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PAREGGIO DI BILANCIO. ONIDA: “È SEGNO DI IMPOTENZA POLITICA” Di Eleonora Martini
Post n°354 pubblicato il 12 Settembre 2011 da marcozio1
Intervista a Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale «Introdurre il vincolo in Costituzione farebbe slittare poteri e responsabilità sugli organi giurisdizionali». Il manifesto, 8 settembre 2011 Il pareggio di bilancio in Costituzione? «È una dichiarazione d’impotenza della politica. Uno slittamento di poteri e di responsabilità dagli organi politici a quelli giurisdizionali». Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale e docente alla Statale di Milano, attende con interesse di sapere le modalità con le quali questa mattina il Consiglio dei ministri avvierà l’iter di introduzione nella Carta della cosiddetta «regola d’oro» sul pareggio di bilancio. Di dubbi però ne ha più d’uno: «Sembra un po’ come Ulisse che sa di non doversi buttare, ma non fidandosi della propria volontà si fa legare per resistere al canto delle sirene». Bocciatura assoluta? Di per sé introdurre un vincolo sul pareggio di bilancio che non sia in termini assoluti, rigidi, ma con tutte le eccezioni necessarie – non necessariamente tutti gli anni, per tenere conto dei cicli, e con deroghe in caso di emergenza – è ragionevole. Il dubbio è che sembra quasi un vincolo costituzionale alla buona amministrazione, quella che la politica dovrebbe essere in grado di assicurare sempre ma soprattutto in tempi come questi in cui tutti sembrano condividerne la necessità. È una dichiarazione d’impotenza della politica. L’articolo 81 della Carta già impone che le leggi abbiano una copertura finanziaria, perché non basta? Può succedere che una legge introduca meccanismi di spesa che poi nel tempo sfuggono al legislatore, oppure nel cambio di congiuntura economica non si riesce più a mantenere le coperture. Ecco allora che se non si è tenuto conto di possibili evenienze esterne, come la diminuzione di entrate o i meccanismi inflattivi, nel tempo gli equilibri si alterano e quindi occorrono manovre di rientro che sono politicamente dolorose. Vuol dire, insomma, che un dettato costituzionale, come sappiamo, può diventare carta straccia? Scrivere l’obbligo del pareggio in Costituzione è solo una dichiarazione solenne della volontà di provvedere a fare ciò che in passato non si è fatto. Quale strumento in più, allora, si otterrebbe con la clausola? La legge di stabilità potrebbe essere contestata costituzionalmente e fermata dallo stesso Capo dello Stato se non rispettosa di questi vincoli. Però è proprio questo il problema: alla fine sarebbe un giudice costituzionale e non il governo o il parlamento a pronunciarsi sulla correttezza di una manovra finanziaria. Ancora una volta su questo tipo di equilibri si rimetterebbe il giudizio finale all’esterno della politica. Perché paesi come gli Stati uniti, la Spagna o la Germania hanno o stanno introducendo vincoli simili sul bilancio dello stato? Negli Usa non c’è un vincolo di pareggio ma è il Congresso che autorizza l’aumento del debito. In Spagna invece il vincolo costituzionale è posto – secondo il progetto in via di approvazione – in termini molto generici e poi rimesso, per quanto riguarda le modalità concrete di attuazione, a leggi organiche approvate con procedure particolari e che sono più forti delle leggi ordinarie. Infatti mi sembra che anche da noi si vorrebbe richiedere una maggioranza qualificata per le leggi che introducano deroghe. Analogamente, in Germania il vincolo costituzionale prevede elasticità e eccezioni. Eppure anche in Germania l’intervento finanziario «di salvataggio» della Grecia è finito davanti alla Corte costituzionale. Questa è una cosa diversa, non c’entra col vincolo di bilancio. Ma, ecco, introducendolo avremmo proprio un effetto di questo genere: l’aumento dei poteri dei giudici. In più, siccome da noi adire la Corte costituzionale è molto più complicato che in Germania, si prevede che sia la Corte dei conti a poter impugnare la legge. L’intenzione sarebbe quella di aggiungere controlli ex post oltre che ex ante, è così? Beh, per forza. Perché da noi è oggi difficilmente praticabile la strada del giudizio di costituzionalità da parte dell’Alta corte su una manovra di bilancio. Quindi occorre un ulteriore meccanismo di controllo sulla legge. Così si accentua questo spostamento di attenzione e di poteri dagli organi politici all’organo giudiziario. Ma allora, questa modifica dell’articolo 81 è solo un contentino per rassicurare la Bce e i partner europei? Sì, in un certo senso è questo. Si tratta di dare un segnale positivo proprio perché la politica italiana ha perso credibilità. Un vincolo del genere sarebbe rassicurante all’esterno ma non è detto che saremmo in grado di tenervi fede. Non escludo un qualche significato positivo, ma l’utilità mi sembra dubbia. Viceversa, non potrebbe essere controproducente, diventare un’arma per impedire interventi sul welfare, per esempio, o addirittura per paralizzare un governo? Forse, ma il punto è un altro: siccome il vincolo non può essere assoluto e rigido, alla fine chi può giudicare se quella manovra è rispettosa o meno della Costituzione, tenendo conto di tutte le circostanze e delle possibili deroghe? Come si fa a valutare per esempio se si rispetta adeguatamente il ciclo strutturale? Sono valutazioni tecniche non facili, tipicamente di politica finanziaria, che vengono così spostate sugli organi giurisdizionali. Il manifesto, 8 settembre 2011
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