SO CHE E' FINITAOh madre, sento la terra che mi cade sulla testa E mentre mi arrampico su un letto vuoto Oh va bene.. ho detto abbastanza Io so che è finita, eppure non desisto Non so cos'altro fare Oh madre, sento la terra che mi cade sulla testa Guarda, il mare vuole impadronirsi di me Il coltello penetrarmi Pensi di potermi aiutare? Triste sposa velata, sii felice Bel consorte, dalle il suo spazio Amante chiassoso e villano, trattala con gentilezza Sebbene lei abbia bisogno di te più di quanto ti ami Ed io so che è finita, eppure non desisto Non so cos'altro fare So che è finita Ed in realtà non è neppure mai cominciata Ma dentro di me era tutto così reale E tu addirittura ti sei rivolto a me dicendo: "Se sei un tipo così divertente Allora perché te ne stai da solo stasera? E se sei un tipo così sveglio Allora perché te ne stai da solo stasera? Se sei tanto simpatico Allora perché te ne stai da solo stasera? Se sei tanto affascinante Perché dormi solo stanotte? Lo so perché.. Perché questa è una sera come tutte le altre Ecco perché te ne stai da solo stasera Con i tuoi trionfi ed il tuo fascino Mentre loro sono l'una nelle braccia dell'altro.." é così facile ridere é così facile odiare Ci vuole del coraggio per essere buoni e gentili é così facile ridere é così facile odiare Ci vuole del fegato per essere buoni e gentili L'amore è Naturale e Vero Ma non per te, amor mio Non stasera, amor mio L'amore è Naturale e Vero Ma non per quelli come noi, amor mio Oh madre, sento la terra che mi cade sulla testa ![]() Ultimi commentiANIMA BLUESUno dei miei film preferiti Area personale- Login
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Post n°17 pubblicato il 04 Ottobre 2007 da wolands
E' forse il primo esempio storico di faida familiare in Sicilia, una faida lunga più di un secolo. Ma sicuramente è la conferma che una donna contesa da due uomini può causare una guerra. La testimonianza più importante è quella di Elena, rapita da Paride e che scatenò una guerra fra Troiani e Greci. Ma una figura non meno importante, specialmente per la storia siciliana fu Margherita Peralta. I fatti che videro protagonista la figlia di Nicolò, capitano di Giustizia e padrone di Bivona, avvennero a Sciacca nella prima metà del 1400, e come spesso capita, per un matrimonio contestato. Alla morte di Nicolò Peralta, conte di Caltabellotta, Sclafani e Calatafimi, barone di Culla e Salina, capitano di giustizia di Sciacca e, essendo sposato con Elisabetta Chiaramonte, proprietario di Bivona, per assicurarsi la continuità dei buoni rapporti con questa nobile e potente famiglia aragonese che abitava a Sciacca, il re Martino, decise di dare la figlia di Nicolò, in moglie allo zio, Conte Artale Luna di Caltabellotta. Una decisione che contrariò molto un'altra nobile famiglia saccense, quella dei Perollo, di discendenza normanna. La giovane Margherita infatti era innamorata e ricambiata, dal giovane Giovanni Perollo. Ma il re aveva deciso. E mai decisione si rivelò tanto grave. Dal giorno delle nozze, celebrate il 17 giugno del 1400, nacque una contesa fra le due potenti famiglie di Caltabellotta e di Sciacca, i Luna ed i Perollo, in una lotta che si protrasse fino al suo triste epilogo nel 1529 quando, il discendente della famiglia Perollo, venne barbaramente ucciso ed il suo corpo trascinato per le vie di Sciacca, legato ad un cavallo in corsa. Le origini di questa faida sanguinaria che si protrasse per ben 129 anni iniziarono dunque con un matrimonio e con la gelosia di Giovanni Perollo, ma nel tempo, ogni scusa o accadimento strano, era pretesto per fatti di sangue. Persino quando il conte Luna morì improvvisamente ed in circostanze poco chiare si pensò che la sua morte fosse stata opera del Perollo, che però smentì l'accusa fino al giorno della sua morte. Alla morte dei due protagonisti del matrimonio conteso si pensò che tutto fosse stato risolto. Ma non era finita. I figli maschi del Luna e del Perollo raccolsero quell'eredità di odio che i loro rispettivi padri non avevano mai abbandonato e si ritrovarono puntualmente in disaccordo quando, nel 1454, Perollo fu costretto a cedere al Luna la Baronia di San Bartolomeo, una proprietà alla quale teneva moltissimo. Era la prima scintilla di una faida che riscoppiò ancora più cruenta nell'aprile del 1455 durante la festa della Santissima Spina di Gesù. Antonio Luna stava partecipando alla processione. Arrivato davanti il palazzo dei Perollo e vedendo le finestre chiuse, convinto che non potesse essere ascoltato, lo insultò pubblicamente. Ma non fu così. Le imposte s’aprirono improvvisamente e Pietro Perollo scese in piazza, raggiunse il corteo, e insieme ai suoi uomini accoltellò Antonio Luna. Sanguinante, a terra, credendolo morto, Perollo ordinò ai suoi uomini di calpestargli il volto e di incendiare tutte le abitazioni di proprietà dei Luna. La vendetta di Antonio Luna, che era sopravvissuto all'attentato non tardò ad arrivare. Guarito dalle ferite, radunò i suoi uomini, si recò a Sciacca e diede fuoco al castello dei Perollo ed a tutte le abitazioni che si trovavano intorno ad esso. Ormai l'odio fra le due famiglie, iniziato con il matrimonio di Margherita Peralta e Artale Luna era al culmine e investiva anche le nuove generazioni. E infatti il “Caso di Sciacca” ricostruito e pubblicato dallo storico Francesco Savasta non si concluse così. Sessantaquattro anni dopo, nel 1529, l'odio tra le due famiglie tornò a manifestarsi per un episodio che vide protagonista il corsaro dei Mori, Sinan Bassah detto “il giudeo”. Il moro aveva fatto prigioniero il Barone di Solanto e, arrivato presso le coste di Sciacca, alzò la bandiera che segnalava “prigioniero di riguardo a bordo da riscattare” dando quindi la possibilità ai nobili saccensi di liberare il prigioniero. Naturalmente, si proposero di pagare il riscatto le due famiglie nobili di Sciacca e di Caltabellotta. Il pirata però, forse colpito dalla tracotanza con cui si presentò, rifiutò la somma offerta per il riscatto dal conte Sigismondo Luna, e accettò quella offerta da Giacomo Perollo che, oltre a offrire una grossa somma per il riscatto, lo aveva invitato sulla sua nave. Furono sicuramente i modi gentili e la cortesia del Perollo a convincere il pirata a rilasciare il prigioniero. Forse per fare un dispetto al conte Luna e per dimostrare quanto fosse generoso, il pirata liberò dieci schiavi, e senza riscatto il barone di Solanto. Oltre a questo, promise al Perollo che non avrebbe compiuto altre incursioni sul litorale saccense. Questo fatto ferì l'orgoglio del Luna. Infatti, tutti quelli che avevano assistito alle trattative per la liberazione del prigioniero cominciarono ad elogiare pubblicamente il Perollo ed a schernire il suo rivale. Il Luna, che non accettava la sua sconfitta nelle trattative col pirata, ritenne responsabile di quella umiliazione il Perollo. E fu l'inizio della fine. Sigismondo Luna per vendicare l'offesa, decise di mettere a ferro e fuoco il castello dei Perollo e di uccidere il suo rivale. Alla guida di un vero e proprio esercito, composto anche da mercenari albanesi di Piana, di Palazzo Adriano e di Contessa, Entellina, Sigismondo Luna attaccò Sciacca costringendo il Perollo a barricarsi nel vecchio castello normanno. Fu una vera strage. Il conte di Caltabellotta uccide amici e parenti del suo rivale, e nonostante l'arrivo delle truppe regie inviate dal Viceré Ettore Pignatelli, grande amico di Giacomo Perollo, attaccò il castello. L'operazione fu portata a termine grazie al tradimento di alcuni uomini fedeli a Giacomo Perollo. Questi infatti era riuscito a fuggire dal Castello, e si era rifugiato nella casa di un suo fedele, Luca Parisi ma tradito da un suo compagno, tale Antonello da Palermo, venne catturato, legato alla coda di un cavallo, e trascinato per le vie di Sciacca. Era il mese di Luglio del 1529. La tragica storia del “Caso di Sciacca” si concluse però senza vincitori e vinti. Un fatto così grave e una strage così grande non poteva passare inosservata. Il governo viceregio dichiarò “fellone” e reo di lesa maestà Sigismondo Luna, inviando le regie truppe ad assalire il castello. I seguaci del conte di Caltabellotta furono tutti impiccati o decapitati. Tranne il Luna. Quest'ultimo infatti riuscì a fuggire e si recò a Roma per chiedere perdono al papa Clemente VII suo zio, e all’imperatore Carlo V. Ma sia il Papa che il Re glielo negarono, e Don Sigismondo si uccise gettandosi nel Tevere. Il Caso di Sciacca adesso diventa un'opera teatrale composta dal regista Vincenzo Catanzaro e messa in scena dalla “Compagnia dell'isola”, proprio all'interno delle mura del castello di Sciacca. Un percorso drammatico a quadri, dove le stanze del castello diventano scene. Quelle stesse scene che 500 anni fa videro compiersi la strage di due nobili famiglie siciliane: i Luna e i Perollo.
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