volevo addestrarti
come si fa coi leoni
o con le pulci,
insegnarti
a accarezzarmi
come quelli
che lo vedi
che inevitabilmente
si amano.
volevo imbalsamarti
come facevano
gli egizi, o i cacciatori
coi cervi,
ma avrei atteso
la tua fine naturale,
un fulmine in un temporale,
una di quelle morti
che non fanno male.
volevo venerarti,
costruirti un tempio,
un altare dorato
dove avrei sacrificato
i minuti uno dopo l’altro
avrei sgozzato,
e fiotti di secondi
avrei raccolto, ordinatamente,
in una bellissima tazza blu dell’Ikea.
e per te li avrei bevuti tutti,
o mia dea.
volevo sollevarti sopra il mondo
sopra le mie responsabilità
e giustificarmi osannandoti
invece che muovere un passo
per scartavetrare una volta per tutte
questa artefatta e vischiosa irrealtà.