo».
Quando il padre si voltò per dare un ultimo sguardo alla moglie in lacrime e alla bambina sorridente e speranzosa, gli sembrò come se qualcuno lo tirasse indietro per i capelli, tanto era duro lasciarli, perché non si erano mai separati prima di allora. Ma sapeva che era necessario partire, perché la chiamata era un ordine. Si sforzò di non pensarci e, voltatosi con decisione, lasciò velocemente il piccolo giardino e uscì dal cancello. La moglie prese la figlia tra le braccia, corse il più vicino possibile al cancello e guardò il marito mentre percorreva la strada fra i pini, finché si perse nella nebbia della distanza e tutto ciò che riusciva a vedere fu solo il curioso cappello a punta. Poi sparì anche quello.
«Papà è partito» disse la mamma «e io devo prendermi cura di tutto finché tornerà indietro», e riprese la via per tornare a casa.
«Sì, sarò molto buona» disse la bambina chinando il capo «e quando papà tornerà a casa, digli per favore quanto sono stata buona, così forse mi farà un regalo».
«Tuo padre ti porterà sicuramente una cosa che desideri molto. Lo so, perché gli ho chiesto di portarti una bambola. Devi pensare a tuo padre tutti i giorni e pregare perché faccia un viaggio sicuro fino a quando ritornerà».
«Oh sì, sarò tanto tanto felice quando tornerà» disse la bambina battendo le mani, mentre il suo visino s’illuminava sempre più per la felicità e per il piacere che le dava quel pensiero. La mamma, mentre guardava il viso della bambina, sentiva il suo amore crescere sempre più a ogni istante.
Poi si mise al lavoro per cucire i vestiti per l’inverno di tutti e tre. Preparò il suo semplice arcolaio e filò la lana per cominciare a tessere. Nelle pause del lavoro giocava con la bambina e le insegnava a leggere le antiche storie del suo paese. In questo modo si consolava durante i giorni di solitudine mentre il marito era assente. Intanto che il tempo scorreva veloce in queste occupazioni nella casa tranquilla, il marito sbrigò tutti i suoi affari e ritornò
Sarebbe stato difficile riconoscerlo per chiunque non lo conoscesse bene. Aveva viaggiato per giorni e giorni, esposto a tutte le intemperie, per quasi un mese intero, e il sole lo aveva fatto diventare del colore del bronzo, ma la moglie e la figlia lo riconobbero al primo sguardo e gli corsero incontro prendendolo ciascuna per una manica nel loro appassionato saluto. Sia l’uomo che la donna furono felici di ritrovarsi in buona salute. Era sembrato a tutti che fosse passato un tempo lunghissimo. Poi la mamma e la bambina lo aiutarono a slacciare i sandali di paglia, portarono via il suo grande ombrello, e lui si ritrovò nuovamente in quel soggiorno che conosceva bene e che era stato tremendamente vuoto mentre era lontano.
Non appena si fu seduto sulla stuoia bianca, il padre aprì un cesto di bambù che aveva portato con sé e tirò fuori una bella bambola e una scatola laccata di dolci.
«Questo» disse alla bambina «è un regalo per te. È il premio per esserti presa cura della mamma e della casa mentre ero lontano».
«Grazie» disse lei, piegando la testa verso terra, e stese la mano come una piccola foglia di acero, con le dita ansiose tutte allargate per prendere la bambola e la scatola, entrambe, dato che venivano dalla capitale, più belle di tutte quelle che avesse mai visto. Non ci sono parole per raccontare quanto la bambina fosse estasiata. Sembrava che il suo viso si stesse sciogliendo dalla gioia, e non riusciva a vedere e a pensare ad altro che a quei due oggetti.
Il marito mise di nuovo la mano nel cestino e questa volta tirò fuori una scatola di legno quadrata, legata accuratamente con lacci bianchi e rossi, e porgendola alla moglie disse:
«E questo è per te».
La moglie prese la scatola e apertala con cautela ne estrasse un disco metallico con un manico. Uno dei lati era lucido e brillava come cristallo, l’altro era ricoperto di immagini in rilievo che raffiguravano pini e gru, intagliate in modo realistico sulla superficie morbida. Non aveva mai visto niente di simile in vita sua, dal momento che era nata e cresciuta nella provincia rurale di Echigo. Guardò a lungo nel disco brillante e, scorgendo con sorpresa e meraviglia il suo volto riflesso, disse:
«Vedo qualcuno che mi osserva da questo oggetto rotondo! Cosa mi hai portato?»
Il marito rise e disse:
«È perché stai vedendo il tuo viso. L’oggetto che ti ho portato si chiama “specchio”, e tutti quelli che guardano nella sua lucida superficie possono vedervi riflesso il loro aspetto. Anche se in questi luoghi lontani non se ne sono mai visti, nella capitale sono usati fin dai tempi più antichi. Da quelle parti lo specchio è considerato un oggetto assolutamente necessario per una donna. Dice un proverbio: “Come la spada è l’anima di un samurai, così lo specchio è l’anima di una donna”, e secondo una tradizione popolare lo specchio di una donna riflette il suo cuore: se lo mantiene lucido e pulito, anche il suo cuore è buono e puro. Lo specchio è anche uno dei tesori che fanno parte delle insegne imperiali. Perciò lo devi conservare con la massima cura e usarlo con delicatezza».
La donna ascoltò tutto quello che il marito le diceva e fu contenta di imparare tante cose nuove per lei. Ed era ancora più contenta per quel dono prezioso, pegno del fatto che l’aveva pensata mentre era lontano.
«Se lo specchio è il simbolo della mia anima, lo stimerò come una proprietà preziosa e non lo userò mai senza delicatezza». Così dicendo, lo sollevò in alto sopra la fronte per indicare che lo accettava come un dono gradito, poi lo ripose nella scatola e lo portò via.
La donna vide che il marito era molto stanco e cominciò a servirgli la cena e a fare tutto quello che poteva per metterlo a suo agio. A quella famigliola sembrava di non aver mai conosciuto la felicità prima di allora, tanto grande era il piacere di trovarsi di nuovo insieme, e quella sera il padre aveva tante cose da raccontare sul suo viaggio e su quello che aveva visto nella grande capitale.
Il tempo scorreva in quella casa tranquilla, e i genitori videro realizzarsi le loro più grandi speranze quando la loro bambina crebbe fino a diventare una splendida ragazza di sedici anni. Come uno che possiede un gioiello di inestimabile valore lo tiene tra le sue mani orgogliose, così essi l’avevano allevata con cura e amore incessanti, e adesso le loro pene erano state ricompensate più del doppio. Che soddisfazione per la madre quando la ragazza girava per casa occupandosi della sua parte di faccende domestiche, e come era orgoglioso di lei suo padre perché somigliava tanto alla madre da ricordargli il suo aspetto quando l’aveva sposata.
Ma, ahimè!, su questa terra niente dura per sempre. Neppure la luna ha sempre una forma perfetta e con l’andare del tempo perde la sua rotondità, e i fiori prima sbocciano ma poi appassiscono. E così alla fine la felicità di questa famiglia fu spezzata. Quella moglie e madre buona e gentile un giorno si ammalò.
Nei primi giorni di malattia il padre e la figlia pensarono che fosse un semplice raffreddore e non si preoccuparono molto. Ma i giorni passavano e la madre non accennava a stare meglio; stava sempre peggio, e il dottore era perplesso: malgrado tutto quello che faceva, la povera donna diventava sempre più debole di giorno in giorno. Il padre e la figlia erano sconvolti dalla pena, e la figlia non si allontanava dal fianco della madre né di notte né di giorno. Ma purtroppo, malgrado tutti i loro sforzi, non fu possibile salvarle la vita.
Un giorno, mentre la ragazza stava seduta accanto al letto della madre cercando di nascondere dietro un sorriso la preoccupazione che la rodeva, la madre si sollevò e prendendo la mano della figlia la fissò intensamente negli occhi con tristezza e amore. Il suo respiro era affannoso e parlava con difficoltà:
«Figlia mia, sono sicura che nessuno potrà salvarmi ormai. Promettimi che quando sarò morta ti prenderai cura del tuo amato padre e farai di tutto per essere una donna buona e obbediente».
«Oh, mamma» disse la ragazza mentre le lacrime le scendevano dagli occhi, «non devi dire queste cose. Tutto quello che devi fare è sbrigarti a guarire. Questa sarebbe la più grande felicità per mio padre e per me».
«Lo so, ed è una consolazione nelle mie ultime ore sapere quanto ardentemente desideri che io stia meglio, ma non è possibile. Non essere tanto triste. Era stabilito nel mio stato di esistenza precedente che avrei dovuto lasciare questa vita proprio in questo momento. È una consapevolezza che mi rende rassegnata al mio destino. E adesso devo darti una cosa per ricordarti il momento in cui ti ho lasciata».
Tirò fuori una mano e prese da un lato del cuscino una scatola quadrata di legno legata con una laccio di seta che terminava con dei fiocchi. Lo sciolse con cura e tirò fuori dalla scatola lo specchio che il marito le aveva regalato tanti anni prima.
«Quando eri ancora una bambina tuo padre andò fino alla capitale e mi portò in dono questo tesoro. Si chiama “specchio”. Te lo regalo prima di morire. Quando avrò lasciato questa vita, tu ti sentirai sola e qualche volta avrai il desiderio di vedermi, prendi questo specchio e sulla sua superficie luminosa e brillante vedrai sempre me. In questo modo potrai incontrarmi e aprirmi il tuo cuore. Non ti potrò parlare, ma ricordati che io ti ascolterò e capirò i tuoi sentimenti e saprò tutto ciò che potrà accaderti in futuro».
Con queste parole la donna morente porse lo specchio alla figlia.
Poi la sua mente sembrò pensare soltanto al riposo. Si piegò all’indietro senza dire altro, e il suo spirito passò tranquillo al di là di questa vita.
Il padre e la figlia disperati erano distrutti dal dolore e si lasciarono andare al più amaro dei rimpianti. Sembrava loro impossibile abbandonare quella donna che avevano tanto amato, che aveva dato un senso alle loro vite, affidare il suo corpo alla terra.
Ma quella incontenibile esplosione di dolore passò, tornarono padroni di sé, e si rassegnarono.
Però, malgrado la rassegnazione, alla ragazza la vita sembrava vuota. Il suo amore per la madre che non c’era più non diminuiva col passare del tempo, e il ricordo di lei era così forte che in ogni momento nella vita di tutti i giorni, cadesse la pioggia o soffiasse il vento, tutto le ricordava la morte della mamma e le cose che avevano amato e condiviso insieme.
Un giorno, mentre il padre era fuori casa e lei aveva terminato i lavori domestici, la solitudine e la tristezza le sembrarono più grandi di quello che poteva sopportare. Si recò nella camera della mamma e pianse come se il suo cuore si fosse spezzato. Ah, se quella povera piccina avesse potuto vedere solo per un attimo quel viso adorato, ascoltare il suono di quella voce che la chiamava con il solito soprannome o dimenticare completamente per un attimo il doloroso vuoto del suo cuore! Improvvisamente si sedette. Le ultime parole di sua madre che fino a quel momento erano state offuscate dal dolore, le erano tornate in mente.
«Oh! Quando la mamma mi ha dato lo specchio come dono d’addio, mi ha detto che in qualsiasi momento avessi guardato dentro di esso, avrei potuto incontrarla... vederla. Avevo dimenticato queste parole... che sciocca sono. Andrò a prendere lo specchio e vedrò se tutto questo è possibile».
Si asciugò gli occhi e prese dall’armadio la scatola che conteneva lo specchio. Il cuore le batteva per l’attesa quando sollevò lo specchio e guardò il suo viso levigato. Le parole di sua madre erano vere! Nello specchio vedeva il viso di sua madre... ma (che piacevole sorpresa!) non era il viso scarno e devastato dalla malattia, ma quella bella e giovane donna che le tornava in mente quando pensava ai giorni della sua prima infanzia. Sembrava che la ragazza che la guardava dallo specchio stesse per parlarle, era come se udisse la voce di sua madre che le ripeteva di crescere e di diventare una brava ragazza e una figlia rispettosa, talmente la riportavano indietro nel tempo gli occhi che vedeva nello specchio.
«È certamente l’anima di mia mamma quella che sto vedendo. Lei sa quanto sono infelice senza di lei e che deve venire a consolarmi!».
E a partire da quel momento quel giovane cuore sentì molto meno il peso delle sofferenze. Ogni mattina, per raccogliere le forze per gli impegni quotidiani che l’aspettavano, lasciava da parte tutto, tirava fuori lo specchio e guardava quella ragazza che nella sua ingenuità credeva fosse l’anima della madre. Giorno dopo giorno il suo carattere diventava come quello della madre, era dolce e gentile con tutti e sottomessa al padre.
Era trascorso così un anno nel cordoglio in quella piccola casa quando, su consiglio dei parenti, l’uomo si risposò, e la figlia si ritrovò sotto l’autorità di una matrigna.
Era una posizione difficile, ma i giorni passati nel ricordo dell’amata madre e nel tentativo di essere come lei voleva che fosse, avevano fatto diventare la ragazza docile e paziente, tanto che decise di essere come una figlia obbediente in tutto per la moglie di suo padre. All’apparenza ogni cosa andò liscia per un po’ in famiglia in quel nuovo modo di vivere; non c’era alcun sentore di discordia che disturbasse la vita di tutti i giorni, e il padre era soddisfatto.

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Commenti al Post:
fataeli_2010
fataeli_2010 il 23/04/12 alle 11:22 via WEB
Ciao cara Kaori buon inizio di settimana.Un forte abbraccio bel post
 
fatastrega2
fatastrega2 il 23/04/12 alle 11:27 via WEB
La perdita della mdre è un dolore immenso ma continua fata e vedremo....buon inizio di settimana;)Angela
 
Duffy.Williams
Duffy.Williams il 23/04/12 alle 19:00 via WEB
io lo adoro il giappone :3 quando ho visto le immagini di death note...c'è palpitazioni **
 
fatastrega2
fatastrega2 il 24/04/12 alle 11:27 via WEB
Un abbraccio cara;)Angela
 
fatastrega2
fatastrega2 il 26/04/12 alle 10:47 via WEB
Buongiorno;)Angela
 
LaNinfaMaia
LaNinfaMaia il 28/04/12 alle 12:48 via WEB
"Bisogna essere felici di nulla, magari di una goccia d’acqua oppure di un filo di vento un animaletto che si posa sul tuo braccio o del profumo che viene dal giardino. Bisogna camminare su questa terra con le braccia tese verso qualcosa che verrà e avere occhi sereni per tutte le incertezze del destino. Bisogna saper contare le stelle, amare tutti i palpiti del cielo e ricordarsi sempre di chi ci vuole bene. Solo così il tempo passerà senza rimpianti e un giorno potremo raccontare di aver avuto tanto dalla vita. (Manolo Alvarez, poeta contadino spagnolo) " ---Buon fine di settimana kAORI ^__^
 
fataeli_2010
fataeli_2010 il 01/05/12 alle 20:30 via WEB
Ciao carissima Kaori buon primo Maggio.Un forte abbraccio ^_^
 
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